mercoledì 28 gennaio 2009

GAZA, NON SI UCCIDONO COSI' ANCHE I CAMMELLI?























































Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano.
(Golda Meir, Primo Ministro di Israele, Sunday Times, 15/6/1969)
Dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro posto.
(David Ben Gurion, 1937, “Ben Gurion and the Palestinian Arabs”, Oxford University Press)
I palestinesi saranno schiacciati come cavallette…le teste spaccate contro le rocce e i muri.
(Yitzahak Shamir, Primo Ministro, “New York Times”, 1/4/1988)
Non c’è sionismo, colonizzazione o Stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre.
(Ariel Sharon, ministro degli esteri, “Agence France Press”, 15/11/1998)
Israele ha il diritto di processare gli altri, ma nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato di Israele.
(Ariel Sharon, Primo Ministro, “BBC Online”, 25/3/2001)
Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre, per ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba. C’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è da distinguere tra colpevoli e innocenti.
(Ben Gurion, 1967)

Seguendo le istruzioni di questo “padre della patria” soldati israeliani entrarono in una casa di Gaza e alla madre di dieci figli intimarono di sceglierne cinque da “offrire in dono a Israele”. La donna urlava in preda al terrore. Le fu ripetuto l’ordine e che, se non avesse fatto la scelta, l’avrebbero fatta i soldati per lei. Poi cinque dei suoi bambini le furono ammazzati sotto gli occhi.

Per la frustrazione di non essere riusciti a penetrare nella città di Gaza neanche per pochi metri, Israele mirò al Giardino Zoologico in periferia. Missili aprirono voragini di trenta centimetri negli animali. Altri furono giustiziati a bruciapelo. I primi su cui si accanirono i fucilatori israeliani furono i leoni.

Scrivo queste note il 27 gennaio, ma è come se mi trovassi nell’occhio di un ciclone: bambini spezzettati da schegge e pallottole, neonati che l’inestinguibile fosforo brucia fino al midollo, un oceano di macerie frugato da chi è sopravvissuto all’ecatombe dell’intera famiglia, ospedali sepolti sotto troppi corpi lacerati, una terra che non basta più ad accogliere sepolture, un lungometraggio di estinzioni da patologie programmate per uccidere nel tempo, un capolavoro assoluto di ferocia genocida… tutto sommerso, annichilito dall’uragano del “Giorno della memoria”. Lo capeggia, in Italia, il capobranco statale dell’inversione della colpa, con altosonanti 200 parole contro “l’antisemitismo”, che appartiene semmai a quattro ultrà fascisti, utili alla diversione, con l’indefettibile consacrazione della legittimità dello Stato ebraico e con il silenzio tombale sulla legittimità del diritto alla vita dei palestinesi, peraltro tutti semiti. Davanti ai bianconeri degli scarnificati di Auschwitz, ai dolenti ricordi dei sopravvissuti, alla pubblicazione e ripubblicazione delle testimonianze, alle pensose riflessioni sul “male assoluto”, alle cerimonie di notabili altissimi o bassissimi, ai pellegrinaggi ai luoghi dell’”unicità” del dolore, all’inaugurazione di monumenti, targhe, lapidi e musei, in ecumenica sintonia tra ogni fede, cultura e politica, i bambini di Gaza sono scomparsi, annegati, riammazzati. E, insieme a loro, anche le vittime di quei lager e di quelle persecuzioni, offesi a morte dalla più ipocrita delle strumentalizzazioni. Nessuno mi toglie dalla testa che gli psicopatici del terrorismo di Stato abbiano programmato i tempi dell’olocausto di Gaza in modo da farlo subito sparire sotto la scadenza di quell’altro. Sono passati meno di dieci giorni dalla momentanea fine della mattanza, ma la Shoah ha già fatto chiudere il libro della propria replica.

In calce a questo articolo potrete trovare la petizione da firmare per l’incriminazione di Israele davanti alla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità.

Cito dal “manifesto”, giornale comunista, che titola esaltato nel giorno dell’incoronazione di Barack Obama: “Comincia l’era dello smart (intelligente, illuminato) power” , oppure, “E l’America cambia rotta” : L’astro politico di Berlusconi è destinato a tramontare nella svolta politica, geopolitica e culturale che l’elezione di Barack Obama imprime a ciò che negli ultimi decenni si è configurato come l’ordine egemonico del discorso occidentale… E’ auspicabile e prevedibile che di qui a poco il vento del cambiamento che spira dall’altra sponda dell’oceano si farà sentire… Con l’elezione di Obama questo contesto internazionale, questa onda che ha disegnato il profilo di un’epoca sono finiti… Si tratta di percepire, registrare e interpretare questo cambiamento dell’epoca, questo smottamento di egemonia, questa nuova energia…. L’incubo è finito (Ida Dominijani, 23/1/09). Non c’è dubbio che i primi provvedimenti di Obama hanno già dato il segnale del cambiamento sia in politica interna che in politica internazionale. E questo va ben oltre il valore simbolico della novità razziale… La novità antropologica segnerà sicuramente la fine del razzismo all’interno della democrazia statunitense… Il day one di Obama è stato molto promettente… Quanto alla politica estera, Obama si è subito occupato della questione palestinese prendendo contatto con Olmert, Abu Mazen, Mubaraq e Abdallah II… Gli Stati Uniti non dovranno più operare sul piano internazionale come una potenza imperiale legibus soluta…(Danilo Zolo, 23/1/09). La lista degli atti simbolici che Obama ha compiuto… rappresenta un completo ripudio di otto anni di amministrazione Bush… e qui era palese che il nuovo presidente era arrabbiato non solo con i repubblicani, con i petrolieri, con i banchieri di Wall Street, ma anche con i suoi concittadini, con il partito democratico…L’unica speranza degli Stati Uniti di uscire dalla crisi consiste quindi nelle capacità di leadership di Obama, quella misura di carisma personale, chiarezza intellettuale e fedeltà ai propri valori che si trova solo nei grandi dirigenti… Obama sembra avere le qualità richieste ai leader: ispira fiducia, mostra compassione per i più deboli, promette stabilità e speranza… gli americani continueranno a guardarlo come qualcuno in grado di camminare sulle acque e di moltiplicare i pani e i pesci. (Fabrizio Tonello, 25/1/9).

ISRAELE, OBAMA E LE SINISTRE ORGASMATICHE
Sono bastate, nel discorso inaugurale, due banalità retoriche su “ideali”, “valori”, “padri fondatori” del nero delegato da Wall Street e dal complesso militar-industriale, per scatenare questI osanna sgocciolanti bava. La delirante apertura di credito a un personaggio cui si attribuiscono, nella peggiore deformazione della personalizzazione di un potere che l’elite capitalista Usa attribuisce organicamente, controllando ogni suo respiro, al fantoccio di turno, rivela brutalmente il coacervo di colonialismo mentale, ignoranza, dabbenaggine, fideismo, culto del leader, che rendono la sinistra ufficiale italiana, e non solo quella ufficiale, il pateracchio ineffettuale e ontologicamente subalterno che da decenni annichilisce ogni istanza di cambiamento. Coloro che hanno tutto da perdere da questo come da qualsiasi altro gruppo dirigente imperialista, che tutti senza eccezione si pongono l’obiettivo di mantenere e potenziare il dominio Usa e capitalista sul mondo con lo strumento della “guerra al terrorismo”, cioè a tutti noi, subiscono da questi corifei un disarmo unilaterale e si ritrovano proiettati nel vuoto dell’inconsapevolezza, impiccati a batuffoli di rosee illusioni. L’ostinatamente considerata un’altra delle “venerande maestre”, Rossana Rossanda, nel mentre i generali di Obama annunciano intensificazioni belliche contro l’Afghanistan e lo stesso presidente ingaggia Iran e India contro il Pakistan, arriva ad attribuirgli “il proposito di riportare il suo paese al prestigio perduto senza guerra e rimettendone in vigore i diritti politici” . Se la prende con Mario Tronti, uno studioso di ben altro spessore, e con altri che hanno espresso dubbi e sospetti sull’immagine aureolata di Obama, definendoli “impagliati” e tacciandoli di “esagerazioni”. Il “Patriot Act”, la legge che ha fatto assumere alla finta democrazia Usa il carattere vero dello Stato di polizia, non è stato minimamente messo in discussione dal nuovo presidente. Ma l’entusiasmo di Rossanda la porta a inventarsi una sua “abolizione". A questi “sinistrati” si accodano equilibrati equilibristi che, come tale Gennaro Carotenuto di “Giornalismo partecipativo”, regalano al bianchissimo annerito neo-eletto, confermatosi “combattente contro il terrorismo globale” e accentuatore di tutte le guerre Usa in corso, finanziato come nessuno mai prima dai criminali della finanza predatrice (subito salvati dalla loro bancarotta fraudolenta), “nessun pregiudizio, né positivo, né negativo”, aggiungendo che non ci si può non emozionare col cuore per un appuntamento così con la storia. Aggiungiamo poi la scomparsa del dato imperialistico, della guerra, delle basi Usa, della Nato d’assalto e di sterminio, dalle analisi e dai propositi di praticamente tutti gli aggregati di sinistra che, pure, negli anni recenti si erano mobilitati contro l’innesco della guerra infinita e permanente in Jugoslavia e Iraq. Il Forum Sociale Mondiale di Belem, Brasile, ormai frequentato soltanto da veteroumanitaristi e ong insaziate, alla sua ennesima e sempre più insignificante adunata a difesa dei “beni comuni”, ha espunto dai suoi temi questi aspetti che, pure, sono lo strumento primario per l’annientamento dei beni comuni e dei diritti umani, limitandosi a pettinare la testa di Medusa del libero mercato. Quanto ancora si agita in direzione antagonista tra le macerie dei partitini comunisti, probabilmente sopraffatto da un’incombenza temuta troppo onerosa alla luce delle sconfitte subite da Belgrado a Baghdad e a Kabul, costruisce il suo agire politico intorno a capisaldi degnissimi come il lavoro, il territorio e l’ambiente, l’istruzione, ma confina l’elemento “internazionale”, nonchè internazionalista, in una sottovoce del capitolo “analisi, cultura e teoria”. Alla presentazione di un nuovo sito-agenzia d’informazioni alternativo con la pretesa di neutralizzare gli effetti tossici dell’informazione di regime e andare oltre “il manifesto” e fogli analoghi, una dozzina di interventi di protagonisti delle rispettive situazioni ha sviscerato ogni possibile contenzioso tra lavoratori e padroni, ma non ha mormorato una parola tipo “guerra”, “imperialismo”, “geopolitica”, “internazionalismo”. Rassicurati da Barack Obama? Ci pensa lui a togliere dall’ordine del giorno quello che fino a ieri alle sinistre di tutto il mondo era parso la condizione sine qua non - oltre che un fondamentale imperativo etico – per unire le forze dell’umanità vessata e soggiogata, oggi addirittura votata a una liquidazione da “soluzione finale”, nel contrasto all’imperialismo, alla matrioska che genera e contiene ogni forma di oppressione. Fa il paio questa trascuratezza cieca e autolesionista con la sufficienza con cui si lascia a un Di Pietro, a un Travaglio, il monopolio della difesa della legalità, del diritto, dell’uguaglianza davanti alla legge, stritolati dal tritacarne della cosca al potere. Ma come, scaldarsi per giudici come De Magistris, Forleo, Apicella, messi all’indice (poi magari al muro come Falcone e Borsellino) e travolti da una diffamazione peggio di Saddam, per aver toccato la coda del malaffare mafioso che ci governa, consapevoli che quei principi di diritto erano le conquiste di civiltà e di emancipazione da abusi gerarchici che avevano tratto lavoratori, donne, bambini, anticonformisti di ogni razza dai sottoscala della società? Si rischiava la deriva, l’onta, del “giustizialismo”, non sia mai! Nel famoso racconto di quelli che vengono a prendere prima gli zingari, poi i giudei, poi i comunisti, oggi anche gli immigrati, l’ultima categoria da liquidare è sicuramente quella dei giudici non comprati (come quelli del CSM capeggiati da un Mancino emerso, guarda un po’, dalle indagini di De Magistris). Poi ci siamo noi, nudi e crudi. In questo mondo di ciechi non c'è neanche l'orbo…

E’ nel nome dei bambini inceneriti e delle donne e degli uomini massacrati a Gaza che si devono svergognare questi pendagli da quattro stereotipi polverosi, questi fabbricanti di ipnosi della fiducia malriposta e della speranza votata alla depressione. Si è voluto giustificare il silenzio di Obama ante-insediamento sulla carneficina ipernazista in corso a gennaio, perché “in Usa non ci possono essere due presidenti”. Sorvolando leggiadri sulle abbondanti e risolute dichiarazioni che però il presidente eletto rilasciava su Iraq, Iran, Afghanistan e universo mondo. Dal sangue e dalla materia cerebrale tra i calcinacci di Gaza, ci sollevavano le alate e ineguagliabili frasi su libertà, speranza, cambiamento, pace e la perenne grandezza del popolo americano. Compiuto l’insediamento, fedelissimo all’impegno preso in campagna con l’ AIPAC (Comitato per gli Affari Pubblici Israelo-americani), la più virulenta delle lobby ebraiche, Obama ha però subito dichiarato alla grande: “Sia chiaro, l’America è impegnata per la sicurezza di Israele e sosterrà sempre il diritto di Israele di difendersi da ogni minaccia. Per anni, Hamas ha lanciato migliaia di razzi contro cittadini israeliani innocenti. Nessuna democrazia può tollerare tali pericoli per il suo popolo, né dovrebbe tollerarli la comunità internazionale… Hamas deve soddisfare indiscutibili condizioni: riconoscere il diritto di israele a esistere, rinunciare alla violenza, ottemperare ad accordi conclusi, terminare il lancio di razzi e gli Stati Uniti con i suoi partner sosterranno un’ efficace azione di interdizione e contro il contrabbando che impedisca il riarmo di Hamas… ne saranno garanti le autorità internazionali e quella palestinese… Ogni assistenza alla ricostruzione dell’economia palestinese sarà fornita esclusivamente all’Autorità Nazionale Palestinese e verrà da questa diretta. Così parlò Obama, e sulla pelle dei bimbetti di Gaza le fiamme del fosforo bianco ancora non si erano spente. Nè ara finita un'occupazione di sessant'anni, nè si era asciugato l'inchiosto delle 30 risoluzioni ONU sbeffeggiate da Israele. E’ naturalmente un’altra cosa, per i quaquaraquà sinistrati, se queste infamie le producono i Fini, i Veltrusconi, o altri parvenu del sottimperialismo cialtrone nostrano. Ci penserà il nero miracolista del cambio a sistemarli…

L’Autorità Nazionale Palestinese è quella conventicola di prostitute, prosseneti e ladroni, allevata, ahinoi, da un Arafat in piena senescenza, che a suo tempo Marwan Barghuti, con la nuova generazione di Fatah nata dall’Intifada, aveva tentato di neutralizzare, e che, perse le elezioni del 2006, con il satrapo e agente della Cia Mahmud Dahlan aveva tentato un colpo di Stato contro il legittimo governo di Hamas, golpe anticipato dalle forze di sicurezza di Hamas. Aveva poi cercato di rimediare il democratico Israele con una serie di assassinii mirati e incarcerando senza processo una sessantina di deputati di Hamas. L’affidamento degli aiuti, dei finanziamenti e del comando ai gangster collaborazionisti dell’ANP di Abu Mazen è ovviamente la dote concessa alla mignotta palestinese per avere fin dal primo giorno dell’attacco attribuito ogni responsabilità a Hamas, per aver represso con mazzate e carcere ogni manifestazione di solidarietà alle vittime di Gaza in Cisgiordania, per aver fatto nei territori occupati il lavoro sporco di Israele, esattamente come lo Judenrat, il Consiglio Ebraico, ai tempi del suo accordo con i nazisti per il trasferimento degli ebrei in Israele. Non c’è una parola di Obama che non avrebbe potuta essere detta da Bush: parole che sulle ferite dei sopravvissuti della macelleria di Olmert a Gaza devono aver avuto l’effetto di una tintura di acido solforico. Come per Condoleezza Rice e Hillary Clinton, le arpie cannibali dell’elite statunitense, anche per Obama è da addossarsi ai palestinesi l’onere della prova di essere degni del genere umano, degni di aver rivolta la parola da Tsipi Livni e, domani, dall’Obersturmbannfuehrer Netaniahu. La posizione di Barack Obama sulla questione palestinese è dirimente, specie se la vediamo inserita nell’immutato contesto della “guerra al terrorismo”, dell’escalation in Afghanistan e Pakistan, del dichiarato mantenimento, al di là della chiusura dell’ormai insostenibile Guantanamo (ma Bagram e altre prigioni dell’aberrazione giuridica rimangono), del “Patriot Act”, cioè delle infrastrutture da Stato di polizia erette dalla precedente amministrazione, delle minacce al Venezuela di Chavez, del silenzio tombale su 50 anni di embargo a Cuba e del fatto che nessun presidente aveva mai rimpinzato il suo staff di tanti generali e ammiragli, vessilliferi del complesso militar-industriale.


Imperialismo e lotta di classe. Partiamo dal gas.
C’è un aspetto dell’aggressione israeliana a Gaza che si inserisce nella strategia, elaborata dai fondatori del sionismo e dagli sponsor dello Stato razzista e teocratico, di eliminazione al rallentatore del popolo palestinese e dell’obliterazione della nazione araba. Aspetto scrupolosamente occultato da chi blatera di antisemitismo, di democrazia azzannata da terroristi, o, al meglio, di territori disputati, ma che illustra come la rapina e la soluzione finale praticate da Israele rientrino pur sempre nel classico schema della lotta di classe e dell’imperialismo. Una cinica volontà di egemonia, di dominio sui deboli, fino alla loro rimozione, di controllo delle ricchezze del pianeta, alimentata da egoismo, razzismo, odio e bigottismo. E’ la ragion d’essere di duecento multinazionali e duecento milioni di miliardari, con la loro servitù politica e mediatica, che ormai da anni (dalla caduta del muro?) possono condurre una lotta di classe verso il basso confortata dal disarmo unilaterale degli oppositori. Oppositori finti, conniventi predicatori della fine del conflitto, dell’abolizione del concetto di “nemico”, della nonviolenza, fino a agli ostinati, ottusi o scaltri, peroratori dei due stati per due popoli, offerti a uno Stato colonialista che, dalla sua creazione in provetta fino a Oslo e ad Annapolis, non ha assolutamente mai contemplato la presenza di diritti nazionali palestinesi. E, quanto a quelli arabi, non abbiamo che l’esistenza di regimi schiavisti asserviti agli interessi e alla geostrategia occidentali.

Vi hanno mai parlato dell’esistenza al largo della costa di Gaza, scoperta nel 2000, di ampi giacimenti di gas il cui sfruttamento venne da Israele concesso al Gruppo “British Gas”, alla “Consolidated Contractors" del maronita libanese “Sabbagh & Koury” e al Fondo Investimenti dell’ANP (per un misero 10%)? Guardate la mappa in testa al pezzo. La licenza per lo sviluppo dei giacimenti, di cui il 60% sta nelle acque territoriali di Gaza, e per la costruzione di un gasdotto, copre l’intera area off-shore della Striscia. Il Gruppo “British Gas” ha già effettuato due perforazioni nel 2000, Gaza Marine 1 e Gaza Marine 2. Le riserve di questi soli due pozzi sono calcolate in 500 miliardi di metri cubi per un valore di 4 miliardi di dollari. Ma si stima che il totale delle riserve palestinesi sia molto più ampio. Di fronte allo stallo della situazione a Gaza, la “British Gas” risolse nel 2007 di concludere un accordo per pompare l’idrocarburo verso l’Egitto. Sollecitato da Israele, intervenne l’allora premier britannico Tony Blair per sventare tale soluzione. Successivamentem, il governo israeliano si accordò con la “British Gas” per escludere dal banchetto sia l’Autorità Palestinese, sia, tanto più, il governo di Hamas. Il che sgretola l’assunto, universalmente recepito, di un Ariel Sharon che si sarebbe ritirato da Gaza onde liberare un pezzetto di Palestina dall’occupazione. Al controllo israeliano su questa ricchezza energetica servivano meno seimila coloni in un mare palestinese, quanto una Gaza assediata, decimata dal blocco, poi sterminata e distrutta al punto da rendere insostenibile la permanenza della sua popolazione, chiusa da tutti i lati e affidata all’occupazione di una forza internazionale amica (vedi Unifil in Libano) sotto la nominale autorità di un governicchio fantoccio di Abu Mazen.

L’olocausto di Gaza non è l’eccezione alla regola perpetrata da uno Stato particolarmente efferato. E’ la più profonda espressione della regola di un capitalismo imperialista che pretende di governare il mondo in ogni suo aspetto. Le periodiche esplosioni genocidarie in forma concentrata emanano dalle norme che ne costituiscono la base. Se per un fenomeno non c’è base, il fenomeno non viene ad esistenza. Le premesse sono quelle condivise da ogni classe dirigente, feudale o capitalista, da ogni impero degli ultimi due-tremila anni. Di fronte alla minaccia della sollevazione dei dominati, della lotta di popoli o classi, ogni civiltà imperiale determina di essere l’assassino piuttosto che l’assassinato, il conquistatore piuttosto che il conquistato, il governante piuttosto che il governato. Quello che rivediamo oggi è la ripetizione, da Ciro il Grande (i greci!) a Augusto (i barbari!), da Andrea Doria (i mori!) a Hitler (gli ebrei!), del trauma per cui una minaccia reale, o inventata come nel caso delle Torri Gemelle e del terrorismo islamico, si generalizza e penetra nella psicologia di individui e di intere società, per produrre così uno stato di emergenza psico-culturale, una vera nevrosi di massa: il 96% degli israeliani ha appoggiato la macelleria di Gaza, il 45% chiede l’espulsione di tutti i palestinesi. Furono più o meno le percentuali di appoggio, dopo l’11 settembre, per le guerre infinite e globali ambite da una vacillante amministrazione Bush-Cheney. Le ultime manifestazioni nostrane di una catena che il sistema bipartisan estende in perversione antropologica, sono i pogrom anti-immigrati e anti-rom che non hanno molto da invidiare alle operazioni contro gli “scarafaggi arabi” da parte israeliana. Ma sono anche le strategia di criminalizzazione dei giovani – studenti, tifosi, baby gang, frequentatori di discoteche, “fannulloni” e “bamboccioni” – di giorno in giorno intensificata da una gerontocrazia in crisi di plusvalore. Così un presunto pericolo esistenziale corso da Israele, fondato da decenni sull’irrealistica ma perpetua minaccia di un nuovo olocausto ebraico, giustifica la creazione e ininterrotta espansione di Israele e lo spossessamento e massacro del popolo palestinese. Tanto grave appare quella minaccia da permettere qualsiasi crimine per sventarla. E quindi vai con “l’antisemitismo”, vai con quella che il figlio di sopravvissuti dei lager, Norman Finkelstein, chiama “l’industria dell’olocausto”, vai con le escursioni di scolaresche ad Auschwitz. Se ne ricava un assegno in bianco per il genocidio dei “terroristi” palestinesi, per coprire il quale si fa l’osceno e macabro uso delle povere vittime di un orrore precedente. E’ guerra di classe, è imperialismo e se la minaccia reale, di popoli insorti, di resistenze non domabili, di insubordinazioni di classe, finisce con l’estenuarsi sotto i colpi della ferocia repressiva, o per depravazione ideologica e stanchezza strutturale, non per questo l’estrazione di valore da una forza lavoro pauperizzata, o da un ambiente naturale dissanguato, si ricostituisce. Per drenare quanto resta, prima della fine del mondo, occorrono 11 settembre, terroristi islamici, diversi e diasadattati di qualsiasi ordine e tipo.

Gaza, un modello per la crisi
Un altro elemento che l’assenza di lenti internazionaliste non fa rilevare è quello, di rilevanza strategica universale, dei metodi israeliani come laboratorio e modello per ogni aspetto della guerra esterna e interna necessitata da un riconquista coloniale e sociale, a sua volta imposta da una crisi senza orizzonti di ripresa e senza margini di ammortizzazione per le classi e i popoli subalterni. Universalizzata la qualifica di “terrorista” fino ad estenderla a chi marina le elementari, o fa picchetti davanti a discariche, viene naturale l’adozione dei mezzi repressivi che Israele ha così efficacemente collaudato. Pensate che ci sia una bella differenza tra famigliole che i soldati chiudono in casa per poi dargli fuoco col fosforo, e politiche che sospingono la brava gente di Ponticelli o di Guidonia a incendiare campi e vite, o tra il radere al suolo scuole e università, e presidi che comunicano con sms i voti e le assenze ai genitori, o, ancora, tra chi polverizza moschee e ospedali, e chi vieta le preghiere altrui davanti alle nostre superiori chiese e fa degli ospedali pubblici lebbrosai da Terzo Mondo per succhiare profitti da cliniche private vampire? E’ solo una questione di quantità e di tempo. Aspettate che la crisi si accentui, semini catastrofi umane e imponga che entrino in campo i professionisti della repressione dei nostri ministri di polizia e dell’Offesa, collaudati in scenari di carnai e strazi bellici e animati dall’esempio dei più bravi di tutti, un esempio che incontra comprensione e approvazione da quelli che fanno opinione pubblica. Non saranno i bombardamenti al fosforo e all’uranio, ma è già il gas CS, bandito dalle convenzioni perché distrugge il sistema endocrino, o sono le esecuzioni giudiziarie di pallottole partite per sbaglio, o che hanno incontrato un calcinaccio. Non saranno le decine di migliaia di incarcerati senza colpa, senza processo e senza difesa delle guerre ai “nemici combattenti”, ma già sono i campi di internamento ed espulsione per immigrati e, nel Regno Unito e negli Usa, anche per cittadini. Non saranno le torture legittimate (per quanto Bolzaneto e Diaz e pestaggi sistematici di ogni capannello frustrato…), ma sono già i rapimenti e le extraordinary renditions di sospetti disturbatori. Non saranno l’annullamento del diritto di informazione praticato con il divieto ai giornalisti di accedere a scenari di guerra e sterminio, ma è già la soppressione delle voci e dei fatti sgraditi da ogni mezzo d’informazione: in Inghilterra le due emittenti maggiori, BBC e Sky, rifiutano di pubblicare caritatevoli appelli alla raccolta di aiuti per i morituri di Gaza: rivelano uno “sbilanciamento filo palestinese”. Chi ha sentito l’indignata protesta delle nostre associazioni giornalistiche contro lo sconcio delinquenziale della faziosità mediatica su Gaza? Non sarà l’imposizione a una popolazione recalcitrante di regimi autoritari e corrotti di collaborazionisti, ma può benissimo essere l’affidamento di intere regioni del paese al controllo e agli abusi della criminalità organizzata. e il resto ai ratti della P2. Non sarà la cancellazione dalla faccia delle Terra di culture fastidiosamente aliene e non riconducibili alla norma, ma è già la demonizzazione ed espulsione di culture politiche non integrabili e di culture etniche intellettualmente ed economicamente concorrenziali: a Lucca vengono banditi i ristoranti etnici e quelli che non esibiscono un “arredo elegante e in linea con le tradizioni locali”. Non sarà neppure la negazione di ogni pur minima parvenza di sovranità statale ai palestinesi, ma sono basi militari, accordi più o meno segreti, monitoraggio e dettato Usa su ogni decisore politico indigeno, la Nato, le 90 bombe atomiche, Mossad e Cia nell’attico dei nostri servizi. E’ dal 1945 che la classe dirigente si è venduta la sovranità nazionale e nessun sinistro lo ricorda più: non vennero a liberarci? Più o meno così hanno liberato iracheni e palestinesi. E se sessant’anni di indottrinamento razzista, di de-umanizzazione dei palestinesi e, implicitamente, di se stessi, di satanizzazione delle vittime, hanno prodotto un 96% della società che approva l’uccisione di 1500 palestinesi, aspettate cosa produrrà fra poco il belusconismo e suo cugino, il veltrusconismo. I Fede, i Riotta, i Mieli, gli autorevoli rappresentanti delle istituzioni rese impunite da leggi e costumi, hanno preparato la società ad accettare questi massacri con il solito karma dell’ “autodifesa”. Con Israele consacrata all’esenzione da ogni limite umano e di diritto, con la nave da battaglia Usa incoronata dalla polena di un presunto taumaturgo o messia, davanti a cui tutti si levano i pantaloni, beh allora… son cazzi nostri.


Senza una consapevole epistemologia delle dinamiche del capitalismo e dell’imperialismo non si riesce e percepire la realtà che oggi fronteggia l’umanità, la totale coerenza e continuità tra oppressione di classe, genocidio ed ecocidio e il modo in cui la fenomenologia di una civiltà necrocratica fluisce nei torrenti, nei fiumi e nel mare della morte planetaria. Altro che Obama, altro che “antisemitismo”. I 1500 palestinesi trucidati a Gaza, le migliaia di mutilati e avvelenati dal fosforo e dall’uranio per un’agonia protratta nel tempo, sono, come scrive Lorenzo Dellacorte, il sacrificio umano immolato sull’altare del capitale. Un sacrificio umano che segue a quelli dei 3000 uccisi nell’autoattentato dell’11 settembre, dei quasi due milioni ammazzati dagli occupanti e dalle milizie ascare in Iraq (dopo il milione e mezzo uccisi dall’embargo), del milione di morti recentemente attribuito all’arrivo del libero mercato nei paesi dell’Est europeo, degli infiniti metodi messi in atto per sfoltire l’umanità e trarne ricchezza concentrata: la farmaceutica, le industrie del petrolio e dell’auto, le epidemie artificiali, le stragi sul lavoro. La guerra infinita al terrorismo ci ha cacciati nell’era della morte infinita. Lotta al terrorismo, all’antisemitismo, al fondamentalismo, all’ ”estremismo”, a tutto quello che è fuori dal conformismo borghese, o dalla “civiltà occidentale”, sono, come dice ancora Dellacorte, le “ideologie che consentono di pianificare queste politiche distruttive”.

Nessuno lo ha capito meglio dei palestinesi, degli iracheni, degli afghani, dei latinoamericani in marcia. Come diremo più avanti, a Gaza Israele non solo non ha vinto, non ha raggiunto gli obiettivi conclamati, ha dovuto ripiegare come in Libano e affidare ai soci della criminalità organizzata occidentale il compito dell’esecuzione. Ma ha perso. Lo specchio si è infranto. L’attende un tribunale criminale invocato da un uragano di voci che sta per soverchiare lo tsunami della farsa vittimistica ebraica. E prima ancora di quella giuridica, lo sta processando l’alta corte della coscienza umana.







Israele deve essere giudicato dalla CPI - Petizione universale


CAMPAIGN Sign at the bottom of page

Israel must be judged at the International Criminal Court - Universal petition

Approximately 300 among NGOs and associations ask the Prosecutor of the International Criminal Court to open an investigation on the war crimes committed by Israel in Gaza. Our support is indispensable. Sign and circulate this urgent «universal petition».

To the Prosecutor of the International Criminal Court (ICC)
Law is the distinguishing mark of human civilisation. All progress made by humanity coincides with the consolidation of rights. The challenge that Israel’s aggression against Gaza poses to us consists in affirming, when confronted with such great suffering, that the response to violence is justice.
War crimes? Only courts are able to bring about a sentence, but all of us can bear witness, because a human being only exists in his relationship with others. The circumstances show the breadth of their dimension in Article 1 of the Universal Declaration of Human Rights of 1949, «All human beings are born free and equal in dignity and rights. They are endowed with reason and conscience and should act towards one another in a spirit of brotherhood.»
The protection of populations, and not only of States, is the reason why the International Criminal Court exists. A population without a State is the most threatened of all, and before History, they are placed under the protection of international bodies. The most vulnerable populations must be the most protected. Killing Palestinian civilians, the Israeli armoured tanks have caused humanity as a whole to bleed. We have been insisting that the power of the Prosecutor be put at the service of all the victims, and this task must allow that the entire world receives a message of hope, that of the construction of international rights based on human rights. And together, one day, we can pay homage to the Palestinian people for the contribution that they have given to the defence of human freedom.


Campaign begun on 19/01/2009

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mercoledì 21 gennaio 2009

ARMI PROIBITE: FOSFORO, DIME, URANIO, LUCIA












Fosforo Bianco su Gaza






La Grande Bugia è una bugia così enorme da far credere alla gente che nessuno potrebbe avere
l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame.
(Adolf Hitler, “Mein Kampf”)
Qualcuno ha messo in dubbio l'autenticità delle citazioni del Talmud che avevo qui riportato. Le sostituisco con alcune dichiarazioni di ebrei israeliani contemporanei e forse ancora più autorevoli, a dimostrazione di quanto scrupolosamente siano applicate quelle "false" norme del Talmud:
Dobbiamo usare il terrore, l'assassinio, l'intimidazione, la confisca dei terreni e il taglio di tutti i servizi sociali per liberare la Galilea della sua popolazione araba:
(David Ben Gurion, maggio 1948, discorso allo Stato Maggiore. Da "Ben Gurion a Biography", di Michael Ben Zohar, Delacorte, New York)
I palestinesi sono bestie con due zampe
(Iitzahk Shamir, premier, discorso ai coloni ebraici, New York, 1. aprile 1988).
Noi dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto di abitare anche in un solo centimetro di Eretz Israel... Capiscono solo la forza. Noi useremo una forza senza limiti finchè i palestinesi non vengano strisciando a noi.
(Rafael Eitan, capo di Stato Maggiore, in Yedioth Ahronot, 13 aprile 1983)
1500 uccisi in 22 giorni (di cui solo 95 combattenti), con altri da recuperare da sotto le macerie, oltre 400 bambini, 5.600 feriti, di cui gran parte morituri per ferite incurabili, 1 milione mezzo contaminati dalle bombe all’uranio, 22mila case demolite, 220mila persone senza tetto, tutte le infrastrutture per la vita distrutte. Questi i numeri dell’eroico, moralissimo, quarto esercito del mondo nella sua guerra contro un popolo inerme, affamato, minato nel corpo e nello spirito, privato di tutto da mesi, che lancia razzi di latta e fa qualche buco nella sabbia o nei muri. E lo fa DOPO che l’aggressore di sempre aveva bloccato la vita di tutta una popolazione per 18 mesi e infranto la tregua il 4 novembre uccidendo sei palestinesi a Gaza. Questi i numeri da sempre di noialtri civilizzati che, dal “nuovo mondo” da rapinare e ripulire di gente indigena, al Congo dei 20 milioni trucidati da Leopoldo I, dal Vietnam napalmizzato all’Iraq uranizzato, sappiamo tecnologicamente uccidere a distanze irraggiungibili da nemici con frecce e kalashnikov. Così i mitici combattenti di Tsahal hanno potuto radere al suolo l’intera Gaza, senza rischiare di arrivare a tiro dei moschetti palestinesi. E tuttavia hanno perso e sono dovuti andar via senza aver raggiunto lo scopo dichiarato: eliminare la Resistenza, fargli rivoltare contro il popolo. Così i prodi occupanti della Cisgiordania sanno fucilare ragazzini, prima che gli arrivi il loro sasso. Per tentare di schiacciare questo popolo in una tenaglia di morte e sottommissione, la quarta potenza militare del mondo ha lanciato da aria, terra e mare un ininterrotto tsunami di morte a base di armi proibite.

Quello che i Mengele israeliani combinano con queste armi l’avevo visto con i miei occhi nel laboratorio Libano, estate 2006, insieme al Dr. Ibrahim Faraj dell’ospedale di Tiro, rimasto nel suo ospedale mentre gli psicopatici di Tel Aviv lo tempestavano di ordini di andarsene e polverizzavano i dintorni (vedi il mio Gaza, Baghdad, Beirut: delitto e castigo, Malatempora ed.). Ragazzi in fiamme inestinguibili da fosforo bianco, interni di persone maciullati da DIME(Dense Intensity Metal Explosive), gambe stroncate da bombe a grappolo, necrosi inarrestabili da armi chimiche. E il Dr. Ibrahim amputava, amputava, fino a che non c’era più nulla da amputare. La guerra era persa, i sadici vigliacchi erano stato respinti nel loro Stato razzista, teocratico, monoetnico, ma la tecnologia Usa fornita all’avamposto imperialista in Medio Oriente aveva vinto la sua scommessa. Si poteva procedere con Gaza.

Su questo sfondo va vista l’esibizione di Lucia Annunziata nella trasmissione “Anno Zero” dell’8 gennaio 2009, quando si lanciò contro i corpi frantumati dall’infanticidio di Gaza, mostrati da Michele Santoro, urlando improperi sull’impostazione “filopalestinese” dell’unico giornalista che aveva osato far vedere ciò che l’intera ciurma del giornalismo italiano aveva occultato. Già era successo con Santoro ai tempi dell’aggressione alla Jugoslavia, quando un premier italiano, criminale di guerra e violatore della Costituzione, si precipitò a frantumare Belgrado e, addirittura, il Kosovo “da salvare” da una fittizia “pulizia etnica” del fittizio “dittatore” Milosevic. Una trasmissione dal Ponte Branco della capitale serba che lacerò i pudichi veli con i quali i corifei dell’ ”intervento umanitario” avevano coperto i massacri. Anche lì ci si accanì contro i bambini: non solo bombe a grappolo che sembrano balocchi o biscotti, ma, come mostrarono i miei documentari girati in quei giorni (Il popolo invisibile, Serbi da morire, Popoli di troppo), bombe intelligentemente mirate a bloccare il funzionamento delle incubatrici negli ospedali, bombe su scuole e asili. Togliere di mezzo l’infanzia è lo strumento per eliminare popoli di troppo.

Lucia Annunziata la conosco bene. Sul finire degli anni ’90 ci capitò tra capo e collo come direttore del TG3. Si mormorava che la sua marcia trionfale dal “manifesto” alla "Repubblica" e al "Corriere della Sera", per progressivi spostamenti di degrado professionale, fosse su vetture Fiat con alla guida lo sbruffone Nato con i baffetti. Arrivò con la testa cinta di allori sionisti per aver battuto i marciapiedi di tutto il Medio Oriente drappeggiata nel vessillo con la stella di Davide. Da noi durò poco. I suoi epiteti volgari all’indirizzo di colleghi convinti di far parte di una categoria degna di rispetto, le sue astruserie redazionali, la sua abissale incompetenza, i suoi bollori ormonali, le dovevano fisiologicamente aprire la strada verso qualche vertice nella mafirepubblica delle mafibanane, nella fattispecie la presidenza Rai, ma non la salvarono da una sollevazione senza precedenti di tutto il corpo redazionale, conscio di quel minimo di dignità che la testata conservava rispetto alle altre. Ne conservo un ricordo che ne anticipa qualità poi impostesi all’ammirazione di tutto il cucuzzaro nazionale filoisraeliano quando, in “Anno Zero”, si acquisì meriti imperituri presso la SpA Genocidi e Infantici. Fu, credo, nel 1996, cinque anni dopo la prima Guerra del Golfo e sei anni da quando l’Occidente cristiano, civile, democratico, aveva fatto strame dei diritti umani imponendo al popolo iracheno la punizione collettiva dell’uranio, prima, e dell’embargo poi. Le proposi di andare a vedere cosa stava succedendo in quel paese. Alla mercè del “mostro sanguinario Saddam” per Lucia c’erano solo i curdi di cui si diceva che erano stati gassati dal dittatore (poi risultò che furono le truppe iraniane). Ma c’era anche un popolo che resisteva all’embargo più feroce mai attuato prima di Gaza, una mortalità infantile decuplicata, in gran parte per merito dell’uranio sganciato dagli Usa, c’erano i neonati deformi, c’era una popolazione affidata alla scomparsa per fame, malattie, acqua tutta inquinata per distruzione degli impianti, contaminazioni, isolamento dall’universo mondo. Sapete cosa mi intimò la commessa viaggiatrice di Bush? Testuale: “Vai pure e parlaci dei datteri, dei monumenti assiri e babilonesi, ma guai a te se mi fai vedere un solo bambino iracheno menomato dall’uranio, o inscheletrito dalla fame. Mica voglio fare un favore a quel farabutto di Saddam…” . Glielo ricordai proprio in una trasmissione di Santoro. Farfugliò qualcosa su come mi sarei piuttosto dovuto occupare della frana nel Sarno.

Nessuna sorpresa per come reagì all’oscena piazzata della bipartisanamente cara signora, strabica nell'ottica e non ce ne potrebbe fregare di meno, ma molto più strabica più nell’etica, il verminaio politico e mediatico della marca imperiale. Dal fascista presidente della Camera, riscattato nell’antica fede dal modello ultradestro israeliano e dall’olio di ricino potenziato a fosforo, alla ciurmaglia dell’intendenza a suivre veltroniana. La quintessenza della deontologia giornalistica l’ha espressa ancora l’Annunziata quando, a sostegno delle armate nucleari accorse a tappare la voragine di verità aperta dalle immagini di “Anno Zero”, ha sentenziato: “Dobbiamo orientare il pensiero degli italiani su questa cosa”. “Orientare”, capito? E’ l’orientamento cui sono chiamati e votati i nostri operatori dell’informazione. Orientare come si è orientato il pensiero degli italiani su una pulizia etnica serba che era solo subita e mai attuata, su “interventi umanitari” che si risolvono nella decimazione dei civili, sulle armi di distruzione di massa in Iraq, sulle Torri Gemelle abbattute da Osama, sull’ “esportazione della democrazia” che comporta l’annientamento di paesi, popoli, culture, su un libero mercato che ci fa galoppare verso la fine del mondo, su una “lotta alla mafia” che è garantita dall’obliterazione di magistrati che ne rivelano l’intima convivenza-connivenza con la classe politica ed economica, su operazioni di peace keeping che mirano esclusivamente a imporre le soluzioni colonialiste e totalitarie dell’associazione per delinquere, detta comunità “internazionale”, all’ invincibile resistenza di popoli e classi deformata in “terrorismo”. Tutto questo è un deja vu. Ma poi ci sono, più perniciose dei rematori di questa nave di licantropi, le quinte colonne del pacifismo equidistante. Quelle che, contro una manifestazione di massa che si schiera accanto alle vittime di sessant’anni di ineguagliate atrocità di Stato, il 17 gennaio in tutta Italia, allestiscono una contromanifestazione ad Assisi che blatera di pace “contro tutte le violenze”, “contro tutti gli estremismi”. Quelle che si adontano, proprio da Assisi!, proprio all’ombra di benedicenti tuniche, dell’unica risorsa rimasta agli esclusi e banditi dal consesso civile, la preghiera. Quelle che si stracciano le vesti perché si da fuoco ai simboli di una etnolatria che incenerisce l’altro, dopo averlo derubato e lagerizzato. Quelle che concedono pagnotte e aspirine ai sopravvissuti, purchè lascino rimpiazzare l’occupante genocida da quisling venduti, protettei da caschi ONU o Nato, che hanno lo stesso compito di spezzare le reni e annichilire la dignità di chi resiste. “Sinistre cristiane”, fameliche ong, firmaioli di accorati appelli alla moderazione degli uni e degli altri, sinistri campioni del cerchiobottismo, predicatori di confronti e dialogo. Dialogo con una società deumanizzata che al 92% ha appoggiato la carneficina, famigliole che facevano picnic ai varchi per Gaza, esplodendo in applausi a ogni botto e a ogni colonna di fumo che garantivano l’intensificazione della mattanza. Dialogo con una cultura i cui libri sacri, altrettanti decreti esecutivi, assicurano l’impunità a ogni nefandezza inflitta al non ebreo. Sì, dialogo, ma una volta che Israele sia stata ammorbidito dal boicottaggio, dal ritiro degli investimenti, dall’esecrazione mondiale, dalla fine dell’immigrazione, dall’irriducibilità della Resistenza.

Una melma maleodorante che ha per effetto strategico la rimozione di quando, come e perché, tutto è iniziato: l’esproprio terroristico e bellico di un popolo stanziale da millenni, una successione ininterrotta di crimini di Stato, tutto nel quadro di una strategia coloniale secolare per impedire il riscatto di popoli attraverso eliminazione fisica, frantumazione, pulizia etnica e corruzione di quanto rimane. Umanitaristi dei cerotti a nascondere le piaghe, onde la cancrena possa continuare la sua opera fuori da sguardi importuni. Oh, da quali vertiginose altezze morali precipita sui dannati della Terra, purchè non “integralisti”, purchè non terroristici lanciatori di petardi, la caritatevole comprensione della nostra cristiana civiltà democratica. Purchè “riconoscano Israele”, cioè uno Stato razzista, escludente, militarista, espansionista, assassino, che non si è mai sognato di riconoscerne nemmeno l’esistenza. Non andavano così a consolare gli autoctoni sopravvissuti agli stermini continentali i nostri missionari? Solo quelli domati, s’intende. Solo quelli che, anche loro, ci riconoscevano padroni, emissari dell’unico sovrano e ministri del dio giusto.

Grande sollievo al manifestarsi, puntuale dopo ogni imbarazzante efferatezza israeliana, della compagnia di giro dei letterati israeliani sguinzagliati per eludere, con rimbrotti agli eccessi dei generali di Tsahal e alle “criminali provocazione di Hamas”, lo spaventoso peccato originale razzista e colonialista e il diritto di chi si difende attuando la Carta dell’ONU. Vediamo i Grossman, gli Oz, gli Jehoshua, mistificatori liberal da strapazzo, onorati in ogni ricettacolo del perbenismo collaborazionista, bofonchiare auspici di pace e di compromesso. Si sorvola, con disinvolta noncuranza, sui battimani con cui queste anime belle hanno sostenuto l’invasione del Libano, l’erezione del muro, l’olocausto di Gaza. Arrivano, con la stessa programmata puntualità (a conferma di quanto tempo prima l’attacco a Gaza fosse stato deciso) i film della mistificazione, che parlino di limoni contesi tra povera palestinese e buona israeliana (“Il giardino dei limoni”), o di “Valzer con Bashir”, piagnucolosa autocoscienza di reduce israeliano da Sabra e Shatila, perfidamente intesa a scaricare la colpa dell’orrendo massacro sui soli falangisti, che invece erano stati addestrati, indirizzati e diretti da Ariel Sharon. E quando non bastano questi emissari del Mossad dalla faccia umana, soccorre l’equipollente nostrano. E’ girato nei giorni dell’orrore sionista un appello del “venerando maestro” di parte ebraica, Moni Ovadia, cui infelicemente ha dato copaternità il palestinese Ali Rashid. Quale indiscutibile combinazione di fraternità, quale luminoso esempio di “dialogo”! Simmetria perfetta: l’invasione di uno degli eserciti più potenti del mondo è alla stessa stregua di un atto pur esecrabile di terrorismo.
E’ dunque grazie alla simmetria di “invasione” e “atto esecrabile di terrorismo” che crescono l’odio e il rancore, si radicalizzano le posizioni e le distanze diventano incomunicabilità.
Già, perché con una Palestina massacrata per sessant’anni e una colonizzazione di mezzo milione di fanatici ebrei sul 22% residuo di Palestina, ridotto dal muro a un 12% spezzettato da posti di blocco e strade dell’apartheid, le posizioni non dovevano certo radicalizzarsi, odio e rancore erano paranoia pura e la comunicabilità era assidua e affettuosa. Ma se qui la presenza del palestinese pareva aver messo qualche freno alle equidistanze del guru ebreo, la maschera cade nell’intervista data a Guido Caldiron di “Liberazione”. Caldiron, punta di lancia della lobby ebraica nel quotidiano del PRC, è uno che s’era fatto notare a sinistra per gli inni di gioia con cui aveva celebrato la reazione delle destre libanesi alla vittoria di Hezbollah. Sollecitato da domande intrise di virulenza sionista, Ovadia si esercita nella pratica ossomorica dell’equilibrio sbilanciato. “La situazione è terribile e disastrosa anche per gli israeliani sottoposti a missili che possono ferire e uccidere ( tre morti contro 1.500)… La difesa (sic) dei cittadini dello Stato di Israele legittima e sacrosanta… I paesi arabi hanno accumulato pesanti responsabilità… le mire egemoniche della Siria… si sta gettando benzina sul fuoco, si rischia di creare le condizioni per una nuova generazione di terroristi… Quando mai il rogo di una bandiera è servita a fare qualcosa per un oppresso (magari sì, già soltanto dandogli il conforto di non essere solo al mondo e, comunque, fornendo un buon esempio)… che un palestinese perda la testa (sic) è comprensibile, ma che lo faccia uno che vive qui, o un italiano, mi sembra assolutamente inaccettabile… chi fa simili gesti non pensa minimamente ai palestinesi: pensa a se stesso, guarda il proprio ombelico, cerca di farsi notare… io di simili atteggiamenti non ne posso più, non ne posso più di questo ciarpame (sic)… Non è Paolo Mieli, non è Fiamma Nirenstein. E' Moni Ovadia. Peccato che Ovadia non guardi il proprio di ombelichi. Forse avvertirebbe un buco nero nel quale sono scomparsi i torti e le ragioni, gli strumenti criminali della rimozione di un popolo dalla sua terra, usati in 60 anni di terrorismo di Stato, e i sacrosanti strumenti di una disperata resistenza. Poi Caldiron incalza con, in prima pagina, l’intervista alla “pacifista” israeliana, sfuggita ai razzetti di Hamas, che anche lei si proclama equidistante: “La loro paura è la nostra”. Immaginatevi il terrore del bracconiere alla vista del fringuello che potrebbe cagargli sulla giacca.

Del resto tra religiosi ci si intende. All’Ovadia equidistante segue a ruota, su “Liberazione”, il Tonio Dell’Olio (Pax Christi) specularmente “equivicino”. Gonfiato di aria fritta il pallone aerostatico con le “innumerevoli iniziative che hanno portato volontari, pellegrini, giovani, a incontri di testimonianza con gli israeliani”, ecco l’esaltazione dell’ “equivicinanza” che ti fa “biasimare tutti coloro che ricorrono all’uso della forza e che continuano a credere, contro ogni evidenza, che la violenza possa risolvere problemi profondi… Bruciare fantocci e bandiere è il segnale preoccupante che la logica del disprezzo dell’altro ci ha catturati, aggiunge fuoco a fuoco, odio a odio, è l’ultima delle cose di cui abbiamo bisogno". Parrebbe dunque che per questi salomoni, impegnati a spaccare in due il bambino conteso tra madre vera e madre falsa, la cosa peggiore di tutte sia il rogo di uno straccio imperialista e di un pupazzo di killer in uniforme. Canagliesco, poi, il richiamo in finale alle vittime della Cecenia, della Somalia e del Darfur, tutte situazioni care ai missionari cristiani, care e rimpiante per non essere riusciti ad impadronirsene, nonostante la grande abilità interventista degli imperialisti e l’ancor più grande abilità mistificatrice dell’apparato mediatico e pacifinta. Naturale che, ahimè in sintonia con il dabbenuomo Paolo Ferrero, segretario del PRC a dispetto della marmellata poltronara di Svendola, questa gente sostenga come unico sbocco “realistico” i “due Stati per due popoli”. Uno Stato militarizzato fino ai denti, sostenuto dalla sedicente comunità internazionale a costo di qualsiasi obbrobrio (anche perché buon modello per repressioni interne e spedizioni internazionali future), accanto a uno “Stato” che non è che un puzzle su cui sia piombato un masso, senza confini, senza sovranità, senza forze armate confrontabili con stati sovrani, butterato dalle città del mezzo milione di coloni a crescere, privato di autonomia economica, politica, culturale. Com’è che vengono taciute da tutti le voci degli ebrei d’onore e umanità che si levano contro questa aberrante finzione per gonzi e dimostrano come l’unica uscita realistica e giusta sia lo Stato unico, democratico, possibilmente laico, con pieno diritto degli espulsi a tornare nella loro terra.

Massimo D’Alema è ribalzato sugli scudi dell’onorabilità a sinistra per aver borbottato due banali ovvietà: che l’azione israeliana era “sproporzionata” e che con Hamas si deve pur parlare. Ma che bravo il furbetto di un partitino da sottrarre al controllo del rivale troppo destrorso, facendo le fusa ai detriti della sinistra e al papa e occhieggiando verso quella maggioranza di paesi nel Sud del mondo che danno segni di insofferenza verso l’apocalisse planetaria perseguita dagli USraeliani, senza soluzione di continuità da Monroe a Obama! Sarebbe stato più credibile, il baffetto dai mille fiaschi, se avesse fatto qualche passo indietro sulla Jugoslavia. Questo è il sergente di ferro e politico di fuffa a stelle e strisce che ancora si vanta di aver fermato con le sue bombe stragi in Kosovo inventate per la bisogna, che nulla hai mai detto sui massacri perpetrati dai gangster narcotrafficanti dell’UCK, addestrati dall’agente Cia Bin Laden, a danni della minoranza serba in Kosovo. E’ il traffichino che ha sponsorizzato l’Operazione Arcobaleno in Albania, butterata dalla corruzione e dal ladrocinio e inquisita a Brindisi. E’ il tentacolino imperialista che ha sottoscritto, in piena aggressione alla Jugoslavia, la mutazione genetica della Nato da alleanza difensiva a coalizione di aggressori imperialisti in tutto il mondo. E’ il propedeutico dello Stato di Polizia piduista che ha messo al posto dell’esercito di leva una forza professionale di sgherri interni ed esterni e che ha dato ai Carabinieri lo status di Quarta Arma e poteri senza confronto con le polizie di altri paesi che non siano la Colombia.

Chiudo con un triste sorriso per quei compagni che si tagliano le palle politiche e morali frenando sulla solidarietà e sul rispetto per i combattenti di Hamas, “integralisti religiosi senza progetto politico accettabile”. Si risentono, le anime ortodosse e delicate, anche dell’ eccessivo indugiare di Santoro sui macabri particolari dei bambini di Gaza. Li svergogna perfino il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina che, correttamente, mette da parte ogni differenza ideologica nel momento dell’unica priorità, la resistenza. Meschino e saccente eurocentrismo che, questo sì, guarda solo al proprio ombelico. Dicono che quelli di Hamas, riconosciuti da un popolo sbranato, non sono per la rinascita araba, ma per l’ umma musulmana. Rieccheggiano le diffamazioni dei predatori. Ma chi glie lo ha detto? Ci portino i documenti di Hamas che parlano di califfato e non di liberazione della Palestina. Nella quale Palestina liberata se la vedranno poi liberamente ideologie e sistemi sociali e chi avrà più filo più tesserà. Mi ricordano quel puzzone del PRC che, di fronte all’immane tragedia irachena e ai successi dei suoi partigiani, scrollò le spalle e dichiarò con sufficienza: “La resistenza irachena non ci parla””. E anche così che Bertinotti è arrivato alla terza carica dello Stato.
Sei tu che non la sai ascoltare, coglione!

martedì 20 gennaio 2009

BERLINO-TEL AVIV, SIMMETRIE

Queste foto, di origine ignota, ritrasmesse da Axis of Logic, sono utilissime agli appassionati di equidistanze e simmetrie e ai fustigatori di paragoni. Simmetrie tra israeliani e resistenza palestinese, paragoni con chi si sa.
Fulvio


















































































































































































































lunedì 12 gennaio 2009

DUE,TRE, CENTO MARZABOTTO! Kappler, Mengele, Riina al potere a Tel Avivi e in azione a Gaza


























































Non c’è crisi umanitaria a Gaza
(Tzipi Livni, ministro degli esteri israeliano)

La prima volta che apprendemmo che i nostri amici venivano macellati ci fu un grido d’orrore. Poi ne vennero massacrati cento. Ma quando ne rimasero uccisi mille e il macello non finiva, si estese una coperta di silenzio. Quando il male arriva come la pioggia, nessuno urla: alt! Quando i crimini si ammucchiano diventano invisibili. Quando le sofferenze diventano insopportabili, le grida non si sentono più. Anche le grida cadono, come pioggia d’estate.
(Bertold Brecht)

Ai pudichi e sdegnati obiettori agli accostamenti nazi-sion: Kappler rastrellava civili a centinaia, li rinchiudeva e li ammazzava, Riina è il pregiudicato, mandante ed esecutore di assassinii mirati e di stragi, Mengele è quello che, per far avanzare la scienza e la tecnologia, chimicizzava e devastava organismi umani vivi. Qualcuno mi dica la differenza tra Kappler e il ministro della difesa Barak e tutti i suoi generali, tra Riina e il corrotto e inquisito capocarnefice Olmert, tra Mengele e chi ha perfezionato e adoperato le armi al fosforo, chimiche, termo bariche, su masse umane condensate.

L’altra sera, quando in tutta Italia si è celebrato il decimo anniversario della morte di Fabrizio De André, il poeta-musicista in direzione ostinata e contraria dal primo all’ultimo giorno, ho frequentato un’analoga funzione in un paesino dell’Alto Lazio. Un gran bel documentario con le testimonianze e i canti di amici e colleghi, contemporanei e successivi, e poi…Erri de Luca. Per molti di voi si tratta meramente dello scrittore e bibliomane che ha tradotto e propagandato, con zelo da neofita travolto dall’illuminazione biblica, la Genesi, il Talmud e molte altre parti di quell’invenzione letteraria e storica di alcuni furboni che, nel VI secolo A.C., si sono inventati, a scopi nazionalimperialistici, una storia fantastica delle origini del mondo e del popolo eletto, perlopiù plagiata da altri miti più antichi. Per me e alcuni vecchi compagni, Erri era, invece, prima della conversione-perversione all’ebraismo in chiave sionista, il rispettato dirigente di Lotta Continua e il combattivo responsabile del miglior servizio d’ordine che il movimento ’68-’77 abbia mai avuto. Canticchiato un paio di canzoni di De André e affabulato il folto pubblico con due, tre, simpatici aneddoti di impronta sociale e antiguerra, Erri ha chiuso con la conferma che, oggi come allora, gli fanno schifo le guerre, ma sostiene le lotte di liberazione di popoli occupati o invasi. Bravo, bene, sette più.

Poi ha sollecitato domande e osservazioni dal pubblico e, avendo l’oratore collegato il tema della guerra con quanto di stupendamente valido sull’argomento pervade il lavoro di De André, avendo perfino menzionato Iraq e Afghanistan, è venuto spontaneo che qualcuno lo interpellasse sulla mancanza, nel suo elenco, di una terza schifezza di guerra, quella in Palestina. La risposta è stata di carattere al tempo stesso squisitamente astuta e scientificamente demenziale: “E’ capitato che li nascessero e si scontrassero in guerre continue le tre religioni monoteistiche, è sempre stato così e sempre continueranno a massacrarsi “. Chiuso l’argomento di chi ha portato via un paese a chi. Con tanti saluti ai mille palestinesi rinchiusi in un lager, affamati, devastati e poi uccisi in massa, e a tutti gli altri sterminati da sessant’anni a questa parte. E non senza rilevare che di quei tre monoteismi, uno fa mattanze, uno fa silenzio e il terzo viene fatto fuori. Mi è allora capitato di rivolgermi al pio e rassegnato fatalista: “35 anni fa marciavamo insieme in testa a cortei per la Palestina, esattamente nel segno, che tu hai appena ribadito, della giusta lotta dei popoli contro invasori e occupanti. Non credi che la tua analisi odierna, con la quale ti rifugi e nascondi i serial killer israeliani dietro la panzana delle tre religioni che escatologicamente si devono fare la guerra, trascuri che carneficine tipo Gaza vengono perpetrate, dagli stessi e affini, anche là dove non c’è nessuna triade religiosa ad accapigliarsi? Trascuri anche che il presunto scontro tra monoteismi (che gli dei li stramaledicano! questo non glie l’ho detto) fino a ieri era tra i teocrati israeliani e un fronte palestinese e arabo assolutamente laico, che lottava nel nome dell’anticolonialismo e non certo di Allah. Soprattutto trascuri qualche piccolo interesse economico (acqua, petrolio, mercati, forza lavoro), di classe, militarindustriale, geostrategico, che ha fatto promuovere alle destre democratiche e non democratiche del mondo (pure l’URSS) l’invasione di milioni di “ritornanti” (che non erano mai stati dove “ritornavano”), la liquidazione di un popolo, un cuneo incastrato nella nascente unità anticolonialista araba?” Domandina semplice, semplice, no? La risposta dell’integerrimo letterato e rivoluzionario: “A questo non ribatto”. Disse, salutò e si dileguò, insalutato ospite per davvero. Paura, eh?

Ho citato l’episodio perché Erri De Luca è uno che fa opinione, spaventosa opinione, ma opinione. In questo campo agisce sul fianco, nella galleria di servizio, agli ultrà della lobby ebraica annidati nei due partitoni di destra (intendo PDL e PD), nel “Corriere”, nella “Repubblica”, in tutta la televisione (con attenuanti per il TG3), e nel chiacchiericcio della decerebrazione, indotta dai primi, nei bar, nelle sale d'aspetto, in tram. Ma fa addirittura da capogita agli escursionisti (Morgantini si è fermata 120 minuti a Gaza) del pacifismo nonviolento equidistante o, quanto meno, simmetrico. Quelli che su ogni scena di energumeno che strangoli un ragazzino o calpesti un neonato fanno piovere le geremiadi delle loro querule invocazioni al dialogo, all’incontro, al baciamano della gazzella alla pantera. Non ricambiato. Già, perchè chi si dice equidistante o simmetrico, automaticamente favorisce il più forte. Alla loro pietistiche, a volte strumentali perorazioni per il passaggio dalla macelleria al Circolo della Caccia (per soli soci di buon lignaggio, tipo Abu Mazen), va ricordato che nella lunga storia dei conflitti umani, delle oppressioni, dei poteri assoluti come quelli attuali, chi opprimeva e aveva il potere per farlo, mai s’è visto rinunciare alla sua posizione senza essere stato preso per il collo e buttato giù.

Ho ripetutamente detto una banalità: tra chi nella mia casa mi impedisce di spegnere l’incendio appiccato dal nemico e chi da fuori mi assedia, cerco di neutralizzare prima il sabotatore, consciamente o inconsciamente collaborazionista, e poi sono in grado di difendermi contro l’assediante. Quello che mi dà fuoco lo conosco: mi insegue da sempre. Ma il primo sta tra i miei e potrebbe anche convincere gli altri a unirsi a quel disarmo unilaterale, privandomi delle difese. Sono coloro che, a ogni riemergere di movimenti di protesta che antepongano la giustizia per i vivi alla pace degli zombie, che illustrino come il nero stia di qua e il bianco di là, stavolta indiscutibilmente, sollevano contro-ondate di inchiostro per affogarci nelle acque nere dell’equidistanza, dei guerrafondai che si difendono (da chi hanno da sempre aggredito), ma, perbacco, anche degli estremisti, integralisti, terroristi. Cattivo il grosso, cattivo il piccolino, chi è che continuerà a menare?




















Qui, o si stabiliscono altri rapporti di forza, a livello interno (resistenza palestinese e dissenso ebraico) e internazionale (scelte di governo che si modifichino sotto la spinta delle masse, moltiplicazione dei Chavez, boicottaggio universale), o c ‘è poco da cicalare di dialogo. Così abbiamo avuto la contromanifestazione concertativa CGIL alla manifestazione dei sindacati di classe, così abbiamo oggi una contromanifestazione di tutti gli associazionisti delle compatibilità, Tavola della Pace, Acli, Ponte per… Arci, Cgil, cattocaritatevoli vari, Legambiente, Ovadia, Parlato, quei lettori che “il manifesto”, nello spirito islamofobo di Giuliana Sgrena, privilegia nella sua rubrica delle lettere e che, facendo eco alla giornalista Manuela Cartosio, esprimono tutto il loro “disagio” (di cattolici? di laici? di razzisti? ) a trovarsi in mezzo a manifestanti che pregano Allah. Si mettano in testa che è il loro Allah, a me del tutto estraneo, ma la cosa non conta una pippa, a dargli la forza di tenere in piedi la dignità e, domani, la vita della Palestina e non solo. Le organizzazioni e i partiti della sinistra “radicale”, le associazioni del movimento, che già il 3 gennaio avevano messo in campo la protesta, eminentemente palestinese e islamica (con contorno di compagni autoctoni), hanno indetto una manifestazione nazionale per il 17 gennaio. Stanno aderendo centinaia di organismi da tutta Italia. Cosa fa la banda dei quattro chierici della nonviolenza a tasso variabile? Indice per la stessa giornata una sua kermesse “nazionale” nell’ecumenica Assisi. Là dove non si conoscono nemici, ma soprattutto si evitano certi amici, e tutto si risolve in scambi di doni e benedizioni. Cosa gli impediva di dare il proprio contributo a una piattaforma di ottime persone, interpreti dei sentimenti e dei pensieri degli interessati di qua o di là dal mare, che esige la fine di una mattanza senza confronti per brutalità e criminalità e, dunque la tregua (che deve essere prima degli assalitori e poi di chi si difende) subito? Sapete cosa li faceva rabbrividire di questa piattaforma? Che non si diceva veltrinottianamente: “Si deve fermare l’attacco, ma anche il lancio di Kassam” e ci si asteneva dal demonizzare i “fondamentalisti”. E ciò contaminava questi molli e puri. Vivono nella speranza che ai carri armati israeliani si mettano cingoli di gomma e che sulla torretta rientri a Gaza il “moderato” Abu Mazen. Basta con questa imbarazzante Hamas. Se poi avessero dovuto assistere al rogo di una bandiera USraeliana, avrebbero dovuto precipitarsi dal confessore per denunciare l'involontaria collusione con la blasfemia. Intanto vanno a fuoco centinaia di bambini sotto il fosforo bianco.

In tutto il mondo si succedono e crescono manifestazioni terribilmente incazzate, a centinaia di migliaia assediano ambasciate, invadono e paralizzano città, circondano i palazzi del potere e li subissano di scarpe all’irachena, si scontrano con la polizia, come in tutto il paese di nuovo l’Onda greca (la nostra che fa?). Qui una secchiata di vernice rossa, tratta dall’oceano di sangue palestinese, sulle sedi dello Stato terrorista e dei suoi sicofanti provoca il virulento sdegno e l’immediata mistificazione: “Teppisti con rigurgiti antisemiti”. Metterei la barba nel camino che così la pensano anche quelli di Assisi. Poi ci sono i fascisti che, terminali della provocazione cossighiana, si sono messi a rubare alle forze antimperialiste anche il tema dell’antisionismo e della solidarietà con i palestinesi. Fanno come a Piazza Navona: contro i baroni universitari per finta e a favore sul serio della fascistizzante Gelmini. Tocca tenerli d’occhio, fanno in piccolo il lavoro di Al Qaida e ricevono l’input dalle stesse fonti. Ne deve uscire la formula fascisti-uguale-terroristi-uguale-sinistre antimperialiste. Ai primi due la paga, agli ultimi le mazzate.

A tutti offro una risposta che non si sarebbe potuta formulare meglio. E’ un’istruttiva epistemologia di Israele.

Stefano Sarfati Nahmad
Da il Manifesto, 9/1/9.

Ascolta, ascolta Israele!
Hai fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori dicendo che li hanno usati come scudi. Non so pensare a nulla di più infame. A distanza di una generazione, in nome di ciò che hai subito, hai fatto lo stesso ad altri: li hai chiusi ermeticamente in un territorio, e hai iniziato ad ammazzarli con le armi più sofisticate, carri armati indistruttibili, elicotteri avveniristici, rischiarando di notte il cielo come se fosse giorno, per colpirli meglio. Ma 688 morti palestinesi e 4 israeliani non sono una vittoria, sono una sconfitta per te e per l'umanità intera.
Ascolta Israele!
Io non rinnego la mia storia, la storia della mia famiglia, che è passata dalla Shoah. Però rinnego te, lo Stato di Israele, perché hai creduto di poter far valere il credito della Shoah per liberarti del popolo palestinese e occupare la sua terra. Ma non è così che vanno le cose, non è così la vita. Il popolo di Israele deve vivere di vita propria e non vivere della morte altrui.
Ascolta Israele!
Io non rinnego la mia storia, la storia della mia famiglia che è passata dalla Shoah, ma io oggi sono palestinese. Io sto dalla parte del popolo palestinese e della sua eroica resistenza. Io sto con l'eroica resistenza delle donne palestinesi che hanno continuato fare bambine e bambini palestinesi nei campi profughi, nei villaggi tagliati a metà dai muri che tu hai costruito, nei villaggi a cui hai sradicato gli ulivi, rubato la terra. Sto con le migliaia di palestinesi chiusi nelle tue prigioni per aver fatto resistenza al tuo piano di annessione.
Ascolta Israele!
Non ci sarà Israele senza Palestina ma potrà esserci Palestina senza Israele, perché il tuo credito, ormai completamente prosciugato dalla tua folle e suicida politica, non era nei confronti del popolo palestinese che contro di te non aveva alzato un dito, ma era nei confronti del popolo tedesco, italiano, polacco, francese, ungherese e in generale europeo; ed è colpevole la sua inazione.

Ascolta Israele, ascolta questi nomi: Deir Yassin, Tel al-Zaatar, Sabra e Chatila, Gaza. Sono alcuni nomi, iscritti nella Storia, che verranno fuori ogni qualvolta si vedrà alla voce: Israele.



DA DIFFONDERE E DENUCIARE IN TUTTI I PAESI
Un sito di criminali http://stoptheism.com/ invita ad uccidere i pochi volontari che prestano assistenza sanitaria a Gaza sotto le bombe israeliane.Si tratta dei volontari dell'ISM (International Solidarity Movement), americani, australiani, spagnoli, italiani, ecc.da cui provengono le rare notizie sulla reale entità dell'aggressione israeliana a Gaza. Tra di essi, Vittorio Arrigoni, cooperatore e attivista dei diritti umani.E' un vero e proprio incitamento all'assassinio supportato da foto segnaletiche. E' inconcepibile che esso sia ancora on-line. Il Governo e il Ministero degli Affari Esteri si attivino subito per chiederne l' immediato oscuramento e chiusura e per assicurare i responsabili alla giustizia.