venerdì 24 dicembre 2010

UN 14 DICEMBRE LUNGO TUTTO IL 2011


Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
(Dante Alighieri, Purgatorio, I, 70-72)

Cari amici, corrispondenti, interlocutori, compagni, ancora una volta devo scusarmi di non avere il tempo per chiudere adeguatamente questa annata di letame che, sul finire dell’autunno, ha visto deandreianamente spuntare dei rigogliosi fiori rossi. L’irrinunciabile accanimento lavorativo sul docufilm “Messico, angeli e demoni nel laboratorio dell’Impero”, che deve essere finito per metà gennaio, tempo per il quale ho impegnato la mia ottima montatrice, mi impediscono di dedicarmi al blog e continuare le a me care conversazioni con tutti voi. Vi snocciolo dunque solo alcuni pensierini che via via, negli ultimi tempi, ho sparato su feisbuc. Quanto ai miei auguri, che, saltando a pié pari le oscenità natalizie, sono pensati per l’anno a venire, non ne ho trovato uno migliore di quello che apre questo irriverente rosario laico. I nostri bravissimi studenti – lascio ai margini i buoni perbenisti dell’UDU, una specie di CISL dell’università - hanno capito tante cose. Spero che la loro incredibile maturazione includa presto anche la coscienza antimperialista, cioè la comprensione del quadro complessivo e dei suoi autori, mercanti e compratori.



Il migliore augurio: un 2011 straripante di 14 dicembre!


Luca Zaia, l'unto del barbiere, regala ai bimbi veneti una bibbia. Per compensare questo attentato all'incolumità mentale infantile, Berlusconi esonera i veneti dalle tasse. Ma non gli aquilani perchè più che alla bibbia, sembrano credere al 14 dicembre.


Da una settimana i nazisionisti bombardano l'inerme Auschwitz chiamata Gaza. E uccidono innocenti. L'ONU, che condanna il Sudan ma non il Messico o l'Italia dei CIE, giustifica e approva perchè "in risposta ai razzi". Se incontrate quei sinistri che invocano l'ONU (Tavola della Pace e sconcezze simili), sputategli in faccia.


Il rivelatore si è rivelato un'altra volta: Wikileaks si associa al manutengolo del capitalismo e venditore dell'URSS Gorbaciov e all'oligarca ladrone Alexander Lebedev. Tutti e due cari anche ad Anna Politovskaja, giornalista sionista al soldo delle emittenti Cia "Free Europe" e "Liberty", a sua volta cara, quanto Assange, all'universo mondo.

Un'associazione e delinquere che fabbrica auto, con il sicario immaglionato ricatta: o schiavi o morti. E' la stessa metastasi che dal dopoguerra ha imposto all'Italia un modello di trasporto necrogeno con un prodotto di schifo, obsoleto, destinato a ucciderci. E poi blaterano di violenza! W il 14 dicembre.

Da noi picchiatori nazifascisti divenuti boss berlusconidi impongono arresti preventivi e detenzioni su sospetto, alla Obama. In Argentina la presidente Kirchner e la ministra Nilda Garré hanno proibito alla polizia nelle manifestazioni di portare armi da fuoco, incluse quelle che sparano gas o proiettili di gomma. Latinoamerica, continente della speranza.

Nel momento della massima ferocia repressiva del mafioterrorismo al potere, il Papa detta ai suoi due rettili di razza, Bagnasco e Bertone, la riconferma del sostegno alla cosca berlusconide. Da 2000 anni il potere è la metastasi, la Chiesa cristiana il tumore maligno. Viva i ragazzi, tutti, del 14 dicembre.


Questa banda di delinquenti, partner della mafia e ascari di Cia e Mossad, che dal 1948 si mantiene al potere a forza di stragi di Stato e bombe mafiose, ossigenata dagli inciuci di una falsa opposizione, osa, per bocca di un necrofilo ministro degli interni, criminalizzare gli studenti che hanno riscattato l'onore del paese e gli hanno riaperto il futuro.


Dopo i licantropi del "dagli al delinquente", i pifferi dei nonviolenti che rampognano i "ragazzi traviati dai teppisti", "comprendendone peraltro il disagio, non fosse mai!, ma, perbacco, a bruciare cose ci si da la zappa sui piedi". In testa i grilli parlanti del collaborazionismo nazionale, Saviano e Marcon, (quello della burla Sbilanciamoci"), amici del giaguaro e utili idioti. Viva il 14 dicembre!


lunedì 20 dicembre 2010

'CA NISCIUNO E' FESSO


La non-violenza è il disarmo unilaterale insegnato dagli amici del giaguaro agli utili idioti.
(Anonimo)

Sono impelagato 16 ore su 24 nel montaggio del nuovo documentario Messico, angeli e demoni nel laboratorio dell’Impero, che deve essere finito per metà gennaio. Non mi resta quindi molto tempo per scrivere nel blog cose che abbiano senso. Mi limito perciò a riprodurre testi che mi sono pervenuti e che reputo degno di attenzione e riflessione. Il primo contributo è una cronaca originale del 14 dicembre che mette in risalto il ruolo dei Disobbedienti, o come ora si chiamano. Avendo acquisito a suo tempo parecchia dimestichezza, tra Italia e Chiapas (il loro Shangrilà), con gli ex-disobbedienti, non fatico minimamente a credere ciò che viene riferito. Trattasi di fighetti della piccola borghesia frustrata e vociferante, pseudo sovversivi, grandi trafficoni imprenditoriali, grandi protagonisti di scontri fasulli a beneficio di telecamere, cui il fasullone supremo, Marcos, ha iniettato la dolce, rassicurante droga della non-violenza e del disinteresse per il potere statale. Eversivi, ma entro i limiti della compatibilità. Son ragazzi.... Grandi cultori delle fuffarole affabulazioni del subcomandante dalle epifanie sparse tra intervalli di due, tre anni, come della vuota retorica delle “narrazioni” con cui, berlusconianamente, Vendola mena il can per l’aia e gli utili idioti per il solito cul de sac delle finte sinistre. La cosa buona del 14 dicembre è che costoro sono stati politicamente infilati nel magazzino del robivecchi della storia. Finisce il ruolo di chi si atteggiava a rivoluzionario tenendo il culo al caldo delle benevola tolleranza del sistema. Vedi la degenerazione privatistica e istituzionale del Leoncavallo di Milano. Se non metti in discussione il potere nello Stato, se non lo strappi a chi ne abusa, sei liberissimo di sbraitare all’indirizzo di quel potere, così rassicurato, tutte le contumelie che vuoi.




Quanto a Saviano e alle lettere di risposta alle oscenità da lui scritte su La Repubblica, vi si dicono tante cose giuste, giustamente indignate e risentite. Ma, a mio parere non si arriva al nocciolo della questione. Parlando di “torri d’avorio”, di uno che, trovandosi da altre parti, non si rende conto di cosa succede in strada, nelle scuole, nelle fabbriche, nel precariato, nella disoccupazione, si è troppo indulgenti con questo fantastico cialtrone. Eppoi, non si tratta di uno che ha cambiato casacca, fenomenologia attinente al carattere cattolico di gran parte del nostro popolo, da Crispi attraverso Sofri fino a Occhetto, al verminaio DS-PD a Scilipoti. Saviano è diverso, come Assange di Wikileaks che sparge banalità trafitte da veleni contro i nemici dell’Impero, o come Obama, il finto nero, presentato come Uomo del cambio e invece operativo delle più feroce reazione. E’ operazione più raffinata. Saviano è un ominicchio creato in provetta e che procede in perfetta malafede al servizio dei suoi professori Frankenstein.

Con la casa editrice del guitto mannaro, Mondadori, questo arnese del tanto tossico quanto sciropposo perbenismo nazionale ha costruito, copiando da inchieste giudiziarie e dal lavoro di investigatori seri, in piena collaborazione con poteri forti esistenti, un trinomio mediatico, libro-film-televisione, che ne ha costituito il piedistallo su cui ergersi e farsi adorare, novello salvatore della nazione. Un idolo perfettamente speculare a Padre Pio, parimenti fondato su illusionismi, superstizione, bisogno di delega all’elemento taumaturgico. Berlusconismo puro, come quello di Vendola, a sua volta costruito dal caro-a-Vespa anticomunista Bertinotti. Berlusconismo antiberlusconiano, nella fattispecie, dato che il soggetto viene adoperato dalle forze che, fuori di qui, puntano al ricambio di un loro rappresentante ormai logoro, in caduta psicopatica e vagamente incontrollabile.

Finchè ci limitiamo a deplorare che Saviano non capisce, è fuori dai giochi, non cogliamo nel segno, anzi gli rifiliamo pure un altro po’ di credito. Non fa errori, Saviano, non prende cantonate. Saviano è, fin dalla prima sua apparizione e del lancio del piano Santo-subito per fottere i minchioni e depistare i benintenzionati, un agente della controrivoluzione, un mistificatore che si avvale dell’indoratura verniciatagli addosso dalla più poderosa unanimità mediatica dal tempo di Obama per indorare la pillola velenosa che ci somministra, o lo stiletto con il quale ci colpisce alle spalle mentre ascoltiamo a bocca aperta e con la lacrima al ciglio le sue trombonate moralistiche. Ma poi, per riconoscere la caratura dell’autentico bastardo, oltre a quel mortifero sguardo da Pyscho, non bastano le sue ininterrotte dichiarazioni di amore per Israele? Ma come, uno che pretende di essere il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata napoletana, si fa vindice, copertura e vessillifero della più orrida criminalità organizzata in Stato che sia mai apparsa sulla faccia della Terra? Chi sta con questo Stato nazisionista è per definizione un delinquente che si fa felicemente manovrare – e retribuire: Mondadori, Endemol, chissà chi altro - dalla cupola dei delinquenti. Saviano questo è.
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CRONACA E SIGNIFICATO DI UNA CRUCIALE FIAMMATA
Per capire cosa di enorme sia realmente accaduto a Roma martedì 14 dicembre, occorre tornare a martedì 23 novembre. Il 23/11 è stata infatti la prova generale del 14/12.
Quel giorno, il 23/11, il movimento studentesco universitario romano, egemonizzato dai Disobbedienti (i quali, non dimentichiamolo, da alcuni mesi sono in sodalizio con Sel di Vendola, e che dal mese di Ottobre hanno dato vita con la FIOM alla rete «Uniti contro la crisi» (vedi l’Appello costitutivo), porta in piazza decine di migliaia di studenti per protestare contro la "riforma" Gelmini.
L’indicazione che danno i capi dei Disobbedienti (indicazione concordata con pezzi del ceto politico della sinistra istituzionale e sindacale) è quella di recarsi sotto il Senato, proprio mentre si vota la "riforma". Un assedio del Senato tutto virtuale, infatti non succede nulla di grave. La stessa presenza delle forze di polizia è scarsa, e drappelli di manifestanti vengono fatti giungere fin dentro l’androne del Senato stesso.
La partecipazione a quella manifestazione fu enorme. Al di là delle più rosee aspettative, a dimostrazione che la rabbia della gioventù neo-proletaria, cresciuta sottotraccia da un decennio almeno, da impercettibile comincia a quagliare in vera e propria protesta.
Siccome il grosso dei dimostranti non voleva solo fare mucchio, da spettatore alla sceneggiata promossa dai disobbedienti, questo grosso, inopinatamente, spontaneamente, ha lasciato i protagonisti della scenda del finto assalto al Palazzo, e se n’è andato in corteo per il centro della città, di fatto occupandola.
Due i fatti avvenuti: il primo una grande partecipazione, il secondo, che la gran parte degli studenti ( ma anche giovani delle borgate romane, studenti e no, molti provenienti dalle curve dello stadio ) non ha voluto seguire come pecore quelli che pensavano di essere alla "guida" del movimento romano.
Il 14 è successo questo, ma su una scala di ampiezza e di radicalità decisamente più ampia e devastante.
La manifestazione del 14/12 è stata promossa dalla rete «Uniti contro la crisi». Qual’era il vero obbiettivo dei promotori? Dietro allo slogan di "assediare il potere" si voleva in verità fare solo una rumorosa sfilata, che si sarebbe dovuta concludere tranquillamente a Piazza del Popolo. La loro recondita speranza? Festeggiare in piazza, in diretta, la "sfiducia" a Berlusconi, quindi la sua caduta. Infatti, a parte l’attacco alla sede della Protezione civile nulla di serio era accaduto fino all’ingresso in Piazza del Popolo.
Tuttavia, come deve ammettere lo stesso "Manifesto", l’attacco alla sede della Protezione civile mette in mostra un fatto "sorprendente": il manipolo di assalitori viene riaccolto nel corteo da cui si era staccato, da scroscianti applausi e grida di giubilo. Un segnale di quello che avverrà poco dopo, quando dopo l’una si viene a sapere che Berlusconi, la fiducia, l’ha invece ottenuta.
Quando arriva la "triste" notizia la piazza lascia esplodere la sua rabbia, lasciando con un palmo di naso gli architetti della rete «Uniti contro la crisi».
I Disobbedienti invitano alla calma, dal camion annunciano che si svolgerà l’assemblea, leggi i comizi dei soliti noti. La piazza se ne infischia. In migliaia cominciano ad imboccare via del Corso, ovvero vogliono dirigersi verso il Parlamento. La polizia viene colta impreparata, forse perché, come da accordi coi promotori, la cosa doveva finire lì, con un happening per la caduta del governo.
I Disobbedienti, «Uniti contro la crisi» hanno toppato, hanno creduto alle informazioni di PD e Sel che davano per assolutamente certa la vittoria della Mozione di Sfiducia. E così vengono colti del tutto impreparati dall’esplosione di rabbia della piazza, non di un manipolo di black bloc, che non si sono visti, semplicemente perché non c’erano.
Mentre scoppiano i primi tafferugli il grosso del corteo non era infatti nemmeno entrato in Piazza del Popolo. Mentre i più coraggiosi, in migliaia, tentano lo sfondamento in Via del Corso, Via del babbuino, e in Via di Ripetta, riuscendo a fare diverse centinaia di metri, le decine di migliaia che stavano affluendo in piazza, non scappano, non abbandonano il terreno, premono anzi, dando forza ai più combattivi.
Di qui i tafferugli, la guerriglia, durata alcune ore, fatta di battaglie campali, spesso vinte dai dimostranti, in gran parte giovani, giovani senza appartenenza politica, senza adeguata preparazione agli scontri. Non la perizia ma il numero ha fatto la loro forza, e l’evidente simpatia e sostegno del grosso della manifestazione.
A cosa dunque abbiamo assistito a Roma il 14 dicembre? Allo scoppio spontaneo della rabbia della gioventù neo-proletaria, al fatto che i promotori sono stati scavalcati in maniera oserei dire spettacolare
Oggi giornali e TV, all’inizio, hanno cominciato con la solita litania dei "provocatori" che hanno guastato una pacifica manifestazione. Poi hanno dovuto correggere il tiro, hanno dovuto ammettere, un po’ tutti, che si è trattato di un’altra cosa, di un’enorme rivolta giovanile. Non un manipolo di violenti addestrati allo scontro, ma migliaia e migliaia di giovani, spesso giovanissimi, politicamente inesperti e non intruppati dietro ad alcuna sigla.
La casta, il potere, tutti i politicanti, nella loro autistica autoreferenzialità, si sono dati all’esecrazione, gridando allo scandalo per "l’inaudita violenza". Altri, rasentando il ridicolo hanno parlato di "infiltrazioni". Pur di negare la realtà, hanno riesumato il complottismo, parlando di poliziotti in borghese che avrebbero provocato "il casino". E’ triste vedere che bel web, anche siti di certo non amici del potere, siano caduti in questa trappola. Si vede che non c’erano, e si vede quanto siano distanti dalla rabbia sociale che monta. E che è solo all’inizio.
Non basta una fiammata a cambiare il corso delle cose. Ma la fiammata del 14/12 lascerà una traccia indelebile. E’ il segno che stiamo entrando in una una fase, e che non ci si entra tranquillamente, ma per strappi e fratturazioni, sociali e politiche. Questa fiammata è il segno che il risveglio sociale, tanto atteso, è in corso, avanza sotto i nostri occhi. Guai alle classi dominanti chi non vogliono prenderne atto. Guai a chi si agita per cambiare la realtà e pretende di rappresentare un’alternativa, e tenta di fare finta di niente.
Quello che si sta faticosamente mettendo in movimento non è solo rabbia, contiene incipiente l’alternativa futura. E, rispondendo a chi in questo blog si chiedeva "dove stavate compagni operai?" (vero è che il plotone della FIOM, il 14 /12 a Roma erano poco più di un centinaio), vorrei rispondere: abbia un po’ di pazienza, non sono lontani i tempi in cui anche milioni di lavoratori scenderanno in piazza e smetteranno di piagnucolare. Sempre sono i giovani i primi a protestare, ad indicare la strada.
E questo è il fatto nuovo, come ad Atene, Parigi, Dublino e Londra, anche a Roma questa strada è stata indicata. Non sarà questo potere putrido a potere fermare ciò che si sta mettendo in moto.

PiEmme



http://www.unicitta.it/2010/12/16/lettera-di-saviano-agli-studenti/

Lettera di risposta degli studenti di Bologna.

" Signor Roberto Saviano, siamo le centinaia di persone che ancora oggi, ad un mese di distanza dalla nostra occupazione, continuano la lotta contro il governo Berlusconi, il ddl Gelmini ed in generale le politiche di austerity portate avanti da questa classe politica.
Ma siamo anche centinaia di persone scese a Roma il 14 per sfiduciare dal basso il governo.Siamo quegli studenti, operai, comitati territoriali, migranti, tutti colpiti da questa crisi e che hanno deciso di usare la loro legittima forza collettiva contro chi ancora una volta si nascondeva dietro zone rosse a difendere i suoi privilegi mentre a noi viene rubato ogni giorno il nostro futuro.
Non siamo a Genova mentre i black-block e il '77 sono spettri che animano la sua coscienza.
Siamo in migliaia e migliaia,altro che poche centinaia di idioti. Accenda almeno la televisione la prossima volta, visto che sappiamo che non verrà a vedere in piazza la realtà dei fatti.
Siamo parte di quella rivolta generazionale europea che da Londra a Parigi, da Roma ad Atene, non accetta più che in pochi decidano il futuro di tutti loro.
Non siamo violenti noi. E' violento chi rinchiude migranti nei Cie, chi fa bruciare operai come alla ThyssenKrupp, chi manganella senza sosta studenti in tutta Italia, chi rifila contratti a progetto, chi fa diventare le scuole e le università centri di disciplinamento svenduti alle esigenze delle aziende.
Siamo il futuro di questa società, al di fuori di logiche parlamentari e compatibili. Sappiamo già che saremo delegittimati nelle nostre idee e nelle nostre pratiche; quelli che lo faranno, saranno nostri nemici.
Bologna, Lettere e Filosofia Occupata"

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Lettera a Roberto Saviano
La popolarità t’ha fatto proprio male perché oggi mi rendo conto che il mondo della cultura ha perso Monicelli e ci sei rimasto tu.
Mi dispiace dei tuoi guai e ti capisco, perfino, ogni volta che punti lo sguardo in alto per cercare un contatto con il mondo che in questo momento ti è impedito.
Ti sei scelto una lotta dignitosa, l’ho fatta anch’io contro la mafia, la fanno in tanti tutti i giorni, solo che tu ora hai qualcuno che ti fa da scudo mentre altri non hanno che un sanpietrino per difendersi.
Perché i nemici sono pericolosi sempre. La lotta contro i poteri fiacca le giornate, la vita, talvolta, si lo ammetto, anche la fantasia. Ma qui c’è gente che non sta a sentire neppure quelli che sono stati eletti ad icona come te.
Non hai il diritto di insultare chi combatte e bisogna che qualcuno ti dica che dalla consapevolezza di una lotta giusta sei passato ad un delirio di onnipotenza un po’ antipatico. Dovresti dare un limite numerico – che so: tre all’anno? – ai i tuoi sermoni dall’alto della tua posizione privilegiata di stipendiato endemol e mondadori.
Quanti anni hai? 28? 30? E quanti anni avevi quando hai cominciato a vedere il mondo attraverso il filtro della tua scorta? 26? Troppo pochi per capire e te lo dice una che a quarant’anni ancora ha tanto da imparare.
Ti dico io una cosa che qualcuno avrebbe dovuto dirti molto tempo fa. Ti stanno usando. Sei funzionale al potere. Nella tua maniera di difendere lo “Stato” tirando fuori parole degne della peggiore retorica, tutto schierato con la magistratura e con la polizia, sempre calato nel ruolo della vittima dei poteri forti e primo a lanciare sassi contro chi alla vista di quegli stessi poteri alza la testa.
Li conosco quelli come te, borghesi intellettuali che non hanno mai fatto nulla di particolarmente trasgressivo e che improvvisamente si vedono ricucito addosso un abito ribelle che non gli appartiene.
Vedi com’è? Che ti torna subito la tentazione di parlare con la voce di chi tiene tutto in ordine, il tormentone dell’autorità che bisogna rispettare, perché falcone, perché borsellino, perché bla bla bla.
L’hai mai frequentata una piazza? Lo sai perché i ragazzi portano i caschi? Hai presente una testa spaccata da un colpo di manganello come fosse un cocomero? Lo sai che quando le manganellate partono prendono chiunque? Te incluso se fossi nei paraggi e senza scorta.
Troppo comodo parlare dalla tua posizione. Troppo comodo immaginare di non poter essere contraddetto perché ti hanno eletto santo.
E sai che c’è? Che quello che hai scritto tu, girato su repubblica dalla tua agenzia letteraria, con tanto di bollino siae, è solo il lamento griffato di un ragazzo che in un colpo solo tradisce la lotta della sua gente, quella delle famiglie che resistono all’immondizia, delle vecchie e nuove generazioni che lottano per non diventare manodopera della camorra. Un ragazzo che a parole dice di sapere cosa avviene quando i “poteri” ti criminalizzano, usano la macchina del fango, ti isolano per farti fuori. Nella pratica invece tutte queste cose sembrano sfuggirti.
Tu davvero non conosci la storia, figuriamoci l’anarchia. E ti presti al gioco di chi mette al bando un Pinelli al giorno per nascondere i crimini efferati compiuti da stragisti fascisti collusi con quello Stato del quale tu parli a senso unico.
Te lo dico da donna meridionale: se non hai assaggiato la precarietà, se le tue prospettive di futuro sono migliorate, lascia stare. La vita di quelli che invece di una scorta hanno al seguito i creditori è cosa ben diversa.
La tua lettera è proprio brutta perché da un santo come te mi sarei aspettata una epistola diretta ai parlamentari finiani e dell’idv che hanno votato la fiducia al governo. Avresti potuto usare mille parole. Avresti potuto dirigere meglio la tua indignazione. Avresti potuto perfino raccontare le tantissime persone in piazza senza stare su un piedistallo. Immaginando di essere uno di loro, uno come tanti, semplicemente uno che sceglie un altro modo per lottare, rispettabile ma non per questo preferibile per tutti. Avresti potuto dire che quanto era successo non ti è piaciuto senza usare supponenza, senza immaginare di essere superiore a quelli che conducono lotte in modo diverso dal tuo.
Non credo ci sia molto altro da dire: i ragazzi del movimento fanno movimento. Si confrontano. Hanno sicuramente punti di vista differenti. Se lo diranno. Ce lo diranno. Ma tu…tu sei semplicemente un’altra cosa.

CIAO FULVIO,SONO DODO,DI TORINO.
TI MANDO LA MIA RISPOSTA A SAVIANO.FALLA GIRARE,PER FAVORE.

LETTERA A SAVIANO
Caro Roberto Saviano,sono uno dei tanti che ha letto la tua «lettera aperta»,con tanto di bollino siae, ai «ragazzi del movimento».
Non sono uno studente,non ho scritto nessun libro di successo,non vivo interpretando il ruolo di santo-icona, ho 33 anni e faccio l'operaio metalmeccanico.
Ho sempre pensato che la politica va praticata «dal basso»,nelle piazze,nelle strade,con tutti,e le tue parole non sono nuove,nel corso degli anni le avrò sentite migliaia di volte,le solite cose scontate sulla violenza,sui provocatori,sugli infiltrati,i buoni,i cattivi ecc...
Forse i tuo stare su un altare ti impedisce di vedere ciò che ti circonda.
Dietro a quelli che tu chiami «cento imbecilli» c'è tutta la nostra rabbia.
La rabbia di chi la precarietà la vive realmente,giorno dopo giorno,di chi si deve tenere stretta anche la marginalità perchè basta un attimo per passare dalla precarietà alla povertà più nera,di chi vede i propri diritti di lavoratore frantumarsi contro il muro delle logiche aziendali,con la complicità di sindacati che definire "venduti" è usare un eufemismo.
La rabbia di chi,in mezzo a mille difficoltà, cerca di darsi una formazione culturale in paese in cui i governi negano i fondi per l'istruzione pubblica,la ricerca ecc... ma non han problemi a trovarli quando si tratta dell'ennesima missione militare "di pace" in giro per il mondo.
La rabbia di chi deve stare sempre zitto e a testa bassa,legato al guinzaglio del permesso di soggiorno,la rabbia di chi ha visto crollare la propria casa,ha perso tutto e da tempo sente solo le false e odiose promesse di quei nani e quelle ballerine tutti presi dal loro,perenne, mercato di voti e dignità.
La rabbia di chi vede il suo territorio avvelenato da tonnellate di rifiuti,o da quintali di cemento.
La Rabbia di chi un futuro,a queste condizioni,non lo avrà mai.
A Roma c'era la rabbia di tutte queste persone,quelle che tu ti affretti a ridurre a "cento imbecilli".
Questa rabbia è esplosa,e guarda,a tutti noi ha messo coraggio e non paura,è stato qualcosa di liberatorio che ci ha dato fiducia per le mobilitazioni future.
«Adesso parte la caccia alle streghe; ci sarà la volontà di mostrare che chi sfila è violento."
A forza di vivere sulla tua torre d'avorio non ti rendi conto che questo sistema DA SEMPRE criminalizza il dissenso quando questo,come a Roma, si manifesta realmente.
Forse non sai che la repressione ha forme molteplici,e non c'è bisogno di mettere in atto nessuna «strategia della tensione» per attuarla.
Noi la repressione la viviamo quotidianamente sulla nostra pelle e non si tratta solo della guardia che ti pesta,inizia nei rapporti di lavoro attraverso la sottomissione indotta dalla scadenza del contratto.
E' una forma di repressione anche negare un istruzione,superficializzando la cultura,riducendola a nozioni utili per quelle aziende che assumeranno i futuri,e sfruttabili lavoratori interinali.
Così come è repressivo criminalizzare il dissenso,quando esso si manifesta in forme ben poco piacevoli non solo al governo ma anche ai quei sinistri oppositori la cui forma principale di opposizione e dar aria ai denti,sputando sentenze,sicuri dei propri giudizi in tasca,creando divisioni tra «buoni» e «cattivi»,blaterando il solito sermone trito e ritrito sul 77,i caschi,ecc... ,scrivendo «lettere aperte» sui giornali.
Caro Saviano,forse non sai che molta gente il diritto di parola,e quello di esistere,se lo devono conquistare,anche con la violenza.

giovedì 16 dicembre 2010

INFILTRATI, RIVELATORI, GRILLO, MALAPARTE, D'ANNUNZIO, TOGLIATTI




Io ho quello che ho dato
(Gabriele D’Annunzio)
Ardisco, non ordisco
(Gabriele D’Annunzio)

Qui sotto, oltre alla risposta ad alcuni gentili commentatori, troverete materiali utili altrui. In francese, che ovviamente tutti voi conoscete, c’è un’interessante analisi della megatruffa Wikileaks, in cui anche alcuni dei migliori (John PIlger, Michael Moore) sono caduti, ma che ora dovrebbero svegliarsi a vedere le ultime cannonate (immerse al solito in un marasma di notiziole scontate), sparate, in forma di  dispacci diplomatici, contro i principali nemici dell’imperialismo e, soprattutto, di Israele: di nuovo Iran e Corea del Nord e poi Venezuela e Siria. C’è anche un’analisi affine di Eric Salerno, da decenni uno dei più acuti e competenti analisti di Medioriente.
Poi, a scanso di suscitare la riprovazione di alcuni duri e puri, essenzialmente vittime di occhiali deformanti, metto anche un paio di eretici: Grillo e Malaparte. Tanto per ribadire che qualche fiore nasce davvero dal fango. Quello dello schematismo settario è un vizio che ci fa perdere ricchezze preziose. Pensate a D’Annunzio, Pirandello, i futuristi, Ezra Pound, tra i massimi letterati ed artisti del nostro tempo, buttati nella spazzatura per volervi vedere solo uno dei loro aspetti, quello negativo, infinitamente secondario rispetto a quanto ci hanno dato di giusto e vero e bello. Poi, per quelli che non ne hanno ancora abbastanza- ma questo post si può anche leggere nel corso di un paio di mesi - c'è un interessante articolo di Schiavone sulla campagna sionista contro la libertà di opinione e di ricerca storica


Rispondo a un paio di interventi al post “Estirpando…” (Davide e Samantha).
Quella degli scontri provocati da infiltrati è una vecchia e sporca teoria strumentale delle sinistre poltronare che vogliono pulirsi una coscienza insozzata dalla paura e dall'ignavia. Che il sistema cerchi di infiltrare i suoi sbirri è un dato scontato, che le rivolte popolari come quelle di Roma, Atene, Londra, Parigi, mondo, siano volute dal sistema e provocate dai suoi agenti è un insulto al coraggio, alla generosità e alla giusta causa di chi affronta, con mezzi ridicoli, la violenza feroce di stati assassini. Ma non li avete visti quelli che a centinaia finalmente non subivano più passivamente quella ferocia? Vi scandalizzate per un bancomat bruciato e non per una banca che per sua natura è un serial killer? Da quando mondo è mondo i simboli sono obiettivi necessari e utili. Da quando mondo e mondo il potere non tollera la rivolta, ma si nutre di pace sociale. Da che mondo e mondo nessuno ti caga se non riesci a rispondere ai tremendi danni che ti vengono inflitti infliggendo danni a tua volta.

Quanto al "glorioso PCI", io non parlo del popolo comunista, dei militanti del PCI, ma di coloro che li hanno anestizzati fino al punto della mutazione genetica di oggi. Nelle lotte del '68-'77 c'erano anche questi del PCI, ma i dirigenti li rinnegavano, erano in combutta con la repressione democristiana, diffamavano una generazione di rivoluzionari, infliggevano le compatibilità di Yalta che dovevano mantenere l'Italia sotto il tallone del capitalismo Usa. C'era addirittura uno dei massimi dirigenti di Berlinguer e Longo, Pecchioli, un farabutto che faceva il ministro degli interni-ombra e incitava alla persecuzione di studenti e operai rivoluzionari. Da sempre gli stalinisti non hanno mai odiato il capitalismo (considerato stupidamente e opportunisticamente – poltrone! paura! - passaggio necessario al socialismo), quanto hanno odiato e odiano chi, essendo genuinamente di sinistra, espone la loro miseria politica e morale. Se oggi siamo nelle condizioni in cui siamo, con i D'Alema,Bersani, Veltroni, Fassino, tutta gente covata nei comitati centrali di Togliatti e successori, lo dobbiamo a quella masnada famelica di greppia borghese. Ma Sofri cosa c'entra? I traditori e gli opportunisti sono un danno collaterale e proprio quelli del PCI ne sanno qualcosa. Più di tutti. Lì un'intera classe dirigente, allevata da capi "indiscutibili" (se non a prezzo di scomunica), ha preso alle spalle la classe operaia e tutto il resto. Proprio quei milioni di bravi compagni di cui tu parli!!!
Fulvio

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13/12/2010 Nous devons évidemment tous supporter WikiLeaks et son fondateur et porte-parole Julian Assange qui, dans cette sale guerre menée dans le monde entier par des États contre la transparence et la franchise, vient d'être arrêté en Grande-Bretagne.
Mais, dans le monde de la politique, les choses ne sont malheureusement jamais aussi innocentes qu'elles n'y paraissent. Selon de nouvelles révélations, avant le dernier « câble gate» Assange auraient conclu avec Israël un accord qui pourrait expliquer pourquoi, d’après le premier ministre israélien, Benjamin Netanyahou, les fuites « étaient bonnes pour Israël. »

Quelques commentateurs, en particulier en Turquie et Russie, se demandent pourquoi les centaines de milliers de documents confidentiels divulgués par le site le mois dernier ne contiennent rien qui puisse embarrasser le gouvernement israélien, comme à peu près tous les autres États auxquels se réfèrent les documents.
 
La réponse semble être un accord secret, conclu entre le «cœur et âme» de Wikileaks, tel que s’est humblement décrit une fois Assange lui-même (1), et des responsables israéliens, qui assurait que tous ces documents seraient « enlevés » avant de le rendu public des autres.
 
Selon un site Internet arabe de journalisme d’investigation (2), Al-Haqiqa ( la vérité) , Assange a reçu de l'argent de sources israéliennes semi-officielles, et, lors d’un arrangement secret enregistré sur vidéo, leur a promis de ne publier aucun document pouvant nuire à la sécurité ou aux intérêts diplomatiques d'Israël.
 
Selon les sources de l’article d'Al-Haqiqa, dans les tout derniers mois, devant le « leadership autocratique » et le « manque de transparence » d’Assange, d'anciens volontaires de Wikileaks ont quitté l'organisation.
 
 Lors d’une interview récente accordée au quotidien allemand Die Tageszeitung, l’ancien porte-parole de Wikileaks Daniel Domscheit-Berg a déclaré que lui et d'autres dissidents de Wikileaks s’apprêtent à lancer leur propre tribune de divulgation pour réaliser l’objectif initial de Wikileaks, de partage de fichiers sans limites. (3)
 
 M. Domscheit-Berg, qui est sur le point de publier un livre sur sa vie « à l’intérieur de Wikileaks, » accuse Assange d’agir comme un « roi, » contre la volonté des autres membres, en passant avec des organismes médiatiques des accords qui visent à créer un effet explosif, dont les autres de Wikileaks ne savent pratiquement rien ou rien du tout. (4)
 
 Par ailleurs, les initiés ajoutent que le vif intérêt d’Assange envers les scoops à gros titres signifie que Wikileaks n'est pas en mesure de se « restructurer » pour s’occuper de nouveaux intérêts particuliers. C’est-à-dire que de petites fuites pouvant avoir de l'intérêt pour des gens à un niveau local, sont actuellement négligées par égard aux grosses affaires. (5)
 
 Selon les sources d’Al-Haqiqa, Assange a rencontré des responsables israéliens à Genève plus tôt cette année et a conclu le pacte secret. Le gouvernement d'Israël a semble-t-il en quelque sorte découvert ou s'attendait à ce que soient ébruités un grand nombre de documents concernant les attaques israéliennes au Liban et à Gaza, respectivement en 2006 et 2008-9. Les sources ont ajouté que ces documents, qui provenaient dit-on principalement des ambassades américaines de Tel-Aviv et Beyrouth, auraient été retirés et possiblement détruits par Assange, la seule personne connaissant le mot de passe permettant de les ouvrir.
 
 Effectivement, les documents publiés semblent comporter un «vide», portant sur la période de juillet à septembre 2006, durant laquelle ont eu lieu les 33 jours de guerre au Liban.
 
Est-il possible que, passant seulement leur temps à « jacasser » sur pratiquement toutes les autres questions moyen-orientales sans intérêt, les diplomates et responsables zuniens ( américains) n'aient échangé aucun commentaire ou information sur cet événement crucial ?
 
 À la suite de la fuite (et même avant), le premier ministre israélien Benjamin Netanyahu a déclaré dans une conférence de presse qu'Israël avait « pris les devants » pour limiter les dommages causés par les fuites, ajoutant qu’« aucun document israélien confidentiel n’a été révélé par Wikileaks. » (6) À la même époque, lors d’une interview pour Time magazine, présentant Netanyahu comme un héros de transparence et d'ouverture, Assange a fait son éloge !
(7)
 
 Selon un autre article (8), un journal libanais de tendance gauche a rencontré deux fois Assange. Lui offrant «une grosse somme d'argent», il a tenté de négocier un marché avec lui pour se procurer des documents relatifs à la guerre de 2006, en particulier le procès-verbal d'une réunion tenue à l'ambassade zunienne de Beyrouth le 24 juillet 2006. Cette réunion est largement considérée comme un «conseil de guerre» entre les parties israéliennes, zuniennes et libanaises qui ont joué un rôle dans la guerre contre le Hezbollah et ses alliés.
 
Pourtant, les sources confirment que les documents reçus par les journalistes d’Al-Akhbar, concernant chaque jour de 2008 et d’après, ne contiennent rien de valeur. Tout cela ne fait qu’étayer les allégations d’un accord avec Israël.
 
Pour finir, il pourrait être utile de souligner qu’Assange a pu faire ce qu'il dit avoir fait pour se protéger et assurer la divulgation des documents de manière à dénoncer l'hypocrisie zunienne, dont il se dit obsédé, « aux dépens d’objectifs plus fondamentaux. »
 
Notes
 
1)
www.wired.com/threatlevel/2010/09/wikileaks-revolt/
(Les notes inédites sur la guerre en Irak ont déclenché une révolte interne chez Wikileaks)
 
2)
www.syriatruth.info/content/view/977/36/
(Selon Daniel Domscheit-Berg, Assange a promis aux Israéliens ne pas publier leurs propres documents)
 
3)
www.taz.de/1/netz/netzpolitik/artikel/1/vom-hacker-zum-popstar/
(À l’origine, Wilileaks voulait mettre autant d’information que possible à la disposition du public ; c’est devenu désormais un très puissant censeur)
 
4)
www.spiegel.de/international/germany/0,1518,732212,00.html
(D’anciens militants de Wikileaks lancent un nouveau site de divulgation)
 
5)
www.spiegel.de/international/germany/0,1518,719619,00.html
(Le porte-parole de Wikileaks démissionne : Seule option pour moi, un départ dans le calme)
 
6)
www.haaretz.com/print-edition/news/netanyahu-wikileaks-revelations-were-good-for-israel-1.327773
(Selon Netanyahu, les révélations de Wikileaks ont été bonnes pour Israël... l’Iran menacerait le monde, comme le confirme le roi Abdallah d’Arabie saoudite... contrairement à ce que prétendent les 60 ans de propagande présentant Israël comme la plus grande menace... Netanyahu a ajouté qu'Israël avait pris les devants pour limiter les dommages causés par les fuites...)
 
7)
www.time.com/time/world/article/0,8599,2034040-2,00.html
 
8)
www.syriatruth.info/content/view/986/36/ 

 
Original :
WikiLeaks 'struck a deal with Israel' over diplomatic cables leaks, le 7 décembre 2010. 
Traduction : Pétrus Lombard
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Il Mossad dietro Wikileaks? «Le notizie sono pro Israele»
pubblicata da Gabriele Repaci il giorno sabato 4 dicembre 2010 alle ore 10.53
di Eric Salerno
ROMA (3 dicembre) - A chi fa gioco il gioco di Wikileaks? Finora poco più di seicento di 251.287 messaggi diplomatici americani “rubati” sono apparsi in rete ma c’è già chi parla di complotto.
Due sono le direttrici indicate: Julian Assange e i suoi collaboratori si vogliono arricchire oppure stanno lavorando per favorire la politica di un governo. Le teorie complottiste abbondano sul web. Nel mirino, quasi sempre, Stati Uniti e Israele. E anche questa volta, in prima linea tra gli accusati, i due Paesi.
In un’intervista alla rivista americana Time il fondatore di Wilkileaks ha fatto le lodi di Netanyahu che, ha detto, è convinto che le rivelazioni aiuteranno la ricerca della pace in Medio Oriente. «Il premier israeliano sostiene che i leader devono parlare in pubblico come parlano nel privato».
I documenti classificati finora pubblicati giocano sicuramente a favore di Tel Aviv. Sia quando i diplomatici americani raccontano come molti leader arabi sono preoccupati per la politica di Teheran, sia quando spiegano che nonostante lo stato formale di belligeranza tra arabi e Israele, esistono ottimi rapporti tra molti paesi del Golfo e il “nemico”.
Wikileaks è nato nel dicembre 2006 e sostiene di «essere stato fondato da dissidenti cinesi, giornalisti, matematici ed esperti di informatica dagli Stati Uniti, Taiwan, Europa, Australia e Sud Africa». E anche se oggi c’è chi sospetta un ruolo dei cinesi nella raccolta e disseminazione dei documenti, molti cinesi vicini al regime sono convinti che Assange e i suoi siano in qualche modo collegati al Mossad, il servizio segreto di Tel Aviv.
Su un sito britannico qualcuno ha trovato “intrigante” una frase di un articolo del giornalista israeliano Yossi Melman, pubblicato sul quotidiano The Independent. Melman mette insieme tre eventi «apparentemente non collegati tra loro». Il primo, la pubblicazione dei documenti molti dei quali riguardano le preoccupazioni del mondo con il programma nucleare iraniano; il secondo, l’assassinio misterioso a Teheran del più importante scienziato nucleare iraniano e il ferimento di un altro; e infine la nomina di Tamir Pardo come nuovo capo del Mossad. «Ma c’è un legame tra di loro. Sono parte dello sforzo interminabile dell’Intelligence israeliana, insieme con le loro controparti in Occidente compreso l’M16 britannico e la Cia americana, per sabotare, ritardare e se possibile per impedire all’Iran di raggiungere il suo scopo di ottenere la sua prima bomba nucleare». Melman non ha voluto chiarire oltre il suo pensiero.
Accuse al Mossad, dopo quelle scontate di Ahmadinejad, sono arrivate ieri anche dalla Turchia, vecchio alleato strategico di Israele ora su posizioni nettamente contrarie alla politica del governo Netanyahu. Huseyin Celik, numero due del partito del premier Erdogan ha indicato che «Israele è soddisfatto» per le rivelazioni. «Ancora prima che i documenti fossero diffusi, già dicevano che “Israele non avrà problemi”». I documenti riservati finora pubblicati, sono imbarazzanti per Erdogan.
Fin qui, le valutazioni di chi cerca motivazioni politiche per “il complotto”. Per altri, il vero obiettivo di Assange e dei suoi collaboratori è di favorire il grande business dell’high-tech, dunque quella portante dell’economia israeliana. Appena venuta fuori la notizia della “fuga”, il governo americano e quelli di molti altri Paesi del mondo si sono messi alla ricerca di sistemi di difesa elettronica per garantire la sicurezza dei loro siti. «E’ un po’ com’è accaduto con la sicurezza negli aeroporti, nei porti e in altre strutture pubbliche dopo i vari allarmi terrorismo», spiega un esperto del settore e ricordando che anche in questo le aziende israeliane sono le più quotate.

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Beppe Grillo
Gli affari di Comunione e LiberaIeri a Roma la voce della Chiesa era assente. Cristo e San Francesco, don Ciotti e padre Zanotelli erano altrove. Le strade della Capitale erano piene di urla, di minacce e di roghi, di manganelli e di sanpietrini, di rabbia popolare e di repressione. Il Vaticano era troppo occupato in Parlamento. Non portava paramenti sacri, né predicava insegnamenti evangelici. I cardinali avevano il volto di Berlusconi, di Tremonti, ma anche di Casini e di Bersani. Una Chiesa di governo e di opposizione, ubiqua in ogni partito nel nome di interessi concreti, terreni, di natura economica e non spirituale. Di affari di 70 miliardi di euro all'anno benedetti dallo Spirito Santo nella forma di Comunione e Liberazione e della Compagnia delle Opere. Don Giussani, il fondatore di CL, voleva portare la Chiesa nella società. I suoi successori hanno trasformato la Chiesa in una società per azioni.


Intervista a Ferruccio Pinotti, giornalista d'inchiesta e autore di "Lobby di Dio"

I tentacoli di Comunione e Liberazione e della Compagnia delle Opere ( espandi | comprimi)
"Sono Ferruccio Pinotti, un giornalista di inchiesta. In questi anni mi sono occupato di indagini scottanti su temi come l’Opus Dei, la morte di Calvi, la massoneria, il rapporto tra Berlusconi e il Vaticano. Con questa nuova inchiesta "Lobby di Dio", la prima su Comunione, Liberazione e la Compagnia delle Opere (CdO), ho affrontato il tema del potere di CL nella società e nell’economia italiana. CL è un mondo in crescita. Nato nel 1954 da un’intuizione di Don Luigi Giussani, ha creato a poco a poco una lobby politica, religiosa, economica e finanziaria,una lobby forte negli affari, attraverso la DdO una realtà che associa 34 mila imprese per un fatturato stimato in almeno 70 miliardi di Euro, che ha rapporti con le principali banche italiane attraverso intese che consentono agli associati della CdO un accesso facilitato al credito, una realtà che conduce e guida, manu militari, una Regione che ha un bilancio pari o superiore a quello di molti Stati del nord Europa, come la Lombardia, con un bilancio di 24,9 miliardi di Euro, ma anche una realtà, CL e CdO, che sta colonizzando vaste aree del Paese come la Calabria, la Sicilia, il Lazio e tante altre realtà italiane, dove i suoi affari sono sempre di più in crescita.
Dietro CL c’è una potente lobby di politici, di imprenditori, di banchieri, basti dire che al meeting di CL è andato quest’anno l’amministratore delegato della FIAT, Marchionne, che non ha esitato a dire "Voi siete il futuro, il futuro è nelle vostre mani". Vi sono big della politica come Silvio Berlusconi, ministri molto importanti attenti a CL, come Tremonti, vi sono banchieri come Corrado Passera, amministratore delegato di Banca Intesa, vi sono tecnici, professori universitari, potenti giornalisti, simpatizzanti di CL tra i quali senz’altro Bruno Vespa, vi è una nomenclatura vaticana importantissima che vede i Cardinali Cafarra, Scola, Biffi e lo stesso Papa Ratzinger. Quindi dietro CL vi è una lobby di persone molto importanti a cui interessa portare avanti i propri interessi.
CL e CdO sono state chiamate in causa da diverse inchieste giudiziarie, una ha riguardato il cosiddetto scandalo "Oil for food" che ha visto coinvolte alcune persone accusate di avere trafficato petrolio durante il periodo dell’embargo imposto all’Iraq occupato, condanna in primo grado che è stata però risolta attraverso la prescrizione in secondo grado. Un’altra inchiesta ha riguardato gli affari della cosiddetta "Cascina", un’impresa vicina a CdO e CL che si occupa di appalti, ristorazione, mense collettive, anche qui ci sono state delle condanne in primo grado, però alcuni filoni di inchiesta si sono spenti nel nulla. Un’altra inchiesta in corso riguarda la CdO del Nord – Est i cui vertici, 10 persone, sono state rinviati a giudizio con l’accusa di truffa per l’appropriazione di fondi nazionali e europei per l’organizzazione di corsi di formazione. Va poi citata un’inchiesta molto importante, "Why not?" che ha scoperchiato come il vasto sistema di potere, di relazione, di scambio della CdO abbia colonizzato la Calabria con una rete di rapporti e di favori che sono stati posti sotto la luce dell’inchiesta del magistrato Luigi De Magistris, un’inchiesta fatta a pezzi proprio perché riguardava il mondo di CdO e CL.

CL e il Vaticano (ma anche Berlusconi e Bersani) ( espandi | comprimi)
Comune e Liberazione ha un forte potere in Vaticano, in quanto è stata sostenuta da Giovanni Paolo II che ne ha dato approvazione nel 1982, ma gode anche del sostegno di Papa Ratzinger, il quale l'ha seguita fin dai tempi in cui era Cardinale, all’interno del Vaticano sono molti i cardinali che proteggono Cl, basti pensare che i cardinali Cafarra e Biffi o al Cardinale Scola, patriarca di Venezia. Questi alti prelati vedono in CL una lobby estremamente docile, utile, pronta a intervenire in sede locale per gli interessi della Chiesa e delle diverse diocesi,un mondo estremamente pratico e operativo riguardo alle esigenze del Vaticane della Chiesa. Un altro aspetto molto importante che riguarda CL e la lobby di Dio è il suo trasversalismo politico, la sua capacità di tessere alleanze da destra e sinistra, esiste infatti uno storico rapporto tra CL e Silvio Berlusconi. Quest’ultimo già nel 1978 inizia a finanziare le attività del "Sabato", il settimanale ciellino che nasce in chiave anticomunista. E proprio nella villa di via Rovani di Berlusconi si tengono i primi incontri del Sabato che radunano una serie di giovani come Roberto Formigoni e molti altri. Berlusconi è tra i primi a partecipare al meeting di CL che ogni anno viene organizzato a partire dal 1980 e riceve in più occasioni un appoggio pubblico espresso da parte di CL e di CdO quale leader politico di rifermento del movimento nell’ambito di un rapporto tra Berlusconi e il Vaticano che vede CL in una funzione forte di mediazione di interessi che riguardano la scuola e molte aree in cui servono finanziamenti governativi.
Anche Tremonti è sensibile agli interessi di CL, tuttavia CL ha saputo intessere accordi forti anche con il mondo della sinistra, in particolare con Pierluigi Bersani, segretario del PD che ogni anno è presente tra gli ospiti d’onore del meeting di CL. La figura di Bersani è fondamentale per CL in quanto è l’uomo che facilita il rapporto tra le cooperative rosse e le aziende della CdO, ma sono vicini a CL anche il sindaco di Firenze Matteo Renzi e altre figure come Rutelli.

CL e le inchieste ( espandi | comprimi)
Tra le varie inchieste che si sono avvicinate a CL pur senza portare a coinvolgimenti espressi di figure di CL e di CdO vi è l’inchiesta "Montesiti e Santa Giulia", un’inchiesta molto complessa che ha riguardato un'area ex Montedison di Milano bonificata su cui doveva sorgere il quartiere Santa Giulia realizzato dall’imprenditore Zunino della società Risanamento, che ha visto strani passaggi di denaro e un interesse della magistratura milanese sulla base della magistratura straniera che si occupava dello smaltimento di rifiuti. Lì è sorto un complesso di indagini sul tema delle bonifiche,un tema molto delicato nel quale vi sono molti interessi e sono stati chiamati in causa imprenditori come Giuseppe Grossi, come Rosanna Gariboldi, detta Lady Abelli in quanto moglie del vicecoordinatore del Pdl, persone ritenute in senso lato vicine o simpatizzanti del mondo di CL e di Roberto Formigoni che ha respinto ogni vicinanza con queste figure, ogni tipo di interesse personale e ha anche mandato di querelare giornalisti che hanno effettuato questo accostamento. Si tratta quindi di vicende oscure tutt’ora al vaglio della magistratura. Oltre a questi aspetti ve ne sono altri che destano preoccupazione in termini di affari e di business, basti pensare che gran parte delle società partecipate della Regione Lombardia, come Infrastrutture Lombarde, Finlombarda, Cestec, Ferrovie Nord, sono guidate da uomini che non fanno mistero di appartenere alla galassia di CL e CdO. Questo suscita delle preoccupazioni perché vi sono business molto importanti in vista come l’Expo 2015 con giganteschi interessi immobiliari in ballo, solamente per Expo 2015 significano 17 miliardi di Euro di investimenti. L'esistenza di un sistema chiuso, composto da uomini di CL che domina la Lombardia, crea preoccupazioni e la necessità di una maggiore attenzione e di una maggiore sorveglianza sulla trasparenza delle procedure di appalto e la libera concorrenza che va garantita."


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Curzio Malaparte,a 16 anni già volontario nei Cacciatori delle Alpi sulle Argonne durante il 1914, così parla della verità nella "prefazione", scritta a Forte dei Marmi nel 1955, per la raccolta "BATTIBECCO":

...... Questa solita Italia ha nella verità il suo più pericoloso avversario. Ma alle Cinque difficoltà di chi scrive la verità, elencate nel suo famoso saggio da Bertolt Brecht, l'autore di Mutter Courage, dobbiamo, noi italiani, aggiungerne un'altra, la sesta:  la difficoltà di persuadere gli italiani che una verità è una verità, che la verità è la verità.  Poichè in Italia, dove è viva la tradizione della menzogna, ed è vivissima la tendenza a scambiar per verità le menzogne della classe dominante, la prima reazione dell'opinione pubblica di fronte alla verità è di negarla: "non è vero, non può essere vero".
Gli italiani, purtroppo, preferiscono la menzogna alla verità.  E' più facile, meno pericoloso, più comodo, e più redditizio, credere nella menzogna che nella verità.
La menzogna li lascia tranquilli, dà loro il senso della sicurezza morale e materiale.  La verità non solo non li fa arrossire, ma li spaventa, turba i loro sonni, mette in pericolo i loro meschini compromessi di tutti i giorni. 
La verità è nemica del conformismo. E purtroppo gli italiani inclinano ad esser conformisti con la menzogna, più tosto che con la verità.  Sanno che si tratta di una menzogna, ma vi si conformano.  In un paese borbonico, come il nostro, la verità è sempre sediziosa.
Ecco perchè gli italiani giudicano con sospetto tutti coloro che dicono la verità.
Si domandano che cosa spinga costoro a dire la verità contro il parere dei più, e contro il tornaconto di chi comanda, quali segreti scopi perseguano, a quali misteriosi interessi obbediscano; e il nome che essi danno a questi sediziosi è tristissimo: li chiamano "nemici della patria".
Chiunque dica la verità, in Italia, è un nemico della patria.
Vi sono due modi di amare il proprio paese: quello di dire la verità apertamente, senza paura, sui mali, sulle miserie, sulle vergogne di cui soffriamo, e quello di nascondere la realtà sotto il mantello dell'ipocrisia, negando piaghe, miserie, e vergogne, anzi esaltandole come virtù nazionali. Tra i due modi, preferisco il primo........
Nè vale la scusa che i panni sporchi si lavano in famiglia.
Vilissima scusa: un popolo sano e libero, se ama la pulizia, i panni sporchi li lava in piazza. Ed è inutile e ipocrita invocare la carità di patria. La carità di patria fa comodo soltanto ai responsabili delle nostre miserie e vergogne, e ai loro complici e servi, fa comodo a chi ci opprime, ci umilia, ci deruba, ci corrompe..........
 Io non so che farmene di una patria che non sopporta la verità.
L'Italia in cui credo, in cui ho sempre creduto, per la quale ho combattuto in trincea, ho versato il mio sangue, ho sofferto la prigione ed il confino, l'Italia per la quale sono pronto, così oggi come ieri e come domani, a lottare e a soffrire, è la patria ideale dell'onore, della libertà, della giustizia, la patria di tutti coloro che hanno sofferto e soffrono per la verità, di tutti coloro che hanno dato la vita per combattere la menzogna: è l'Italia degli uomini semplici, onesti buoni, generosi, chiusi da secoli in quella "prigione gratis" della miseria e della delusione, delle leggi borboniche e degli arbitrii polizieschi, dei privilegi di classe e della corruzione amministrativa, che "lor signori" chiamano libertà italiana.
Curzio Malaparte

La prima cosa che salta agli occhi è che ci sono proprio tutti: il governo, con Letta; la maggioranza, con Gasparri; Di Pietro, Veltroni e Fassino per le opposizioni; e persino gli estinti, con Mussi, sentono il dovere di allinearsi a Pacifici.
Appassionatamente insieme, vogliono introdurre anche nella nostra legislazione un nuovo reato di opinione, già presente nella maggior parte dei paesi europei: Andrea Carancini ci informa che – alla data di novembre 2006 – risultano avere nel proprio ordinamento specifiche leggi che proibiscono a chiunque di discutere la versione mainstream dell’Olocausto, sotto pena di incriminazione, i seguenti paesi: Spagna, Romania, Germania, Austria, Lituania, Polonia, Francia, Svizzera, Slovacchia, Olanda, Belgio e Repubblica Ceca. Ignorati dai tifosi delle varie squadre, i maggiordomi italiani intendono limitare la libera ricerca storica e la libertà di opinione e di espressione.
Perché, come già scrissi in passato (’Il Giorno della Memoria’), non è ammesso trattare l’Olocausto come un qualsiasi altro evento storico: esso è l’evento centrale di una religione (come la consegna a Mosè delle Tavole della Legge o come la nascita di Cristo). E le religioni non si indagano. Figuriamoci se parliamo della sola religione rimasta nell’occidente. La sola che pretende ed ottiene un culto pubblico ed obbligatorio. La sola che punisce chi non crede in essa: l’agnosticismo non è consentito. Ogni “revisione” che indaghi realmente la storia, mirando ad accertare come andarono le cose, è un’eresia. L’unica religione che costringe ancora all’abiura o condanna al carcere i suoi increduli. Mette all’indice, espone al pubblico ludibrio, addita i nemici. Addirittura non basta credere che l’Olocausto ci fu. È vietato anche proiettarlo sullo sfondo della immensa tragedia del secolo ventesimo; non si può accostarlo ai 6 milioni di polacchi morti, ai 22 milioni di sovietici fra cui 7 milioni di civili uccisi nella guerra, ai 300 mila cosacchi che si arresero agli inglesi e che furono da loro consegnati a Stalin – uomini, donne e bambini massacrati fino all’ultimo, ai tedeschi vittime della punizione collettiva – principio tribale, arcaico – successiva alla vittoria Alleata, alle 500 mila anime giapponesi spazzate via con due sole bombe.
No.
Perché questi sono “fatti” profani.
I sei milioni di ebrei (non uno di più, non uno di meno) non sono un fatto indagabile: sono storia sacra, un atto di fede nella religione della Shoah.
Sia chiaro: io non sono uno storico, né possiedo le conoscenze approfondite necessarie per esprimere un’opinione circa le teorie revisioniste.
Io non so se è vero che non esiste alcun documento scritto riguardo lo sterminio degli ebrei.
Io non so se è vero che non c’è alcuna traccia materiale della presenza di camere a gas nei campi di concentramento.
Io non so se è vero che non esiste prova alcuna delle uccisioni di massa dei detenuti nei lager tedeschi.
Io non so se è vero che la presunta confessione di Rudolf Höss, comandante di Auschwitz, è stata ottenuta sotto tortura.
Io non lo so se è vero tutto questo. Ma se lo sapessi non potrei scriverlo, né comunicarlo, né pensarlo: dovrei anzi dissociarmi da me stesso per evitare il rogo della Eletta Inquisizione. Anche se in Italia non è ancora reato, infatti, con il mandato di cattura europeo (altra geniale invenzione della lobby europoide, in spregio alle più elementari norme del diritto) potrei in teoria essere estradato, che so, in Germania ed essere lì processato.
Processato per delle idee. Con nessuno a fare il tifo per me.”
di Antonio Schiavone

mercoledì 15 dicembre 2010

ESTIRPANDO MACERIE, COLTIVANNDO FIORI - ESTIRPANDO FIORI, COLTIVANDO MACERIE



Lode dell’azione
Lamentarsi e chiedere aiuto
non crea nè salvezza né consiglio.
Soltanto una cosa
può liberare il mondo,
soltanto una! L’azione!
Voti sacri siano
frutti del suo seme!
Soltanto una cosa
Può liberare il mondo,
soltanto una! L’azione!
(Erich Muehsam, bolscevico tedesco)

OPERAI SUI TETTI, STUDENTI IN PIAZZA.

Per gli operai sui tetti abbiamo provato solidarietà e commozione. Per gli studenti, con annessi cittadini calpestati, da Terzigno alla Val di Susa, da Chiaiano all’Aquila, stiamo provando esaltazione e identificazione. Se il buon giorno si vede dal mattino, la gloriosa giornata di ieri, martedì 14 dicembre, soprattutto a Roma, ma anche in tante altre città dovrebbe essere marcata nei libri di storia come l’alba di un tempo nuovo. Alla cornacchie che tremano e si rintanano davanti al confronto con le lotte degli anni ’70 che, a dispetto del regime, della Nato, del collaborazionismo codino del PCI, conquistarono ai lavoratori e cittadini quanto nessun Togliatti, Longo, Berlinguer si erano mai sognati di azzardare, spariamo il profumo del ’68-’77, cioè della terza rivolta italiana degli oppressi dopo il Risorgimento repubblicano e la guerra partigiana. Profumo tonico per noi ma che loro stordisca e faccia ammutolire. Come ad Atene, oggi di nuovo, come a Londra, come a Parigi, finalmente alla violenza terroristica degli sgherri del verminaio di osceni pupi lombrosiani appesi in parlamento ai fili dei pupari bancari e industriali, mafiosi, clericali e massonici, Cia e Mossad, si è cominciato a rispondere, a fargli pagare un prezzo in materia e immagine, condizione sine qua non per qualsiasi cambio e avanzata. Quale felicità liberatoria, quale autostima ritrovata, quale consapevolezza della propria ragione e della propria forza! Il raffronto va fatto con i maestri latinoamericani che, senza farsi castrare dalle sirene della nonviolenza, hanno saputo opporre la forza delle masse al vampirismo assassino degli amministratori delle catene che l’imperialismo imponeva ai loro popoli. Loro hanno vinto bloccando con corpi, sassi e candelotti di dinamite il castello di carta dei tiranni e delle oligarchie. Noi non è detto che vinceremo domani, forse nemmeno dopodomani, ma il seme delle vittoria è stato seminato nel terreno disselciato delle strade di Roma. E non è il seme sterile e tossico della Monsanto. La guerriglia del Che Guevara è servita a far vincere milioni di diseredati memori, senza fucile, ma con una compattezza fisica e mentale che ha saputo stringersi come un cappio sul collo del mostro. Che gli studenti, in questo momento possibile soggetto rivoluzionario, in grado di elevare anche gli operai oltre la bassa asticella di caduche compromissioni salariali, ci pensino.

Prima di un pezzo su Milosevic, una buona notizia: è schiattato ieri, negli Usa, il cuore nero del trafficante diplomatico Richard Holbrooke, colui che ha lavorato per i genocidi Usa dal Vietnam da radere al suolo, alla Jugoslavia da smembrare in tanti pezzi inoffensivi e servi, all’Afghanistan-Pakistan da spopolare e eliminare dalla scena del mondo. E dunque parimenti strumento prezioso dei terroristi e assassini seriali Kennedy, Johnson, Nixon, Reagan, Bush e Obama.




Sarà la mia morte la vostra fine
e la vostra morte il mio inizio.
Perché la morte che io subii
Rafforza le anime dei morti per la battaglia.
Vi saluto dalla tomba, voi assassini!
Alla lotta! E chi vince avrà ragione.
(Erich Muehsam, “La voce degli assassinati”)

Cari Amici, se conoscete l’inglese vi invito a leggere questo contributo che mi è stato chiesto da Belgrado per un libro che, uscendo nell’anniversario del suo assassinio nella prigione dell’Aja, sotto gli occhi e per volontà dei devastatori del suo paese e dei giudici-felloni del Tribunale Speciale per la Jugoslavia, vuole ricordare la figura, la verità, il valore di Slobodan Milosevic, presidente della Jugoslavia e combattente antimperialista. Ho avuto il privilegio di essere stato l’ultimo giornalista a intervistare Slobo assediato nella sua casa di Belgrado, mentre fuori una torma di teppisti addestrati e pagati dalla Cia preparava il terreno alla svendita di una grande nazione. Tre giorni dopo, il rinnegato Zoran Djndjic, corrotto delinquente come tutti quelli insediati dai vincitori, vendeva il legittimo presidente serbo al tribunale-fantoccio degli Usa. E con esso, 10 milioni di serbi cresciuti nel socialismo. Il compenso: 30 milioni di dollari, trenta denari. Le ultime parole dettemi da Slobo affermavano una verità che gli ottusi chierici sinistri dell’ “Intervento umanitario”, fondato sulla diffamazione e la menzogna, ancora faticano a riconoscere: “L’aggressione degli Usa alla Jugoslavia ha sancito, con il definitivo aggancio dell’Europa al carro dell’imperialismo, un colpo mortale alla sovranità e alla dignità di questa e la prova generale per quell’aggressione ai popoli del mondo che dovrebbe assicurare a un capitalismo allo sbando il più grande trasferimento di ricchezza dal basso in alto di tutta la storia umana. Chi ha creduto all’impostura di un governo totalitario e di una pulizia etnica, da noi subita e mai inflitta, o è rimasto passivo davanti ad essa, avrà presto modo di conoscere dittatura e pulizia etnica sulla propria pelle”.

Più sotto aggiunto un comunicato di due amici che hanno realizzato uno straordinario lavoro sulla tragedia della Serbia e del suo Kosovo che, come avrete appreso, è stato dalle elezioni-burla di marca Usa confermato sotto il regime del criminale di guerra e di pace, Hashim Thaci, già “fidanzato” di Madeleine Albright, e capo dei trafficanti di organi prelevati a vittime da far sparire. Tali sono i proconsoli del colonialismo Usa e UE. Per onestà intellettuale devo dire che di questi due compagni condivido tutto, della loro associazione "Un ponte per..." poco o niente.


BY FULVIO GRIMALDI
Journalist, writer and videographer
formerly vicepresident of the International Committee for the Defence of Slobodan Milosevic (ICDSM)


EXTIRPATING FLOWERS, GROWING RUINS

It was May and Europe had started tearing the most beautiful springflowers off its land, while growing ruins, much to the satisfaction of an Atlantic master who was already busy preparing its assault on the world. An assault made possible by the biggest of its genocidal frauds: 9/11. On my way to Belgrade, as it was being torn apart by allied bombs, including those dropped by Italy’s “left-wing” Prime Minister, Massimo D’Alema, in my mind still echoed the advise given to me, a war correspondent with Italy’s State Television System, by the News Editor: “As you report from that bloodthirsty dictator’s country, always stress the ethnical cleansing of Croatia, Bosnia and Kosovo, never forget that you are describing a humanitarian intervention to save innocent peoples from ultranationalist Serbia”.

I reached Belgrade as the humanitarians smashed their human rights into schools, hospitals, houses, Tv studios, the Chinese embassy, Pancevo’s petrochemical industries, so as to spread toxics and provide a humanitarian exit from health and life for generations to come, Zastava’s car factory, the very proletarian heart of all the Balkans, soon to become the traitors’ offer to their conquerors and paymasters. I identified the dictator’s totalitarian regime by meeting openly, in the centre of the capital, with the voiciferous representatives of some 18 opposition parties, trade unions, associations and media, most of them spiked with Deutsche Mark and dollars; by noting that 92% of all media and the biggest Television belonged, or were controlled, by right-wing capital-happy opposition forces; by viewing monarchist Drakovich’s tv inciting the people to hang their President, Slobodan Milosevic, and still being allowed, in the midst of an aggression, to go on the air. I equally appreciated the so intensely and universally lamented ethnical cleansing in the former republics and autonomous regions when watching millions of Serbian refugees that had survived the genocidal massacres perpetrated by “democratic self-determinating” rulers, systematically armed or aided by champions of democracy and human rights such as US and German Generals, Muslim throatcutters imported from mercenary armies in Cecenia or Afghanistan, Cia-asset Osama bin Laden and his terrorists. Today all Albanians, Croatians, Bosniacs have their own or stolen homes. One million Serbian survivors don’t anymore. Such was the ethnic cleansing.

Having been able to put things right, at least in my own mind, I cut links with my former employer and had my stories published in a left-wing daily, much to the dismay of most of its readers, who had equally been intoxicated by the 9/11 planners. At least something got through and I could even save my title “Better Serb, than serf”.

I returned one spring later, to see that, thanks to the “dictator’s” guidelines and the spirit that he was able to instil in a not yet broken nation, some of Novi Sad’s beautiful bridges, brutally destroyed by the barbarians, had been rebuild. A great housing plan was in progress for all those whose homes had been incinerated. Out of Zastava’s pulverised plants workers operating under portraits of Slobo and fluttering red flags, had proudly produced the miracle of two production lines reconstructed from rubble and by patriotism and workers’ pride. I also saw the most unbreakable part of Serbia, the now destitute women, men, children who escaped genocide in Kosovo, Bosnia, Croatia, being taken care of by a government mutilated by war and strangled by sanctions. Together with thousands of Rom and Sinti brethren, persecuted and chased from their homes by fascist and criminal pupils of the European Human Rights masters, but here welcomed and housed. So much for Slobo’s hypernationalist dictatorship and notorious corruption.

And again, but this time in a dark, foreboding Autumn, in the Balkans’ most civilised capital city, I witnessed the surge of power-.and free market-hungry rats, unleashed by robbers and serial-killers to whom Slobo’s socialism, free education, health, assured jobs and pensions, national dignity, solidarity among people and peoples was anathema. Their name? To humanity’s lasting shame: Otpor. Serbia was to be punished for having resisted the world’s most ferocious organised crime ever, Nato, and, with it, the most gigantic and savage transfer of wealth from the planet’s poor to the rich, from the exploited to their exploiters. This Autumn was to see, by a stolen election, the downfall of the man whom one day history will proclaim Europe’s most democratic and humane ruler.

In my long walk through this blood- honour- and shame-ridden time of war, oppression and resistance, my encounter with President Slobodan Milosevic will stand out as the richest and most moving experience. The privilege was given to me in the president’s residence, besieged by a lie-infected mob and defended by those who, I trust, are working to this day and into the unending future to preserve Slobo’s message and heritage of peace, national dignity and sovereignty, human rights, freedom, brotherhood and equality. It was his last interview before, only three days later, a despicable and well-.paid renegade sold the best of the Serbians to his people’s murderers. I succeeded in publishing Slobo’s account of the world’s gang of vampires’ conspiracy against a free nation, the harmonic living together of ethnical groups and religions, the prospect of a just and free society. To me, to my most profoundly felt admiration and love, I kept the warmth, genuinity, honesty and penetrating foresight of one of our times’ wisest and bravest men.

It was in the winter of our depression that, in front of The Hague’s prison, we tried to reach Slobodan Milosevic by calling out loudly his name. By confirming to Slobo, over the heads of mistrusting and hostile robocops in the service of yet another ruling class engaged in mass-extermination, that as long as even only one human being, be he/she Serbian or anything else in the spirit of Serbia’s resistance, kept watch at the gates of this prison, or of any prison holding alikes of Slobo, his memory and his message would live. Much beyond the farce put on scene by the empire’s stooges, which was to culminate in the only way vampires and rats know: the kill of the just, be it a hero like Slobo, or an unknowing victim. No day goes by without my hoping that Slobo received some comfort from hearing our cry and feeling our rage and tears. I am deeply convinced, however, that he knew. That a betrayed and fallen fighter for an undying cause was aware that beyond those grey and blind prison-walls there were, not merely wailers over injustice, but vanguards of that cause’s future, reaching from The Hague, from Belgrade, into the world. Surely this must have given him that smile that shamed his executors and turned a murder into a promise of truth and victory.

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L'importanza della controinformazione
un esempio: la Serbia che conosciamo
L’iniziativa che proponiamo alla vostra cortese attenzione nasce dalle attività di oltre un decennio
che alcuni volontari dell’associazione “Un Ponte per...” hanno portato avanti fra i profughi di
guerra della ex Jugoslavia, con particolare riferimento alla Serbia e al Kosovo e Metohija, in seguito
ai bombardamenti della NATO del ’99.
Le attività hanno riguardato principalmente iniziative di solidarietà e supporto di molte famiglie
profughe di guerra o in stato di grave disagio sociale, di conoscenza reciproca e di scambio
culturale, di testimonianza e aiuto concreto. Tutto ciò ha fatto nascere e crescere nel tempo legami
di amicizia e di fiducia reciproca con le persone direttamente coinvolte, tutto accompagnato da un
imprescindibile messaggio politico, atto a denunciare i motivi, tutt’altro che umanitari che, spesso,
si celano dietro le decisioni di un governo di occupare o “attaccare” un altro territorio.
L’obiettivo è quello di stimolare la conoscenza della storia di un paese ancora extra
comunitario, la Serbia, ultimo pezzo di uno stato chiamato Jugoslavia, delle condizioni e dei
contesti nei quali oggi vivono le popolazioni che lo abitano, per offrire un’occasione di confronto e
una nuova lettura delle esperienze e delle vicende storico-politiche di un paese cardine nel contesto
Balcanico, con forti relazioni con l’Italia, ma di cui poco si parla se non ribadendo, in modo
preconcetto, stereotipi e cliché, spesso frutto di disinformazione e propaganda.
Auspichiamo un percorso di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, in particolare quella
costituita da giovani, proponendo degli incontri di riflessione per presentare e raccontare una realtà,
percepita e conosciuta da gran parte dell’occidente solo attraverso la televisione o tramite la spesso
facile e fuorviante velocità dei mezzi di comunicazione virtuali e reali quali web, radio o stampa
superficiale e di scarso approfondimento. In questo contesto, si intende raccontare un’altra Serbia,
la Serbia conosciuta negli anni e vissuta attraverso la popolazione locale e attraverso anche i tanti
professionisti, che hanno tentato comunque negli anni di fare controinformazione in merito, ma con
poco successo.
Il caso della Serbia, paese reduce dalla disgregazione Jugoslava, raccoglie in se una serie di
tematiche di assoluta importanza internazionale. Neocolonialismo e imperialismo, diffusione
estrema delle logiche neoliberiste, strumentalizzazione politica dei fondamentalismi religiosi ed
etnici, propaganda e conseguenze della guerra sulle popolazioni civili.
Per la realizzazione dell’iniziativa intendiamo – con l’aiuto di materiali audiovisivi e testi
letterari che testimoniano alcune di queste vicende – rilanciare una serie di domande e di punti di
vista a un pubblico più vasto, con la certezza che l’interrogarci sull’identità di un altro popolo, porti
anche a riflettere su quel che resta della nostra memoria storica.



“Un Ponte per...” Associazione Non ‐ Governativa di Volontariato per la Solidarietà Internazionale
piazza Vittorio Emanuele II,132 00185 Roma ‐ Tel. 06/44702906, Fax 06/44703172 ‐ e‐mail: info@unponteper.it ‐ web: www.unponteper.it
ONLUS: Iscritta al Reg. Volontariato Regione Lazio Dpgr n° 609/98 – ONG: decreto del Ministro Affari Esteri del 18/2/99
Partita Iva 04734481007 ‐ Codice Fiscale 96232290583
Conto Corrente Postale n° 59927004 ‐ Conto Corrente Bancario n° 100790 Banca Popolare Etica IBAN IT52 R050 1803 2000 0000 0100 790
SCHEDA FILMDOCU e LIBRO
Contatti:
Samantha Mengarelli, smengarelli@tiscali.it , cell 3286540106
Alessandro Di Meo, alessandro.di.meo@uniroma2.it, cell 3396132894
L’Urlo del Kosovo
di Alessandro Di Meo
Storie vere da cui è impossibili fuggire.
L'urlo che la propaganda non riesce a coprire.
Voci che spezzano il coro allineato del pregiudizio che è letale per le persone tanto quanto
le scorie della "guerra umanitaria".
Il Libro
Il libro vuole essere una denuncia del dramma vissuto da migliaia di persone, in prevalenza serbe,
cacciate da quella terra, il Kosovo e Metohija, dove hanno da sempre vissuto e convissuto con altre
etnie. Le ingerenze esterne dovute a interessi di potere, politici e, soprattutto, malavitosi, hanno
tolto la parola alle persone per consegnarla alla propaganda e alla menzogna.
L’autore, attraverso le storie narrate, cerca di spostare l’attenzione sui veri protagonisti della triste e
drammatica vicenda: le persone in carne e ossa, facendosi testimone della loro tragica vicenda per
una ricostruzione dei fatti meno condizionata da propaganda e luogo comune.
Il DVD
Il documentario è un viaggio tra le conseguenze dei bombardamenti che nel 1999, per 78 giorni,
hanno colpito quel che rimaneva della Jugoslavia. A oltre 10 anni di distanza, i problemi e le
contraddizioni che la cosiddetta “guerra umanitaria” voleva risolvere si sono, in realtà, moltiplicate.
L’insorgere di malattie sempre più gravi, dovute a inquinamento ambientale e uso indiscriminato di
uranio impoverito; la chiusura delle fabbriche con conseguente perdita del posto di lavoro; la
drammatica situazione dei serbi rimasti nei villaggi del Kosovo, di fatto ghettizzati; lo stato dei
monasteri ortodossi, patrimonio culturale e storico dell’umanità, a rischio distruzione. Un viaggio

nella Serbia di oggi, ancora troppo devastata nel cuore e nell’anima.