giovedì 27 ottobre 2011

Al Guadalquivir delle stelle




Piuttosto fallire con onore, che riuscire con la frode. (Sofocle)


Sui gradini salì Ignazio / con tutta la sua morte addosso.
Cercava l’alba, / ma l’alba non era. / Cerca il suo dritto profilo,
e il sogno lo disorienta. / Cercava il suo bel corpo
e trovò il suo sangue aperto. / Non ditemi di vederlo! …
Non ci fu principe di Siviglia / da poterglisi paragonare,
né spada come la sua spada / né cuore così vero.
Come un fiume di leoni / la sua forza meravigliosa,
e come un torso di marmo / la sua armoniosa prudenza.
Aria di Roma andalusa / gli profumava la testa
dove il suo riso era un nardo / di sale e d’intelligenza… (Garcia Lorca)


Linciaggio:odio e frustrazione, di chi non ce l’ha fatta a essere umano, perché l’umanità l’ha venduta per 30 denari (e anche meno), per un uomo vero.


Dai recessi più oscuri del preumano, prima della clava per la sopravvivenza, da un brodo primordiale di cellule che si frantumano e si divorano in un parossismo di annichilimento, coloro che si arrogano la direzione dei destini del mondo traggono il materiale per forgiare strumenti di autodifesa e di dominio. Di terrore. Torturatori di Guantanamo e Abu Ghraib, combustori di corpi nell’Inquisizione, crociati crocifiggitori e impalatori, stupratori e mazzieri in divisa di poliziotti, militari di Tsahal, bombardieri all’uranio e al fosforo, gassatori italiani del popolo libico ed etiopico,  sperimentatori eugenetici del nazismo tedesco e statunitense, creatori dei videogiochi dalla vincita per primato di assassinii. E “giovani rivoluzionari” islamisti. Il pulp, lo splatter di Dario Argento sono una patetica rincorsa del reale.



Ero a Favignana per il TG3 e non ci sono tornato perché avevano promesso che me l’avrebbero fatta pagare. I pescatori di tonno. Era la mattanza. Una mattanza-varietà-folklore, poiché il tonno ora lo scandagliano, rastrellano con le reti e fulminano. Uno show-mattanza per famigliole festanti accorse su barche a pagamento. Dal tunnel, in lotta forsennata per la libertà, i tonni finivano nella “camera della morte”, una vasca di tela in superficie. In bella vista per l'arena di 180 gradi. Energumeni a grande torso nudo facevano precipitare mazze e artigli acuminati su corpi scintillanti che si dibattevano e, squartati, allagavano il mare di sangue. Si dibattevano per tempi straziantemente lunghi e mai avevo conosciuto una tale forza nella disperazione. Gli uomini in alto urlavano borborigmi antichi, infierivano nel rossore dell’ eccitazione. Il loro era orgasmo da vita che succhia morte per rigurgitarla. Quello degli spettatori, masturbazione. Filmato l'orrendo scempio, scesi in un angolo della “camera della morte” dove, lacerati, ancora ansavano e vibravano i tonni. Ne accarezzai uno. Tutti i viventi hanno diritto alla vita e al rifiuto del dolore. I giustizieri se ne adombrarono, di quel gesto di pietà per la preda cannibalica.


Mi fa pensare a quello che ho visto poi al G8 di Carlo Giuliani, uniformati e con le stellette del servizio al popolo che infierivano su inermi, stesi, contorti e nudi di tutto. Con ferri gommati, calci, pugni, caschi, calci di fucile, a esaurimento, per minuti. Diaz e Bolzaneto. Visto lì e visto, o saputo, cento altre volte, chè di terremotati o pensionati, di balordi o irregolari, di migranti o detenuti, alla mercè di uniformati, formati alla tortura, si trattasse. Sempre inermi, balocchi di sadici, immuni e impuniti per legge del signore. E così che vogliono affrontarti, così che sanno prevalere. Alla pari, da mercenari la cui lealtà e il cui impegno durano quanto i 30 denari percepiti, fuggono come topi. La cupola dei licantropi così li vuole e così li forma (ricordate Full Metal Jacket?) a sua guardia pretoriana. Sfruttare, esaltare il necrofilo orgasmo da violenza sui deboli, storia lunga millenni e soprattutto storia nostra, cristiana. Nessun picchiatore sa combattere un avversario qualsivoglia, la sua dimensione è quella del fucilatore nazisionista di fronte al bambino con il sasso. E’ per questo, per renderti preda facile, che ti disarmano a forza di liturgie della “non-violenza” (tua, non loro). Fenomenologia planetaria, da Israele a Piazza San Giovanni in Roma all'ora dell'autodifesa per sopravvivere, da Santiago o Atene a Valdisusa, da Wall Street a Londra o Parigi. Da Bengasi a Tripoli.


Muammar Gheddafi, arabo, africano, libico. Quanto basta per renderlo inviso a loro, prezioso a noi e compagno delle vittime che ci infliggono da Portella delle Ginestre e da Piazza Fontana. Le vittime degli dei sono tutte sorelle. I carnefici e i loro mandanti sono tutti gli stessi. Nostra progenie. Nostro peccato originale. Li avete visti, i torturatori, all’opera sul corpo inerme di un combattente fino alla fine per il giusto, per il bene. E’ il suo eroismo, la sua capacità di amore, la sua forza, che hanno fatto ribollire subconsci e alimentato la furia cannibalesca degli impotenti. E’ perché mi specchio orrido nella tua bellezza che ti penetro con un tubo di ferro, ti scotenno, ti strascino e sbatto e colpisco, ti lacero le carni, ti annichilisco nel mio urlo a Dio, Allah u Akbar, ti perforo con il piombo. Ai suoi seviziatori, Mutassim, il figlio, ha tirato sberleffi e ai loro uncini ha risposto nel momento della morte, “Le mie ferite sono le mie medaglie”. Talis pater… Oggi un altro figlio, Seif al Islam, guida la Resistenza. Su tutto questo il CNT dei felloni ha cercato di stendere il velo, liso e intriso di veleno, della menzogna e dell’umiliazione. "Gheddafi ferito da pallottola vagante e tosto trasportato in ospedale, morto all’arrivo"; "Gheddafi rintanato in un tubo", reminiscente del buco nel quale i bollettini del Pentagono hanno infilato il Saddam virtuale, mentre quello vero sparava contro il nemico le ultime munizioni. Di inventiva ne hanno poca. Di impunità mediatica, tantissima.


La jena umana rideva. Parafrasando Cesare: Siamo venuti, abbiamo visto, lui è morto, ha, ha, ha! Era venuta a Tripoli, puntuale, la Persefone degli inferi, per farsi un girocollo con le ossa di Gheddafi, un paio di guanti con la sua pelle. Del grottesco rimbalzo delle versioni sulla morte, tutte diverse, mi convince quella comparsa e subito rinchiusa nel cassetto dei frodatori medatici. Truppe speciali Nato riescono a penetrare nell’estremo ridotto della difesa di una Sirte polverizzata, catturano Gheddafi, suo figlio, li interrogano alla loro maniera, li trattengono in attesa del giorno del segnale. Quando Hillary Clinton sarebbe arrivata all’appuntamento per proclamare la vittoria su tacchi infilati nel corpo del nemico abbattuto. Allora hanno messo quei corpi vivi nelle mani dei giustizieri. Gente di Misurata. Trofeo di guerra per chi doveva eliminare, con la ritualità di macellerie da videogioco di formazione, colui che si era opposto nel nome dell’uomo alle orrende nefandezze compiute dalla Nato (“Non mi arrenderò mai”, mandò a dire al boia di Washington) e dai detriti di barbarie a Misurata e nei centri conquistati. Con l’operazione Osama bin Laden, assassinio di uno morto dieci anni prima, non si era potuto fare perché trattavasi di controfigura da nascondere nel mare. E da far sparire, con lo schianto del loro elicottero, gli operativi di quella missione. Ma con Gheddafi si è tornati all’antica maniera, quella di Lumumba, di Omar al Mukhtar, di Ceausescu, di Saddam: il nemico straziato, umiliato, sbranato. Quanto più lo mostriamo, tanto più ci rispettano e restano atterriti davanti alla nostra potenza. Non è per diffondere questo messaggio che normalmente pudiche trasmissioni televisive e foto in tutto il mondo ci hanno cannoneggiato per giorni con le immagini del martirio di Gheddafi e degli avvoltoi che grufolavano sul suo corpo? Che vi sia di lezione. Anche perché così vi abituate, tante atrocità alla fine diventano normalità, ci si può convivere. Anche la sinistra che, arricciato un po’ il naso davanti a quell’ uomo finito peggio di un maiale nel mattatoio, per otto mesi si è fatta minchionare dal messaggio totalitario e unanime del Gheddafi pazzo, del dittatore che uccide la propria gente, dei “giovani rivoluzionari”. Per otto mesi ha pestato nel torbido, rimasticando sciocche falsità sulla primavera araba anche in Libia, o sulle efferatezze del regime 42ennale del “dittatore”.


Gheddafi era giovane e davvero bello e magnetico quando, nel 1977, lo vidi a Sebha, a otto anni di una rivoluzione di popolo, guidata dai giovani ufficiali nasseriani. Era già in piedi quella sua costruzione sociale, la Terza Dottrina Universale, che verrà poi declinata nel Libro Verde, basata sulla democrazia diretta, espressa attraverso assemblee di base, comitati popolari, congressi nazionali che dibattevano, decidevano, governavano. Un atto drammaticamente eversivo, terrorizzante per i padroni dell'ordine esistente-fine della storia, perché tale da far crollare di colpo il castello di carte false della “democrazia rappresentativa”, quella dei mandati elettorali a prescindere. In quel Congresso nazionale, Gheddafi annunciò la sua rinuncia a qualsiasi incarico di potere nelle nuove istituzioni. Rimase la Guida, certamente dotata di enorme autorità morale e politica. Il padre della patria. E iniziarono alcune delle tante forme di oppressione brutale che i distributori di interventi umanitari hanno rimproverato a Gheddafi, fin dal giorno in cui, nel 1969, aveva cacciato dai piedi della Libia il re-travicello Idris, bengasiano, islamista duro, despota e fantoccio dei britannici, perpetuatore dei trent’anni del più feroce dei colonialismi, quello italiano. Fu l’inizio di 42 anni di ininterrotta oppressione. Oppressione inflisse al suo paese quando lo liberò delle basi angloamericane e ne nazionalizzò il petrolio, fin lì rubato dalla regina d’Inghilterra. I libici soffrirono oppressione quando i livelli di vita della popolazione migliorarono fino a diventare i primi del Continente e il paese si meritò gli elogi dell’ONU per la sua difesa dei diritti umani: sanità e istruzione gratis, sostegno agli anziani e cura dell’infanzia, mortalità infantile minima, alfabetizzazione totale, casa assicurata alle nuove coppie, piena occupazione e 2 milioni di lavoratori immigrati con gli stessi diritti dei cittadini. L’oppressione assunse forme acquatiche con l’alluvione di acqua potabile che la più grande opera idraulica del mondo, realizzata a partire dalla scoperta di un gigantesco mare fossile, forniva da bere a tutto il popolo, facendo simultaneamente “fiorire il deserto” come nessuno l’aveva mai saputo fiorire, neanche rubando l’acqua ai suoi titolari… Oppressione fu certamente quella che sconfisse gli alqaidisti tozzi del Gruppo di Combattimento Libico Islamico, autori, su istigazione feudal-capitalista, di una serie di rivolte contro il governo e di tentativi di assassinio di Gheddafi. Sono quelli che oggi comandano a Tripoli liberata e costringono il pendaglio da forca a stelle e strisce e presidente del CNT, Mustafa Jalil, a proclamare l’islamizzazione costituzionale della Libia, con tanto di sharìa e governance saudito-qatariota. Al posto delle assemblee, dei dibattiti e delle decisioni di popolo, ci saranno partiti, ovviamente equipollenti tra di loro, come vogliono, sotto etichette di varia fantasia, le omogenee borghesie capitaliste. Ci saranno elezioni. Non si corrono più rischi con le nostre elezioni. Ce lo siamo garantito in Iraq, Afghanistan. Messico, con Bush. Si potrà blaterare, ma guai se si dovesse andare in piazza a spiegazzare la giacca a un Marchionne, a un Rothschild, o a un George Soros. Le donne si sentiranno finalmente libere sotto il burka.


Ma non si doveva tutti quanti andare a strappargli il velo, alle donne musulmane?


Fortissima fu l’oppressione gheddafiana nei confronti dei suoi ministri e cicisbei che ambivano a nient’altro che a fare, vuoi come i satrapi produttori di petrolio, per la svendita dei diritti e delle ricchezze dei loro popoli, vuoi come i manipolatori, venditori e speculatori multinazionali, cui inflisse accordi che riservavano a loro il 10% della resa e al paese il 90%, distribuito fra tutti i cittadini, al contrario preciso di quanto avveniva tra Exxon, Total, BP, Re Abdallah e califfi vari. L’oppressione si estese ai palestinesi dei cui rappresentanti, bulimici di protettori israeliani e business, e dei cui nazicolonizzatori, denunciava alla Lega Araba e all’ONU i crimini e il malaffare. L’oppressione esercitata da questo tiranno assunse dimensioni mondiali quando, fin dal 1969 e per sempre, si batté con tutti i mezzi contro l’apartheid e per la liberazione dei popoli d’Africa, e non solo, dal gioco coloniale. A impegnarsi a fondo contro questo oppressore e i suoi modi si sono battuti per quarant’anni le monarchie assolute che, privatizzati i propri paesi, per privatizzare e rendere al libero mercato la Libia inviarono combattenti e soldi ai rivoltosi islamisti; i nostalgici realisti ansiosi di rioccupare il trono di Idris; la ciurmaglia Al Qaida-Fratelli Musulmani determinata a depredare il paese e asservire il popolo a forza di sharìa, taglio delle mani, pulizia etnica di neri; i patrioti nella cerchia dirigente che sotterraneamente brigavano con Cia, MI6 e cupola finanziaria, per allestire, insieme a un po’ di ammiratori di Barbara d’Urso (TV show alla Berlusconi), per la fratellanza capitalista occidentale quel banchetto coloniale che sempre garantisce qualche briciola alla servitù; la “comunità internazionale” che, in rappresentanza del 7% degli strati ricchi mondiali, ma dotata di Nato e dei suoi mezzi di distruzione di massa, ha provveduto a disintegrare popolo e paese. Esempio di grandioso salto evolutivo tecnologico, Sirte rasa al suolo casa per casa, acquedotto per acquedotto, fogna per fogna, ospedale per ospedale, deposito di viveri per deposito di viveri, persona per persona. E mai arresa. Come non si sono mai arresi i cittadini non spuri di una nazione che impertinentemente era diventata tale, fuori dal circuito chicaghiano della globalizzazione e della fase finale imperialista del capitale. Credete che quel popolo, privato di mezzi di difesa, alla furia genocida della più grande coalizione armata avrebbe resistito otto mesi (e resista!) senza il patrimonio disseminato in quelle menti e in quei cuori da Muammar Gheddafi in quarant’anni di dignità e di giustizia sociale, di libertà e sovranità, senza il padre e fratello-guida, erede dei martiri della migliore umanità, Lumumba, Sankara, Allende, Che, Mandela, Kenyatta, Ho Ci Minh?


E mentre queste forze della “superiore civiltà” ripercorrevano le stesse vie aperte dalla conferenza di Berlino del 1985 su chi dovesse rubare più Africa e uccidere più africani, affrontando il “dittatore sanguinario”, carri armati made in Usa, ma pilotati da sauditi, rollavano verso Bahrein per schiacciare sotto cingoli e mitraglia una sollevazione di popolo contro un tiranno autentico. Droni Usa sostenevano a forza di stragi il despota yemenita contestato dal popolo più impoverito del mondo, come il governo marionetta insediato a Mogadiscio da coloro che hanno condannato la Somalia al caos creativo perpetuo.


L’Africa voluta dal visionario realista di Sirte era una definitiva prova di oppressione. Popoli affidati dall’astuto geografo coloniale a perenni dispute fratricide, confessionali, etniche, tribali, sotto il tallone di fermissimi governanti eletti con il gioco delle tre carte ed eterodiretti, avevano intravvisto all’orizzonte la nascita di un loro continente, unito e capace di tener testa. Gheddafi aveva proposto la strategia liberatoria di un’unità degli africani e gli aveva fornito i mezzi materiali: banche, investimenti, valute, telecomunicazioni, progetti sociali. 


L’esistenza di una cupola degli affari e del potere – assurta a principale se non unica istanza destinata a determinare monopolisticamente le scelte strategiche, a scapito di tutto il resto - orientando le teocrazie e gli stessi organi rappresentativi, governando il flusso di risorse finanziarie e di determinazioni politiche, con decisioni irrevocabili, sottratte al controllo dei destinatari di quelle decisioni: di coloro che ne pagheranno il prezzo e ne sosterranno i sacrifici. Infine la formazione di un fronte bipartisan da sopravvivere agli stessi conflitti interpartitici perché cementato da una commistione e condivisione di interessi materiali, da una rete di affari trasversale e indifferente alle linee di demarcazione politica… Così ben scrive il buon Marco Rivelli, guru della sinistra democraticamente antagonista. Ma si riferisce alla TAV e chissà perché non alla Libia. Eppure se ne sarebbe potuto trarre il fortificante messaggio che siamo tutti nella stessa barca e a quanto viene fatto ai libici corrispondono, in economie di scala, la rapine e le devastazioni della Valdisusa.


Hanno esposto, con la vestale assassina celebrante in letizia, il corpo di Muammar martoriato, malmenato, tagliato, sodomizzato, nella cella frigorifera di Misurata, quella nella quale si consumavano i riti della tonnara dei "giovani rivoluzionari": neri e soldati sgozzati e smembrati, ragazze violentate e mutilate (ne avete prova nel mio documentario e in mille riprese fatte nel delirio del massacro e occultate dai media). Chi non aderiva, sgozzato e carbonizzato. La belva ci poteva ridere sopra. Le milizie di un Allah confezionato da cristiani, assoldate e drogate di sangue, del tutto inette in battaglie con chi si batteva per la causa dell'uomo, battaglie mai vinte prima che la Nato facesse di vita deserto, tabula rasa. I briganti di ventura a cui i mandanti avevano dato l’incarico del Terrore, ancora una volta avevano superato se stesse. Bene. 


Bene anche per il papa.Tanto da non elicitare neanche un lieve tossicchiare di riprovazione dalla finestra dell’Angelus. Del resto Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli e vicario del papa, , protagonista positivo del mio filmato con le sue temerarie denunce dei massacri Nato e la difesa di Gheddafi e delle sue opere, non è forse rientrato ora a Tripoli aspirando a pieni polmoni “la nuova aria di libertà nelle strade”? Veramente strade neanche ancora libere da migliaia di corpi massacrati a forza di liberazione islamista. Chissà se Martinelli si ricorderà, quando caleranno i veli sui visi delle donne e bruceranno le chiese, delle parole dettemi sull’altra libertà, quella di prima, quella di tutte le religioni in Libia, quella dei cittadini che disponevano del proprio destino. Sempre preti sono. E se c’è una dittatura, una monarchia assoluta garantita da IOR e castighi infernali, di quelli esemplificati su Gheddafi, non stava a Tripoli. .


A noi hanno abituato a pensare in schemi binari: si, no. E’ roba Usa, sono i film western che ci hanno incastrato in un dualismo ontologico: di là il cattivo, di qua il buono, l’indiano e Custer, lo sceriffo e il il dolce sciroppo della semplificazione: il buono e il cattivo. Ci risparmia di dover scartabellare tra informazioni su cose lontane e complesse, la cultura, la storia, l’immaginario, i bisogni, le strutture sociali, sul perché così e non come da noi. Dobbiamo rispondere lottando contro queste strumentali, banali e fuorvianti personalizzazioni. Quelli infatti parlano di Gheddafi e solo di Gheddafi, cane pazzo, dittatore, tiranno sanguinario, venduto all’Occidente, venduto all’Oriente. Il popolo libico è solo un affresco sul fondale della farsa. Puntare sul personaggio serve a non far conoscere un popolo che sanguina, cui spezzettano i bambini, su cui lanciano torme di subumani, che affogano nell’uranio e bruciano nel fosforo, cui polverizzano case, scuole, ospedali. E, soprattutto, un popolo che con Gheddafi stava bene. Li avete mai visti, questi libici? Si sono ammonticchiati per otto mesi e il cumulo cresce e crescerà. Chissà a quali portentose missioni giornalistiche si dedicavano a Tripoli, o Bengasi, o Misurata, i miei colleghi, per non aver mai avuto modo di vedere quel sangue, quei frantumi, quegli orrori dei mercenari (dei media e dei sinistri parleremo in un prossimo post). Forse ora, però, l’individualismo isterico che genera questa sineddoche, la parte per il tutto, trova la sua nemesi nel tutto che si riconosce nella parte. “Gheddafi vive”, non è una figura retorica. Uno che ha dedicato tutta la sua vita al popolo, ai popoli, ne ha condiviso fino all’ultimo momento la lotta e da forze necrofaghe, troppo cavernicole per essere definite demoniache, è stato straziato, diventa sangue e coscienza della sua gente.


Nei tempi della storia, incommensurabilmente piccoli a metro di universo, ma decisivi per il pur breve cammino dell’uomo, della vita, Muammar Gheddafi è immortale. Gheddafi è la Libia. E l’uomo nuovo. Gheddafi è tutti noi in marcia. La comunità degli uomini ha perso un uomo, sottrattogli da ominicchi, ruffiani e quaquaraquà. Ma ha guadagnato una guida nella tempesta.
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Il sangue versato (Garcia Lorca)
(premesso che non abbiamo nulla contro il toro che ha seccato Ignazio, lo sappiamo metafora della belva subumana che non tollera la specie fatta uomo)

Non voglio vederlo!
Di’ alla luna che venga,
ch’io non voglio vedere il sangue
d’Ignazio sopra l’arena.
Non voglio vederlo!
La luna spalancata.
Cavallo di quiete nubi,
e l’arena grigia del sonno
con salici sullo steccato.
Non voglio vederlo!
Il mio ricordo si brucia.
Ditelo ai gelsomini
con il loro piccolo bianco!
Non voglio vederlo!
La vacca del vecchio mondo
passava la sua triste lingua
sopra un muso di sangue
sparso sopra l’arena,
e i tori di Guisando,
quasi morte e quasi pietra,
muggirono come due secoli
stanchi di batter la terra.
No.
Non voglio vederlo!
Sui gradini salì Ignazio
con tutta la sua morte addosso.
Cercava l’alba,
ma l’alba non era.
Cerca il suo dritto profilo,
e il sogno lo disorienta.
Cercava il suo bel corpo
e trovò il suo sangue aperto.
Non ditemi di vederlo!
Non voglio sentir lo zampillo
ogni volta con meno forza:
questo getto che illumina
le gradinate e si rovescia
sopra il velluto e il cuoio
della folla assetata.
Chi mi grida d’affacciarmi?
Non ditemi di vederlo!
Non si chiusero i suoi occhi
quando vide le corna vicino,
ma le madri terribili
alzarono la testa.
E dagli allevamenti
venne un vento di voci segrete
che gridavano ai tori celesti,
mandriani di pallida nebbia.
Non ci fu principe di Siviglia
da poterglisi paragonare,
né spada come la sua spada
né cuore così vero.
Come un fiume di leoni
la sua forza meravigliosa,
e come un torso di marmo
la sua armoniosa prudenza.
Aria di Roma andalusa
gli profumava la testa
dove il suo riso era un nardo
di sale e d’intelligenza.
Che gran torero nell’arena!
Che buon montanaro sulle montagne!
Così delicato con con le spighe!
Così duro con gli speroni!
Così tenero con la rugiada!
Così abbagliante nella fiera!
Così tremendo con le ultime
banderillas di tenebra!
Ma ormai dorme senza fine.
Ormai i muschi e le erbe
aprono con dita sicure
il fiore del suo teschio.
E già viene cantando il suo sangue:
cantando per maremme e praterie,
sdrucciolando sulle corna intirizzite,
vacillando senz’anima nella nebbia,
inciampando in mille zoccoli
come una lunga, scura, triste lingua,
per formare una pozza d’agonia
vicino al Guadalquivir delle stelle.

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Muʿammar Abū Minyar ʿAbd al-Salām al-Qadhdhāfī
(Orazione funebre di Chavez a Mu’ammar dal Giulio Cesare di Shakespeare)
[24.10.2011] di GilguySparks


Amici, libici, compagni, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire Muʿammar, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia per Muʿammar. Il nobile Jalil v’ha detto che Muʿammar era ambizioso: se così era, fu un ben grave difetto: e gravemente Muʿammar ne ha pagato il fio. Qui, col permesso di Jalil e degli altri – perché Jalil è uomo d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore – io vengo a parlare al funerale di Muʿammar. Egli fu mio amico, fedele e giusto verso di me: ma Jalil dice che fu ambizioso; e Jalil è uomo d’onore. Molti prigionieri islamisti egli ha riportato a Tripoli, il prezzo del cui riscatto ha riempito il pubblico tesoro: sembrò questo atto ambizioso in Muʿammar?
Quando i poveri hanno pianto, Muʿammar ha versato lacrime: l’ambizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa; eppure Jalil dice ch’egli fu ambizioso; e Jalil è uomo d’onore. Tutti vedeste come tre volte gli presentai una corona di re ch’egli tre volte rifiutò: fu questo atto di ambizione?
Eppure Jalil dice ch’egli fu ambizioso; e, invero, Jalil è uomo d’onore. Non parlo, no, per smentire ciò che Jalil ha detto, ma qui io sono per dire ciò che io so.
Tutti lo amaste una volta, né senza ragione: qual ragione vi trattiene dunque dal piangerlo? Oh senno, tu sei fuggito tra gli animali bruti e gli uomini hanno perduto la ragione. Scusatemi; il mio cuore giace là nella bara con Muʿammar e debbo tacere sinché non ritorni a me.
Perché se io fossi Jalil e Jalil Chavez, qui ora ci sarebbe un Chavez che squasserebbe i vostri spiriti e che ad ognuna delle ferita di Muʿammar donerebbe una lingua così eloquente da spingere fin le pietre di Tripoli a sollevarsi, a rivoltarsi.
Soltanto ieri la parola di Muʿammar poteva opporsi al mondo intero: ora egli giace là, e non v’è alcuno, per quanto basso, che gli renda onore.
O signori, se io fossi disposto ad eccitarvi il cuore e la mente alla ribellione ed al furore, farei un torto a Jalil e un torto a Jibril, i quali, lo sapete tutti, sono uomini d’onore: e non voglio far loro torto: preferisco piuttosto far torto al defunto, far torto a me stesso e a voi, che far torto a sì onorata gente.
Ma qui ho una pergamena col sigillo di Muʿammar – l’ho trovata nel suo studio, è il suo testamento: che voi, popolo, udiate soltanto questo testamento, che, perdonatemi, io non intendo leggere, e andreste a baciar le ferite del morto Muʿammar, ed immergereste i vostri panni nel suo sacro sangue; anzi, chiedereste un capello per ricordo e, morendo, ne fareste menzione nel vostro testamento, lasciandolo, come un ricco lascito, alla prole.
Pazienza, gentili amici, non debbo leggerlo; non è bene che voi sappiate quanto Muʿammar vi ha amato. Non siete di legno, non siete di pietra, ma uomini, e essendo uomini, e udendo il testamento di Muʿammar, esso v’infiammerebbe, vi farebbe impazzire: è bene che non sappiate che siete i suoi eredi; ché, se lo sapeste oh, che ne seguirebbe!
Se avete lacrime, preparatevi a spargerle adesso.
Tutti conoscete questo mantello: io ricordo la prima volta che Muʿammar lo indossò: era una serata estiva, nella sua tenda, il giorno in cui sconfisse re Idris: guardate, qui il pugnale di Jibril l’ha trapassato: mirate lo strappo che Belhaji nel suo odio vi ha fatto: attraverso questo il ben amato Jalil l’ha trafitto; e quando tirò fuori il maledetto acciaio, guardate come il sangue di Muʿammar lo seguì, quasi si precipitasse fuori di casa per assicurarsi se fosse o no Jalil che così rudemente bussava; perché Jalil, come sapete, era l’angelo di Muʿammar: giudica, o Allah, quanto caramente Muʿammar lo amava! Questo fu il più crudele colpo di tutti, perché quando il nobile Muʿammar lo vide che feriva, l’ingratitudine, più forte delle braccia dei traditori, completamente lo sopraffece: allora si spezzò il suo gran cuore; e, nascondendo il volto nel mantello che tutto il tempo s’irrorava di sangue, il gran Muʿammar cadde. Oh, qual caduta fu quella, miei compagni!
Allora io e voi e tutti noi cademmo, mentre il sanguinoso tradimento trionfava sopra di noi. Oh, ora voi piangete; e, m’accorgo, voi sentite il morso della pietà: queste son generose gocce. Anime gentili, come?
Piangete quando non vedete ferita che la veste di Muʿammar? Guardate qui, eccolo lui stesso, straziato come vedete, dai traditori.
Buoni amici, dolci amici, che io non vi sproni a così subitanea ondata di ribellione. Coloro che han commesso questa azione sono uomini d’onore; quali private cause di rancore essi avessero, ahimè, io ignoro, che li abbiano indotti a commetterla; essi sono saggi ed uomini d’onore, e, senza dubbio, con ragioni vi risponderanno. Non vengo, amici, a rapirvi il cuore. Non sono un oratore com’è Jalil; bensì, quale tutti mi conoscete, un uomo semplice e franco, che ama il suo amico; e ciò ben sanno coloro che mi han dato il permesso di parlare in pubblico di lui: perché io non ho né l’ingegno, né la facondia, né l’abilità, né il gesto, né l’accento, né la potenza di parola per scaldare il sangue degli uomini: io non parlo che alla buona, vi dico ciò che voi stessi sapete, vi mostro le ferite del dolce Muʿammar, povere, povere bocche mute, e chiedo loro di parlare per me: ma se io fossi Jalil, e Jalil Chavez, allora vi sarebbe un Chavez che sommoverebbe gli animi vostri e porrebbe una lingua in ogni ferita di Muʿammar, così da spingere anche le pietre di Tripoli a insorgere e a ribellarsi.
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"Gimme Some Truth"

By John Lennon.

I'm sick and tired of hearing things
From uptight, short-sighted, narrow-minded hypocrites
All I want is the truth
Just gimme some truth



Lyrics

I'm sick and tired of hearing things
From uptight, short-sighted, narrow-minded hypocrites
All I want is the truth
Just gimme some truth

I've had enough of reading things
By neurotic, psychotic, pig-headed politicians
All I want is the truth
Just gimme some truth

No short-haired, yellow-bellied, son of Tricky Dicky
Is gonna mother hubbard soft soap me
With just a pocketful of hope
Money for dope
Money for rope

I'm sick to death of seeing things
From tight-lipped, condescending, mama's little chauvinists
All I want is the truth
Just gimme some truth now

I've had enough of watching scenes
Of schizophrenic, ego-centric, paranoiac, prima-donnas
All I want is the truth now
Just gimme some truth

No short-haired, yellow-bellied, son of Tricky Dicky
Is gonna mother hubbard soft soap me
With just a pocketful of hope
It's money for dope
Money for rope

Ah, I'm sick to death of hearing things
from uptight, short-sighted, narrow-minded hypocrites
All I want is the truth now
Just gimme some truth now

I've had enough of reading things
by neurotic, psychotic, pig-headed politicians
All I want is the truth now
Just gimme some truth now

All I want is the truth now
Just gimme some truth now
All I want is the truth
Just gimme some truth
All I want is the truth
Just gimme some truth



venerdì 14 ottobre 2011

UOMINI E TOPI ( e due canzoni d'attualità e un contributo strategico sull'Europa di polizia)

Ricordate il bambino palestinese Handala? Alla faccia delle organizzazioni palestinesi che hanno assalito Gheddafi
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Ogni propaganda deve essere così avvincente e a un livello intellettuale tale che perfino il più stupido di coloro a cui è diretta la comprende. Attraverso astuta e costante applicazione della propaganda si può portare la gente a prendere l’inferno per il paradiso, e viceversa, a credere che la peggiore vita sia la migliore. (Adolf Hitler, “Mein Kampf”)


Piazza pulita? Occupiamola!
Ieri a “Piazza Pulita” (La 7, Corrado Formigli), quando una compagna di quello strepitoso gruppo di incazzati che occupano il Teatro Valle, contro lo smantellamento a opera di speculatori edilizi, e l’ex-cinema Palazzo, che per questo Stato biscazziere dovrebbe diventare una bisca, ha accennato al diritto a resistere a forsennati picchiatori in divisa, c’è stato un sussulto di terrore. Tutti raccapricciati ad anatemizzare la “violenza”, con il soggettone squadrista Gasparri a latrare contro i violenti di piazza e solo l’alieno De Magistris, rara flor, a ricordare Genova 2001, Diaz e Bolzaneto, gli aguzzini condannati ma promossi, compreso il falsario che ora fa il capo dei servizi, per suggerire che un po’ di violenza sta anche dall’altra parte. Poteva anche dipanare il filo nero, rosso di sangue, che, collega, a forza di mazzate e gas venefici, arresti e pestaggi, ogni singola espressione del pensiero che si svolga all’aperto, sul territorio del padrone, cioè su tutto il territorio: terremotati, pensionati, donne, operai, studenti, immigrati, difensori del territorio, morituri delle discariche mafiogovernative, eutaniasiaci, manifestanti anti-guerra….Alt, manifestanti anti-guerra no, non c'era nessuno da picchiare.



Tutti i salmi finiscono in gloria e anche “Piazza Pulita” si è nettata, alla faccia di De Magistris, di ogni sospetto di complicità con gli “hooligans” giurando tutti in serie, con le dita incrociate sulle labbruzze, “la barricate no!” E scambiandosi poi il liturgico segno della pace. Chiudevano la cerimonia gli ululati del solito fenomeno da baraccone e tutti andavano a casa impettiti, contenti di aver rifilato ai manifestanti planetari del giorno dopo, 15 ottobre, l’input da salvare capra e cavoli. La loro capra e i loro cavoli. Ché lo sanno benissimo che senza barricate non c’è mai stato neanche l’allentamento di un buco nel collare a strozzo che stritola l’umanità degli imperi, dei feudalesimi, delle religioni, del protocapitalismo, della sua modernizzazione totalitaria. E che, senza barricate, non ci sarà mai collo fuori dal cappio, neanche al tempo della finanzcapitalismo dalla guerra perpetua interna ed esterna. A questo proposito, sono curioso di vedere se, magari copiando dai ragazzi e veterani di Wall Street e di 100 città Usa, visto che noi siamo dimentichini, nella rivolta di massa di sabato 15 ottobre 2011 ci sarà qualche vocina che accenni alla violenza genocida, fisica e sociale, non solo dei diktat di Wall Street e della BCE, ma anche dell’altra, che percuote i deboli del mondo, la guerra infinita. Qualche vocina che, rieccheggiando ciò che già suona tra Occupy Wall Street, indichi la zampa unica da cui partono gli artigli che lacerano la vita del 99%, il futuro dei giovani, i popoli da eliminare, i mondi da depredare.


Otpor alle spalle
Nel movimento che alla brava gente negli Usa ha ispirato la brava gente delle vere primavere arabe (ancora una volta, come già con Nasser, Saddam, Gheddafi, Assad e, prima, con Averroè e Avicenna, con i sumeri e la ruota, avanguardie alla soglia del progresso), immancabilmente sono spuntati i ratti della manipolazione. Otpor, la feccia serba che da 10 anni istruisce tutte le rivoluzioni colorate, dall’Ucraina alla Georgia, dalla Serbia all’Iran, ha assunto a Wall Street il ruolo controrivoluzionario che i Fratelli musulmani svolgono al Cairo, in Siria, in Libia e un po’ ovunque tocchi ristabilire l’ordine reazionario e coloniale. Questi tentacoli della National Endowment for Democracy (NED) e dei vari servizi di intelligence, si sono infiltrati nel movimento con la creazione di un “comitato di gestione” coperto che riesce a monopolizzare i contatti con i media e a tirare le fila dell’assemblea generale, organo che dovrebbe essere decisionale, ma che è stato paralizzato dall’assurda regola democretina del consenso: non si fa nulla se non sono d’accordo tutti, un modo per impedire alle avanguardie politiche di esercitare influenza e per soffocare, nell’impreparazione e pavidità anche di quattro gatti, ogni voce radicale. Molti membri di questa cupola sono militari, o ex-militari, ma volerne sapere i nomi è vano, tanta è opaca la vantata trasparenza. Ogni pomeriggio, prima dell’assemblea generale, i membri del comitato spariscono, per poi affrontare l’assemblea ben coordinati e in grado di indirizzare i lavori. Che, così, spesso perdono di ruvidezza e forza dirompente, per incanalare tutto, avvalorando l’ipocrita demagogia obamiana di “comprensione per questi giovani, vittime della crisi”, nell’alveo dove scorrono i miliardi che le lobby e la contestata Wall Street versano per la rielezione del collaudato fiduciario. Da noi di questi alla Otpor non ce n’è bisogno. Siamo più avanti, noi, abbiamo le meglio mistificate Tavole della pace, le Rossande, i Vendola, i Napolitano, una banda vociferante di violenti guru e fighetti nonviolenti. Il 15 ottobre, qui e nel mondo degli indignati-furibondi, ci si ricordi che se hai davanti il robocop, armato e sadicizzato da depravazione e paura, alle spalle incombe il ghigno zannuto delle quinte colonne vestite come te.


Un campione dei nostri tempi
Lo sguardo sghembo (riferito alla “violenza” degli uni e alla violenza degli altri) dello strepitante avanguardista dalla bocca a fossetta anale, nella trasmissione del volenteroso Formigli, alla fin fine si è definitivamente infranto contro l’en passant del solito Giggino o’ sindaco quando, accennando alla Libia, ha messo i 12 miliardi per i nostri F35 ammazzamusulmani in capo ai miliardi sottratti a scuola e sanità. Ottimo spunto per aggiungere una coda al suo discorso sulla violenza. Non paga di un po’ di spopolamento in Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Somalia, Pakistan (in divenire), ma in drammatico difetto di tenuta nelle piazze del mondo di sotto, l’Ufficio Provocazioni Usraeliano della cupola finanzcapitalista, ha alzato il tiro e ne ha fatto rimbombare i soliti media di destra-centro-sinistra: l’Iran, per ordine dei suoi vertici criminali, ha mandato due suoi operativi a far saltare per aria l’ambasciatore a Washington di quella simpatica democrazia che è l’Arabia Saudita. Sì, quella cara amica che da mesi sta facendo saltare per aria corpi di manifestanti per la libertà in Bahrein, Yemen e nella stessa Saudia. Pare  essere tornati all'11 settembre e alle armi planeticide di Saddam. E, come non bastasse, per suscitare addosso all’Iran l’ennesimo “intervento umanitario” della Coalizione dei Volenterosi, i due primatisti mondiali del terrore hanno infilato nel piano di questi "psicopatici persiani" la combustione delle ambasciate saudite negli Usa e a Buenos Aires, senza dimenticare anche quella argentina di Israele, già fatta oggetto di attenzioni stragiste Mossad nel 1992.
 


Il killer Nobel per la pace
Avrebbe dovuto essere sufficiente per far parlare d’altro e distogliere gli sguardi affascinati da “Occupy Wall Street” e dai suoi riverberi in tutto il mondo, dalle primavere arabe da schiantare definitivamente, e altri sguardi, atterriti dalle mostruosità imperial-monarchiche in corso in Libia, Yemen, Bahrein. In più c’era da far svaporare un’ indignazione diffusa tra chi ci tiene ai diritti civili, a quello di vivere, per esempio, in seguito allo scandalo dell’assassinio extragiudiziale in Yemen di un cittadino statunitense, Al Awlaki, su ordine dello stesso presidente. Già, con tanti saluti al defunto Primo Emendamento della Costituzione, Obama si è dato il potere di giustiziare cittadini statunitensi al di fuori di ogni impiccio giudiziario. E poi danno dell’Hitler a Milosevic e a Gheddafi. Il "perfido terrorista" era un predicatore islamico, cittadino Usa, che a casa e fuori si era limitato a criticare le mattanze Usa in giro per il mondo. Con ciò si era metamorfizzato in pericoloso terrorista (occhio a noi, che non siamo nemmeno cittadini statunitensi e il Primo Emendamento l’abbiamo mai avuto). Infine,  serviva a far pensare a un Obama, eroe della lotta al narcotraffico, il convolgimento negli attentati di narcotrafficanti messicani, gli efferatissimi Zeta, peraltro composti da truppe speciali addestrate negli Stati Uniti e da questi generosamente armate ai fini di narcoproventi da accumulare nelle banche Usa. Le famose “armi di distrazione di massa”.


Vediamo la chiave passepartout: il cui bono degli astuti padri latini. Ai dirigenti iraniani, sotto pressione planetaria mondiale da almeno un decennio, vaiolizzati da sanzioni, con minoranze eterodirette in rivolta, con rivoluzioni colorate Cia sempre incombenti, con la stampella siriana sotto schiaffo e l’economia sotto sanzioni, avrebbero dovuto sparare in vena una tonnellata di Ritalin all’LSD per fargli compiere una stronzata suicida del genere. Invece, il cui prodest della narco-élite finanziaria l’avete letto sopra. E dovrebbe essere convincente in merito a chi della pataccona si avvantaggia. Dunque uno dei due iraniani, Mansur Arbabsiar, è andato in Messico, ha reclutato uno Zeta per fare i lavoretti e, sorpresa, dallo Zeta s’è trovato messo nel sacco. Il narcos, infatti, era un infiltrato della DEA, agenzia Usa per il controllo e supporto del narcotraffico. Come plusvalore del piano, agli Zeta, garanti del flusso di Cocaina alla City Bank, dalla Colombia attraverso il Gutemala, Haiti e il ricuperato Honduras, lo sprovveduto, ovviamente confesso grazie a un po’ di chip in testa, aveva promesso tonnellate di buon oppio afghano. E indovinate un po’ chi ha riportato l’oppio afghano dallo zero dello sradicamento dei Taliban alle 9mila tonnellate del 2010 e al 92% dell’eroina mondiale. L’Iran o, forse i mandatari a stelle e strisce di Wall Street?


Il pacco persiano
Prove? Quante ne abbiamo del pacifismo e dell'odio per le banche di Obama. In compenso l’immensa soddisfazione dei congiunti di primo grado israeliani che, oltre a vedere il potente parente acchiappare la fiaccola da infilare nelle installazioni nucleari iraniane, che domani potrebbero essere un insormontabile posto di blocco all’avanzata dei barbari, possono passare a cose più serie. Come la sconfitta dei Due Stati all’ONU con la rimessa all’ordine del fantoccio Abu Mazen, altre colonie e decimazione di palestinesi e, soprattutto, un buon motivo per dare una mano ai fratelli musulmani e ad Al Qaida nello strappare all’Iran il braccio sinistro siriano. Concludendo, saputo che il ministro della Giustizia Usa, Eric Holder, portavoce dell’attentato, ricevute comunicazioni dal think tank sionista AIPAC, aveva sottolineato con enfasi che obiettivi dei congiurati diretti da Tehran erano anche le ambasciate israeliane, per conoscere la matrice dell’operazione bastavano solo un po’ di ricordi. Probabilmente nei prossimi giorni, la bufala diverrà tanto più spiegazzata e lisa quanto più ci si aggroviglieranno i suoi trombettieri. Basta seguire le trappole logiche e fattuali in cui finiscono ripetitivamente, per troppo senso di impunità, le emittenti a dominio sionista. Basta vedere il calo dei lettori del "manifesto", a dispetto dalla resistenza nobile, quasi libica che i sopravvissuti dell'antimperialismo esercitano nel giornale lobbizzato (e che pare abbia prodotto l'anodina e a sinistra non compianta uscita di scena della coppia direttrice)... Usciamo dalla farsa ed entriamo sul palcoscenico della realtà.


A Damasco, alla faccia delle poche migliaia di farlocconi tirati in piazza dalle menzogne occidentali e della teppa islamista armata che spara su folle e poliziotti e traveste i morti da vittime di Assad, oltre un milione di persone – da noi in proporzione sarebbero stati tre – hanno manifestato l’altro giorno contro le interferenze straniere, contro l’imperialismo, contro Israele e in appoggio al proprio Stato e al suo presidente. Una cosa così grossa che, dopo aver per mesi fatto diventare bue la rana delle proteste anti-Assad, perfino la belligerante BBC ha dovuto diffonderne le immagini. O gli è scappata. A questo proposito, guardate che coincidenza: a luglio la Siria stava firmando un contratto con l’Iran e l’iranizzato governo iracheno per la costruzione di una pipeline di 5.600 km per 6 miliardi di dollari, che avrebbe trasportato gas naturale iraniano dal giacimento di South Pars, attraverso Iraq e Siria, in Europa. Ma come, gli Usa si avventano, con le buone o le cattive, su tutti i paesi da cui si cavi combustibile anche solo per accendini, onde controllarne riserve, estrazione, rotte e relativi rubinetti, sempre a scapito dell’Europa e di concorrenti vari (sono curioso di vedere cosa succede al gasdotto Libia-Italia), ed ecco che questi Stati canaglia, insieme alla bifide colonia irachena, pensano di concedere vantaggi all’Europa (già in corso di demolizione finanziaria) e a se stessi. Sia mai! La definizione dell’accordo, prevista negli impianti di Bushehr per il 25 luglio, ha coinciso con la subitanea intensificazione delle operazioni di infiltrati armati in Siria, con la costituzione di governi provvisori dell’opposizione in Turchia, con l’ordine di Obama e Ban Ki-Moon ad Assad di togliersi dai piedi e con un uragano mediatico (“manifesto” in testa) sulle atrocità, le stragi, le torture, la distruzioni di intere sue città, da parte del solito dittatore sanguinario e pazzo.


Uomini e topi
Mentre Sirte resiste oltre ogni immaginazione di eroismo e di barbarie e riesce addirittura a respingere la forza stragista di Nato e ratti, mentre a Beni Walid e in altre città i bombaroli e la teppaglia mercenaria non fanno che morte e macerie ma nessuna vittoria, mentre i Tuareg di tutto il Sahel si dichiarano con la Libia e accorrono in difesa di Gheddafi, il resto della Libia viene depredato, ucciso nel corpo e nell’anima. La marmaglia dei contractor Nato continua a sbranare e a sbranarsi per il bottino. Sopra, c’è lo scazzo al vertice tra i due tentacoli della piovra Nato, ex-gheddafiani e islamisti Al Qaida, che si disconoscono a vicenda e si contendono brani di Tripoli; sotto, si affrontano a mitragliate, per la precedenza nei linciaggi e furti, la tribù di Misurata e quella dei monti Nefusa. Il CNT, accozzaglia di famelici di varia estrazione, ha un esercito di cui Brancaleone da Norcia si vergognerebbe. Non rappresenta neanche se stesso, dato che ha perso il 95% dei membri originari. Non controlla nulla. Stanno sulla ribalta e riempiono gli obitori, invece, le bande armate integraliste, potere effettivo sui pezzi di Libia occupati. Nessuno in questa canaglia potrà garantire la minima stabilità coloniale nel paese e lo stregone Nato si trova nella posizione dell’Asino di Buridano. Non si sa quale parte di questa teppa abbia assalito e depredato il Museo Islamico e quello Nazionale di Tripoli, dopo aver svuotato e devastato la Grande Moschea e la cattedrale cattolica. Hanno saccheggiato e distrutto arredi e testi antichi, razziato quanto di prezioso poteva essere messo sul banchetto davanti al Guggenheim. Ricordate in Iraq, subito dopo l’invasione? Altra teppa fu scagliata contro Museo Nazionale, Biblioteca Nazionale, Babilonia, Niniveh, Ur, decine di siti millenari e il bottino riappariva nei caveau dei collezionisti statunitensi. Non è solo ladrocinio, è la strategia di distruzione, con i documenti di una storia che ne costituisce le cellule, dell’identità, del passato, del futuro, di un popolo. Barbari e ratti tutto divorano, per poi espellerlo in forma di materia morta per il consumo di noi Zombie.


Ciao amici, buon 15 ottobre (senza Otpor). Vi lascio con due canzoni del momento e vado una decina di giorni, per parlare di Libia e imperialismo, in giro per di là. Voi, intanto, scrivete! E cantate! E non perdetevi, in fondo, il pezzo sulla nuova gendarmeria europea. Altro che lettera-diktat della BCE! L'una pronuncia la sentenza capitale, l'altra la esegue. 








LA CACCIA ALLE STREGHE (Bandelli)
E’ cominciata di nuovo
la caccia alle streghe:
i padroni, il governo,
la stampa e la televisione;
in ogni scontento
si vede uno sporco cinese;
"uniamoci tutti
a difendere le istituzioni!


Ma oggi ho visto nel corteo
tante facce sorridenti,
le compagne, quindici anni,
gli operai con gli studenti:


"Il potere agli operai!
No alla scuola del padrone!
Sempre uniti vinceremo,
viva la rivoluzione!".


Quando poi le camionette
hanno fatto i caroselli
i compagni hanno impugnato
i bastoni dei cartelli


ed ho visto le autoblindo
rovesciate e poi bruciate,
tanti e tanti baschi neri
con le teste fracassate.


La violenza, la violenza,
la violenza, la rivolta;
chi ha esitato questa volta
lotterà con noi domani!


Uno, due, dieci,
vent'anni di democrazia;
le pietre non sono argomenti,
ci dice un borghese;
siamo d'accordo con voi,
miei cari signori,
ma gli argomenti
non hanno la forza di pietre.


"Il potere agli operai!
No alla scuola del padrone!
Sempre uniti vinceremo,
viva la rivoluzione!".


Quando poi le camionette
hanno fatto i caroselli
i compagni hanno impugnato
i bastoni dei cartelli


ed ho visto le autoblindo
rovesciate e poi bruciate,
tanti e tanti baschi neri
con le teste fracassate.


La violenza, la violenza,
la violenza, la rivolta;
chi ha esitato questa volta
lotterà con noi domani!


VALLE GIULIA (Pietrangeli)
Piazza di Spagna, splendida giornata,
traffico fermo, la città ingorgata
e quanta gente, quanta che n'era!
Cartelli in alto e tutti si gridava:
«No alla scuola dei padroni!
Via il governo, dimissioni!».


E mi guardavi tu con occhi stanchi,
mentre eravamo ancora lì davanti,
ma se i sorrisi tuoi sembravan spenti
c'erano cose certo più importanti.
«No alla scuola dei padroni!
Via il governo, dimissioni!».


Undici e un quarto avanti a architettura,
non c'era ancor ragion d'aver paura
ed eravamo veramente in tanti,
e i poliziotti in faccia agli studenti.
«No alla scuola dei padroni!
Via il governo, dimissioni!».


Hanno impugnato i manganelli
ed han picchiato come fanno sempre loro;
ma all'improvviso è poi successo
un fatto nuovo, un fatto nuovo, un
fatto nuovo:
non siam scappati più, non siam scappati più!


Il primo marzo, sì, me lo rammento,
saremo stati millecinquecento
e caricava giù la polizia
ma gli studenti la cacciavan via.
«No alla scuola dei padroni!
Via il governo, dimissioni!».


E mi guardavi tu con occhi stanchi,
ma c'eran cose molto più importanti;
ma qui che fai, ma vattene un po' via!
Non vedi, arriva giù la polizia!
«No alla scuola dei padroni!
Via il governo, dimissioni!».


Le camionette, i celerini
ci hanno dispersi, presi in molti e poi picchiati;
ma sia ben chiaro che si sapeva;
che non è vero, no, non è finita là.
Non siam scappati più, non siam scappati più.


Il primo marzo, sì, me lo rammento...
...No alla classe dei padroni,
non mettiamo condizioni, no!
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La Nuova Polizia con Poteri Illimitati


di A. Mannino
Alzi la mano chi sa cos’è il trattato di Velsen. Domanda retorica: nessuno. Eppure in questa piccola città olandese è stato posto in calce un tassello decisivo nel mosaico del nuovo ordine europeo e mondiale. Una tappa del processo di smantellamento della sovranità nazionale, portato avanti di nascosto, nel silenzio tipico dei ladri e delle canaglie.
Il Trattato Eurogendfor venne firmato a Velsen il 18 ottobre 2007 da Francia, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo e Italia. L’acronimo sta per Forza di Gendarmeria Europea (EGF): in sostanza è la futura polizia militare d’Europa. E non solo. Per capire esattamente che cos’è, leggiamone qualche passo.
I compiti: «condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese l’attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale di intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici» (art. 4).
Il raggio d’azione: «Eurogendfor potrà essere messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), della Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche» (art. 5).
La sede e la cabina di comando: «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero - l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa Eurogendfor» (art. 3).
Ricapitolando: la Gendarmeria europea assume tutte le funzioni delle normali forze dell’ordine (carabinieri e polizia), indagini e arresti compresi; la Nato, cioè gli Stati Uniti, avranno voce in capitolo nella sua gestione operativa; il nuovo corpo risponde esclusivamente a un comitato interministeriale, composto dai ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi firmatari. In pratica, significa che avremo per le strade poliziotti veri e propri, che non si limitano a missioni militari, sottoposti alla supervisione di un’organizzazione sovranazionale in mano a una potenza extraeuropea cioè gli Usa, e che, come se non bastasse, è svincolata dal controllo del governo e del parlamento nazionali.
Ma non è finita. L’EGF gode di una totale immunità: inviolabili locali, beni e archivi (art. 21 e 22); le comunicazioni non possono essere intercettate (art. 23); i danni a proprietà o persone non possono essere indennizzati (art. 28); i gendarmi non possono essere messi sotto inchiesta dalla giustizia dei paesi ospitanti (art. 29). Come si evince chiaramente, una serie di privilegi inconcepibili in uno Stato di diritto.
Il 14 maggio 2010 la Camera dei Deputati della Repubblica Italiana ratifica l’accordo. Presenti 443, votanti 442, astenuti 1. Hanno votato sì 442: tutti, nessuno escluso. Poco dopo anche il Senato dà il via libera, anche qui all’unanimità. Il 12 giugno il Trattato di Velsen entra in vigore in Italia. La legge di ratifica n° 84 riguarda direttamente l’Arma dei Carabinieri, che verrà assorbita nella Polizia di Stato, e questa degradata a polizia locale di secondo livello.
Come ha fatto notare il giornalista che ha scovato la notizia, il freelance Gianni Lannes (uno con due coglioni così, che per le sue inchieste ora gira con la scorta), non soltanto è una vergogna constatare che i nostri parlamentari sanciscano una palese espropriazione di sovranità senza aver neppure letto i 47 articoli che la attestano, ma anche che sia passata inosservata un’anomalia clamorosa. Il quartiere generale europeo è insediato a Vicenza nella caserma dei carabinieri “Chinotto” fin dal 2006. La ratifica è dell’anno scorso. E a Vicenza da decenni ha sede Camp Ederle, a cui nel 2013 si affiancherà la seconda base statunitense al Dal Molin che è una sede dell’Africom, il comando americano per il quadrante mediterraneo-africano.
La deduzione è quasi ovvia: aver scelto proprio Vicenza sta a significare che la Gestapo europea dipende, e alla luce del sole, dal Pentagono. Ogni 25 Aprile i patetici onanisti della memoria si scannano sul fascismo e sull’antifascismo, mentre oggi serve un’altra Liberazione: da questa Europa e dal suo padrone, gli Stati Uniti.