venerdì 30 dicembre 2016

"ERITREA, UNA STELLA NELLA NOTTE DELL'AFRICA", il docufilm è pronto per la distribuzione.


https://youtu.be/cBSU8HKHYS8 : link per il trailer di "ERITREA, UNA STELLA NELLA NOTTE DELL'AFRICA" (90')
 
E' da questi giorni in distribuzione il docufilm di Fulvio Grimaldi e Sandra Paganini "ERITREA, UNA STELLA NELLA NOTTE DELL'AFRICA".
Per riceverlo si deve richiederne copia dvd all'indirizzo visionando@virgilio.it  In risposta verranno spiegate le condizioni per la distribuzione. Le copie dvd vengono spedite per posta.
 
"ERITREA, UNA STELLA NELLA NOTTE DELL'AFRICA" è il 22° docufilm realizzato dal giornalista Fulvio Grimaldi sulle grandi questioni geopolitiche che segnano il nostro tempo, con particolare riguardo ai conflitti tra potenze che aggrediscono e popoli che si difendono.
La lista completa dei docufilm di Fulvio Grimaldi si trova in www.fulviogrimaldicontroblog.info.
 
Il docufilm copre un vuoto di informazione finora colmato dai grandi media essenzialmente con interventi di pura propaganda tesi a criminalizzare una nazione che si oppone ai diktat delle Grandi Potenze e degli organismi internazionali che ne vogliono imporre l'agenda sul piano economico, finanziario, commerciale e militare.
 
Il docufilm colloca la questione eritrea sullo sfondo della situazione geopolitica mondiale come si concretizza in Europa, America Latina, Asia, Medioriente. Quanto al continente africano che, a parte la sua parte araba che costeggia il Mediterraneo, è largamente trascurata dall'informazione e dalle analisi della stampa occidentale, emerge, da una voluta disattenzione generale, il revanscismo delle ex-potenze coloniali europee, oggi al traino di una vera a propria riconquista dell'Africa da parte degli Stati Uniti, presenti militarmente in quasi tutti gli Stati del Continente. Con altre modalità e altri obiettivi, si muovono sul continente con vigore anche la Cina, l'India e la Russia.

 
In questo contesto assume un ruolo di particolare rilievo, per la sua cruciale posizione strategica tra Mar Rosso e Oceano Indiano, il Corno d'Africa, con al centro l'Etiopia, guardiano degli interessi occidentali nella regione, a sud la Somalia, in pieno caos tra governi fantoccio, interventi Usa e internazionali e istanze di liberazione e, a nord, l'Eritrea, unico paese autenticamente sovrano, indipendente e autodeterminato dell'area. E perciò pesantemente diffamato dal solito coro politico-mediatico che non tollera entità difformi dai propri schemi di dominio e sfruttamento.
 
Il docufilm ripercorre la trentennale, epica lotta di liberazione del popolo eritreo dal dominio etiopico appoggiato in varie fasi prima dagli Stati Uniti, poi dall'URSS. Lotta di cui l'autore è stato testimone e cronista sul campo fin dagli anni '70. Viene poi raccontata la vicenda eritrea dall'indipendenza, sancita con referendum nel 1993, ai nostri giorni, il retaggio dell'Italia, di cui l'Eritrea è diventata  la prima colonia africana a fine '800, l'attuale campagna di demonizzazione del paese e della sua leadership basata su menzogne totalmente smentite dalla realtà, ma che hanno consentito che l'Eritrea venisse colpita da pesanti sanzioni ONU, Usa e UE.
 
Il momento centrale del lungometraggio è dedicato  all'Eritrea che si offre oggi al visitatore e al potenziale amico e partner. Un paese giovane, di giovani, di straordinaria bellezza naturale, un vero paradiso turistico tra spiagge sul Mar Rosso, vertiginose montagne, altopiani e bassopiani che si estendono verso la savana e il semideserto occidentali. non ricco, ma socialmente equo e impegnato in uno sviluppo fondato sui bisogni della popolazione: istruzione, sanità, ecologia, lavoro.

 
In un continente in cui i grandi movimenti di liberazione anticoloniali del secolo scorso hanno tradito le aspettative dei propri popoli e hanno perlopiù prodotto classi dirigenti predatrici all'interno e clientelari nei confronti dell'imperialismo, l'Eritrea costituisce un modello di autonomia, autosufficienza, dignità, giustizia sociale. Un modello di cui poderosi interessi temono il contagio. La campagna di calunnie, le sanzioni, come le ripetute aggressioni etiopiche, sono espressione di tale timore. Se si vogliono fare paragoni, l'Eritrea di Isaias Afewerki ha risollevato la fiaccola strappata dalle mani di grandi liberatori come Lumumba, Cabral, Sankara, Nasser, Gheddafi. Per il continente africano è quello che era Cuba rivoluzionaria per l'America Latina.  E' una luce nella notte non solo dell'Africa.
 
Per questo è giusto, utile e affascinante conoscerla, sostenerla.
 

Gli autori.

sabato 24 dicembre 2016

IL PIU' PULITO HA LA ROGNA - Trump? Basta con le stronzate, andiamo un po' più a fondo



 (E’ lunghetto, ma avete molti giorni per frazionarne la lettura. Da qui all’anno nuovo non (ir)romperò più. Intanto che il 2017 ci sia miglioe del 2016 di merda e peggiore del 2018)

Beppe fuori dal vaso
Beppe Grillo, cui non sono mai mancate l’astuzia, la chiaroveggenza e l’alterità,  assenti nel panorama politico tradizionale, lo facevo meno boccalone rispetto a quella che è, dall’inizio in Tunisia, passando per Berlino e finendo a Sesto S. Giovanni, una delle più patetiche e disoneste montature allestite dal terrorismo di Stato globale. Beppe Grillo, non sapendo tenere a bada le sue impennate emotive, non solo manda a puttane l’equilibrato e intelligente lavoro dei 5 Stelle sui migranti con un post che ne invoca l’espulsione perché il terrorismo infesterebbe l’Europa. Si pone a fianco del superspione Minniti, fiduciario storico della Cia e ora ministro degli Interni, nell’esaltazione di pessimo gusto dei due “eroi” in uniforme che, “casualmente”, sono incappati in un pregiudicato armato e lo hanno fatto secco quando, sparando, rifiutava di farsi arrestare. Fatto che, pure, ricorre ogni qualche ora nelle nostre vaste lande infestate dalle mafie.

venerdì 23 dicembre 2016

BERLINO: la vittima buona dei cattivi - ANKARA: la vittima cattiva dei buoni


Un’occhiata alle più recenti epifanie del progetto terrorista della coalizione Usa “Guerra al terrorismo”. Per la verità sono parecchio stufo, a ogni stormir di False Flag, fatte poi garrire al vento dal pneuma delle larghe intese mediatiche, di indicare le marchiane e rozze imperfezioni dell’operazione. Quelle che se avessimo ancora una categoria giornalistica definibile tale e non una accolita di muselidi ammaestrati, dovrebbero dilagare a caratteri cubitali da schermi ed edicole. Viene da morir dal ridere su come questi, con tutti quei collaudi alle spalle, dalla Maine a Pearl Harbor, dal Golfo del Tonchino all’11 settembre, da Charlie Hebdo al culmine del grottesco bavarese di Monaco, continuino a esibirsi in tessuti complottisti lacerati dall’incompetenza e dalla convinzione che, come i giornalisti sono tutti acquistabili, anche noi cittadini siamo tutti scemi. Viene da morir dal piangere a constatare che, in effetti, siamo tutti scemi. Quasi tutti, quasi scemi. Basterebbe lo stereotipo di ogni attentato: il personaggetto stralunato, borderline, già carcerato, zeppo di casini, abbondantemente fuori di testa, tutto fuorchè credente suicida, mai combinato niente di islamico, che o scappa, o viene ucciso prima che possa obiettare “ma non mi avevate detto….”, o sparisce in qualche carcere e non se ne parla più. Perlopiù ucciso, come il figurante di Berlino.

mercoledì 21 dicembre 2016

MIA INTERVISTA A "LA VOCE DI NEW YORK": Trump, Soros, Hillary, Siria, Fidel.....

MIA INTERVISTA A "LA VOCE DI NEW YORK", GIORNALE DEGLI ITALIANI NEGLI USA
Trump e le crisi del mondo osservate fuori dagli schemi
Trump, la Russia, la Siria, Castro: l'attualità internazionale vista da Fulvio Grimaldi, giornalista scomodo.
Fulvio Grimaldi è un giornalista indipendente, a volte "troppo": Esperto inviato di guerra, ha idee in conflitto con quelle del "mainstream media". In questa conversazione ci parla dell'elezione di Donald Trump e delle cause delle crisi internazionali: "Trump costituisce una rottura rispetto all'establishment costituito"
di Fabrizio Rostelli - 19 dicembre 2016

Fulvio Grimaldi non è uno che te le manda a dire, va giù duro, non lascia spazio ad attenuanti. E come potrebbe comportarsi diversamente un giornalista che in 50 anni di carriera ha raccontato, come inviato di guerra, i principali conflitti armati in giro per il mondo. Solo per citare un episodio, è stato l’unico testimone italiano della strage di Derry nell’Irlanda del Nord del 1972 (Bloody Sunday), esperienza che poi ha documentato dettagliatamente.
In pochi giorni sulla scacchiera mondiale si mettono in fila una dietro l’altra una serie di mosse determinanti per il prosieguo della partita:l’elezione di Trump, la morte di Castro, la riconquista di Aleppo da parte dell’esercito siriano. Lo chiamo telefonicamente da New York mentre sta preparando il suo ultimo documentario su Africa ed Eritrea (da anni lavora all’autoproduzione di video-documentari su crisi globali e guerre) perché sono curioso di avere un suo commento sui recenti avvenimenti.
Fulvio Grimaldi, nonostante fosse osteggiato anche dal suo stesso partito, ha vinto “l’impresentabile Trump”. Per quale motivo secondo te?
“Trump costituisce una rottura rispetto all’establishment costituito, rispetto a tutto l’esistente. Forse anche lui potrebbe essere controllato da chi di solito determina le scelte dei candidati nelle posizioni di vertice degli Stati Uniti, da quella cupola invisibile che tira i fili. Può darsi che anche lui sia uno strumento di questo burattinaio. Ma può anche essere invece una variabile impazzita che stanno faticando a mettere sotto controllo. in ogni caso si tratta di una rottura drastica con quella che è stata finora la politica interna ed estera degli USA. Trump ha fatto appello a ceti sociali trascurati, emarginati, deprivati, ridotti in miseria da chi ha governato in questi anni; per quanto riguarda l’estero, ha fatto aperture nei confronti della Russia e della Siria e di conseguenza verso la possibilità di non arrivare ad uno scontro diretto, che invece è quello che finora è stato perseguito da Obama e da chi lo aveva messo lì. Una posizione inedita e piuttosto sconvolgente per coloro che avevano interesse ad accentuare la “guerra fredda” e a spingerla verso una “guerra calda”. Quindi Trump rappresenta comunque un momento di rottura che sembrerebbe indicare una crisi sistemica dell’intero Occidente, poiché dagli Stati Uniti dipende un po’ tutto l’assetto occidentale. Crisi sistemica fin qui creata e diretta contro le classi popolari e i popoli.
Trump ha veramente tutti contro? Nella sua squadra di governo ci sono ben tre ex dipendenti Goldman Sachs (Stephen Bannon, Steven Mnuchine Gary Cohn).
"Credo che in questa fase le valutazioni siano premature. Certe nomine fanno rabbrividire. Ma colpisce che l’intero establishment, tutti i grandi poteri costituiti – militari, industriali, di sicurezza, dell’energia, dell’informatica, della stampa, lobby ebraica – stavano con Hillary Clinton. Su questo non ci sono dubbi. Anche quando è stato comunicato il risultato della vittoria di Trump, s’è vista una levata di scudi da parte di tutti i mezzi di comunicazione facenti capo ai vari poli di potere statunitensi e occidentali. Reazioni di shock, sorpresa e rigetto, evolutisi addirittura in tentativi paragolpisti di sabotare l’insediamento di Trump. Questo è un dato accertato, quello che invece potrà avvenire dalla effettiva realizzazione, o non realizzazione, dei piani annunciati da Trump, per quanto siano noti, andrà valutato.
In questo momento non si può ancora dire molto, salvo che pare delinearsi un'inedita apertura alla Russia, un più netto sostegno alle posizioni oltranziste di Netaniahu in Israele, attraverso la nomina di un fanatico sostenitore dei coloni, la promessa di spostare la capitale da Tel Aviv a Gerusalemme, posizione che però sembra in conflitto con il proposito di lasciare al potere Assad in Siria e combattere con decisione i jihadisti, sostenuti e armati da Israele e dagli alleati del Golfo. Contrasta però con queste aperture ai sionisti, la virulenta avversione nei confronti di Trump di tutta la lobby mediatica, politica e finanziaria ebraica. Una novità vera si profila invece all’orizzonte per quanto riguarda un cambio di priorità nei rapporti geopolitici: intesa con la Russia e aggressività nei confronti della Cina".
Hai scritto più volte che peggio di Trump c’è solo Hillary Clinton, perché?
"Perché Hillary Clinton ha fatto, Trump non ha ancora fatto. Hillary ha alle spalle una scia di sangue spaventosa, da lei provocata in felice simbiosi con Bush, Obama e con i grandi potentati imperiali. Trump ha parlato e straparlato, ha detto alcune cose che aprono possibilità di miglioramento delle condizioni planetarie generali, come ad esempio una minore insistenza sul confronto e sul conflitto, e ha detto invece delle cose pesantissime nei confronti dei migranti, dell’Islam, dell'Iran e, soprattutto, a danno dell’ambiente e del clima, il cui cambiamento per cause umane non pare riconoscere e che viene minacciato dalle sue scelte pro-fossili e pro-petrolieri. Le famose battute sessiste, misogine, invece, sono folklore, brioche per le turbe, Quelle sui migranti sono già rientrate nel corso del suo tour di ringraziamento tra le minoranze.
Peggio di Trump poteva esserci naturalmente solo una che ha già compiuto il suo percorso ed ha già realizzato i suoi atti. Hillary Clinton è la persona che in tutte le ultime guerre, a partire da quella del marito nei Balcani, ha rappresentato la forza propulsiva. È stata quella che ha spinto sia sul macello dei Balcani, quando era nell’ombra come first lady, sia per quanto riguarda le guerre mediorientali. Clinton inoltre è stata una protagonista di primissimo piano nella distruzione della Libia, quando era Segretario di Stato.
Le possiamo direttamente attribuire la distruzione feroce di un Paese prospero e comunque pacifico e l’uccisione diretta di Mu’ammar Gheddafi, di cui lei ha gioito in pubblico davanti a delle telecamere, cosa che ne caratterizza indelebilmente l’identità caratteriale e psicologica. Poi ha organizzato il colpo di Stato in Honduras , che ha trasformato un paese avviato verso uno sviluppo accettabile, abbandonando una condizione da “repubblica delle banane”, e l’ha consegnata alla spoliazione alle stragi dei suoi clienti locali. Oggi l’Honduras è il paese dove si viene ammazzati di più in America Latina, superando il record del Messico, altro Paese “curato” da Obama e da Clinton. Di Hillary Clinton è noto il ruolo decisivo nel colpo di Stato in Ucraina. La sua assistente al tempo della Segreteria di Stato, Victoria Nuland, è stata l’esponente americana che ha più insistito per il colpo di Stato e per l’inclusione nel governo dell’Ucraina di elementi dichiaratamente nazisti . Quindi di Hillary Clinton si sa tutto, di Trump si deve ancora vedere, anche se, al la luce delle nomine fatte, o ventilate, c’è da preoccuparsi molto. Senza, peraltro, le false lacrime di coccodrillo dei sostenitori di Hillary".
Sei molto cauto nel valutare l’elezione di Trump. La sinistra europea non ha invece avuto nessun dubbio nel contestarlo. Perché?
"Non chiamiamola sinistra. La cosiddetta “sinistra europea” ha perso ogni caratteristica storica della sinistra: è bellicosa, sostiene il neoliberismo, ha giustificato, aderendo alle demonizzazioni di presunte “dittature”, la ricolonizzazione dei Paesi del Sud del mondo. Dovremmo classificare di sinistra Hollande che ha fatto la guerra in Mali, Niger, Costa d’Avorio e Chad e che sta intraprendendo un’avventura neocolonialista dopo l’altra? Oppure considerare Renzi uomo di sinistra mentre saccheggia quanto rimane in tasca e di salute nelle classi disagiate e ha tentato di stravolgere in senso autoritario la Costituzione democratica, discretamente di sinistra, indirizzandola verso una pericolosissima verticalizzazione del potere? O ancora classificare di sinistra un criminale di guerra e nemico della classe operaia come Blair?
All’interno di questo quadro possiamo comprendere benissimo perché venga osteggiato un uomo (Trump ndr) che alle problematiche riguardanti i diritti civili, i matrimoni gay, il sessismo ecc., trattate con insensato disprezzo, antepone questioni che forse rivestono per l’umanità un’importanza più drammatica, come la guerra o la pace, la vita o la morte, la conflittualità o la coesistenza. Capisco bene perché venga criticato un soggetto che mette in discussione i pilastri della politica della cosiddetta “sinistra europea”: il confronto con la Russia, i regime-change, il neocolonialismo in Africa e Medio Oriente. Sempre che queste sue iniziali indicazioni resistano ai fatti che vorrà compiere da presidente e non risultino specchietti per le allodole".
Hai analizzato criticamente le proteste anti-Trump che si sono tenute in 25 città negli USA. Per quale motivo? Ci sono prove che Soros sia davvero coinvolto?
"Sono convinto che in queste proteste, come nella furibonda campagna anti-Trump che continua tuttora, abbiano partecipato persone in assoluta buona fede, gente che è rimasta scioccata di fronte a certe dichiarazioni di Trump, come quella dell’espulsione di 3 milioni di migranti messicani., sulla quale peraltro si è già ricreduto. Ricordiamoci sempre che Obama ne ha espulsi un milione e mezzo, cioè più di qualsiasi altro presidente degli Stati Uniti. C’erano sicuramente persone veramente indignate in piazza per protestare contro il sessismo, le volgarità, il muro. Muro che peraltro è già stato costruito da Bill Clinton e che poi è stato rafforzato e completato da Obama. Esiste già un muro di 3mila chilometri tra USA e Messico. Il discorso del muro era puramente demagogico.
Esistono però anche le prove che queste manifestazioni siano state in parte sollecitate, innescate, promosse da elementi esterni. Ci sono le prove di società che hanno promesso a chi scendeva in piazza di essere assunto, di ottenere benefit, privilegi (uno degli annunci sospetti – poi rimosso dal web – è stato pubblicato dalla Washington CAN! acronimo di Washington Community Action Network ndr). Quindi una manipolazione di queste manifestazioni contro Trump sicuramente c’è stata, anche perché il grande manipolatore delle manifestazioni in giro per il mondo, che di solito puntano ad un regime-change, e in questo caso alla delegittimazione di Trump, è un bandito della speculazione e delle destabilizzazioni come George Soros. La sua Open Society è un organismo che ha alimentato, finanziato e sostenuto le grandi manifestazioni che vengono definite “rivoluzioni colorate” . In questo caso anche lui si è espresso a favore dei manifestanti. Un uomo, tra l’altro sostenitore appassionato di Israele, che finanzia tutte queste operazioni è molto probabile che stia anche dietro a queste".
Sul tuo sito hai citato ONG come Move on e Avaaz.
"Sì perché hanno appoggiato tutte le manovre e campagne di cui sopra, sempre al servizio degli interessi imperialisti. Avaaz la conosco meglio di Move on che in Europa non è molto attiva. Avaaz è una ONG che raccoglie firme per obiettivi che sono condivisibili da tutti, tipo la protezione dell’orso bianco, la difesa della foresta amazzonica, la promozione di energie rinnovabili. Tutte cose molto simpatiche, perfettamente compatibili peraltro con lo sviluppo e con gli interessi di alcuni settori del grande capitale che sanno benissimo come fingersi ecologisti per poi sabotare ogni freno alla devastazione del pianeta. Dall’altra parte raccoglie anche firme per incriminare il dittatore Assad, per sostenere la no-fly zone in Siria e tutte le grandi operazioni militari della Nato e degli Stati Uniti. E’ qui dove casca l’asino, dove si rivelano la vera natura e i veri scopi.
Sono ONG, come la Open Society di Soros o la National Endowment for Democracy, Amnesty International, Human Rights Watch, che spuntano dietro a ogni regime-change attuato nei confronti di governi non obbedienti. La loro ostilità nei confronti di Trump è confermata dalla matrice unica di queste creature, la CIA, che ultimamente si è scagliata con virulenza contro il neo-presidente, rafforzando la grottesca bufala di un Trump eletto grazie agli intrighi e agli hackeraggi di Putin. Pare proprio che stiamo assistendo a uno scontro durissimo tra settori rivali del grande capitale, banche, apparato produttivo, complesso militar-industriale, scontro non ancora del tutto chiaro nelle sue componenti e nei suoi obiettivi. Alla fine la Cupola, da cui tutti i protagonisti politici dipendono, ricomporrà un qualche ordine decidendo chi debba prevalere nel migliore interesse che la congiuntura detta ai divoratori del mondo".
Da anni ti batti per una corretta informazione sul Medio Oriente, penso al tuo documentario “Armageddon sulla via di Damasco”, a quelli sulla Libia, l’Iran. L’Iraq.È d’obbligo quindi una domanda sulla Siria. Qual è la situazione attuale?
"In 6 anni le più grandi potenze, Francia, Germania, Regno Unito, tutte quelle della Nato, compresa l’Italia che è presente con le sue forze speciali, con i suoi addestratori e le sue armi, e gli Stati Uniti, non sono riuscite ad avere ragione di un paese piccolo, debole e minato dalle sanzioni come la Siria. Al suo soccorso, insieme agli hezbollah libanesi e agli iraniani, è intervenuta, dopo 3 anni di resistenze eroica di tutto un popolo, la Russia di Putin. Sulla Siria si sono avventate sotto guida Nato, altre forti potenze militarti e finanziarie, l’Arabia Saudita, gli Emirati, il Qatar e la più potente nazione Nato, dopo USA e Israele, che è la Turchia. Il fatto che in 6 anni non siano riusciti a far fuori questo Paese è il segno che la popolazione, come è stato dimostrato da elezioni legittimate dagli osservatori internazionali dell’ONU, sostiene il suo presidente e la sua classe dirigente. In caso contrario la Siria sarebbe da tempo crollata, anche con tutto ciò che i suoi amici potevano fare.
L’intervento della Russia ha comunque impedito che si operasse sulla Siria come si è operato sulla Libia, cioè sterminando il Paese a forza di bombardamenti, di missili e di bombe. Le ultime notizie ci dicono che l’esercito lealista, le forze armate di Damasco, stiano vincendo su molti fronti e abbiano riconquistato l’intera Aleppo, a dispetto dei costanti sabotaggi dell’evacuazione dei civili e degli attentati dei terroristi non rassegnati alla sconfitta e ininterrottamente stimolati dall’Occidente e dalla Turchia.
La stessa cosa si può dire dell’Iraq, dove le forze governative di Baghdad hanno ripreso la maggior parte del territorio occupato dall’Isis e stanno per riprendere Mosul, la seconda città dell’Iraq. Vuol dire che in questo caso il grande disegno di riordino del Medio Oriente, il cosiddetto Nuovo Medio Oriente, che consisteva nella frantumazione dei grandi Stati nazionali arabi – Libia, Iraq, Siria, Sudan e poi Egitto e Algeria – è temporaneamente in crisi. Non è riuscito a concludersi. La reazione rabbiosa dei jihadisti contro Palmira ha raccolto un successo temporaneo, ma dimostra ancora una volta come tutto l’apparato jihadista sia un mercenariato degli Usa e della Nato. È infatti grazie all’appoggio Usa e dei loro subordinati curdi che da Mosul si sono potuti trasferire verso Palmira migliaia di combattenti ISIS. Ci saranno indubbiamente altri colpi di coda, soprattutto contro la Russia".
Ti renderai conto che la situazione è talmente complessa che è facile perdersi tra le centinaia di informazioni false, parziali, infondate, vere, dalle quali siamo bombardati. A meno che non ci si fidi di un determinato organo di informazione come si fa a capire davvero che accade in Siria?
"Non credo sia così difficile. Intanto molto si capisce dall’esame degli interessi in campo: quali di conquista e distruzione, quali di difesa e giustizia. E’ difficile districarsi se uno si basa esclusivamente sulle fonti di informazione ufficiali, sui massmedia, che costituiscono un esercito compatto, reclutato, addestrato e formato dai poteri esistenti in Occidente. Non c’è praticamente nessuna eccezione all’uniformità; dal Washington Post al New York Times, al Time, al Corriere della Sera, a Repubblica, alla Frankfurter Allgemeine Zeitung In tutti i grandi giornali dell’Occidente, ma anche in quelli minori che si pretendono di opposizione, troviamo uniformità di interpretazione dell’esistente e in particolare delle situazioni di attrito tra Occidente e altre parti del mondo. Il fatto che l’interpretazione sia talmente univoca, mentre ancora ai tempi del Vietnam c’era un’ampia diversificazione, è il segno che non c’è onestà; non ci può essere onestà dove non c’è pluralismo.
Negli ultimi decenni si è arrivati a una concentrazione senza precedenti della proprietà dei media. Una volta, fino a circa 20 anni fa, negli Stati Uniti i grandi aggregati di informazione erano 56, adesso sono solo 5. C’è una presa di controllo sui mezzi di informazione che è il prerequisito affinché la gente si convinca e così stia buona e ascolti soltanto la voce del padrone. Oltretutto non esistono più editori puri dei media: il tessuto oligarchico che li governa ha altri interessi prioritari, militari, chimici, agroindustriali, informatici, che giornali e tv sono chiamati a sostenere.Succede anche, però, che questa rozza uniformità dell’informazione abbia provocato una crisi diffusa di credibilità. Lo si è visto nel fallimento di Hillary nonostante l’appoggio totalitario dei media e, parallelamente nel nostro piccolo, nel fatto che il No al referendum di stravolgimento costituzionale, voluto dalla destra (che si definisce “sinistra”) in Italia abbia prevalso nonostante tutta l’informazione importante fosse dalla parte del Si. Per rimediare a questa crisi di credibilità, il mondo dei mass media ha lanciato ora questa sua forsennata campagna contro le presunte “fake news”, che sarebbero tutte le notizie che non rientrano nel quadro prestabilito dal potere, in massima parte diffusa dai social media alternativi e dalle emittenti di paesi non succubi all'imperialismo. E’ la seria anticipazione di una repressione che verrà.
In fondo la realtà sarebbe molto semplice da interpretare: c’è una parte del mondo dominata da una piccola élite di persone ricchissime che stanno procedendo da anni, attraverso il neoliberismo, l’austerity, attraverso i propri organi come l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale, a un trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto, dal basso delle proprie classi lavoratrici all’alto delle proprie élite, dal basso dei popoli del Sud del mondo alle classi dirigenti dell’Occidente. Tutto questo richiede che la stampa informi in maniera univoca, in modo che la gente non si renda conto di quello che sta succedendo. La guerra è sempre quella: tra ricchi e poveri, tra potenti e deboli e si può benissimo trovarne le ragioni, le analisi e le spiegazioni in internet”. E anche utilizzando un po’ di logica, quellad dell’antico cui prodest".
Usciamo un attimo fuori tema. Non posso non farti una domanda su Fidel Castro. Hai scritto “Cade un gigante”. L’eredità di Castro rimane, ma per chi sostiene ancora le idee socialiste, la sensazione è quella di aver perso anche l’ultimo punto di riferimento.
Non credo. Prima di tutto l’idea socialista non ha bisogno di punti di riferimento fisici, personali. Aiutano, ma non sono indispensabili. L’idea di Socrate sopravvive anche senza Socrate. Ho titolato il mio pezzo “Cade un gigante”, però bisogna dire che questo gigante negli ultimi 20 anni aveva perso molto della sua statura. Forse non tanto per colpa sua, semmai gli si possono rimproverare passività e silenzi, ma per volontà diretta dei suoi successori. Hanno in grande misura annullato le sue conquiste e invertito la direzione di marcia che Fidel aveva tracciato per Cuba fin dalla rivoluzione. È questa la tragedia. Cuba, con Raul Castro, ha cessato di essere un faro per l'America Latina e per gli oppressi del mondo. E' diventata un esempio negativo di subalternità all'imperialismo neoliberista.
Non credo manchino punti di riferimento, ci sono ancora Paesi dell’America Latina che presumono, pretendono e affermano, in parte con buone ragioni , di perseguire il socialismo. Ci sono il Venezuela, la Bolivia, l’Equador. Non per nulla è in corso una feroce controffensiva reazionaria delle destre sostenute dagli Stati Uniti, come in Argentina e Brasile, ma i punti di riferimento, anche se non sono necessari dal punto di vista del loro incarnarsi in persone fisiche, esistono. Stanno nei cuori e nelle menti dei popoli che resistono, penso proprio alla Siria, ai paesi latinoamericani, ma anche alla Russia, all’Eritrea in un’Africa esposta nuovamente all’assalto dei predatori coloniali. Stanno nell’esempio di chi non si è fatto corrompere, di chi non si è arreso. Penso ai tanti protagonisti del riscatto umano, a Lumumba, Cabral, Sankara, agli eroi del riscatto latinoamericano, ai nostri partigiani, al Che. E naturalmente a Lenin.


lunedì 19 dicembre 2016

UN MINUTO A MEZZANOTTE: COLPO DI STATO IN USA, GUERRA ALLA RUSSIA, ARMAGEDDON? Aleppo, Trump, Putin: rettilari e verminai. Parte 2.



(Segue da Cap.1. Dove si era parlato di rettilari atlantici e verminai italioti scatenati su di noi per accecarci, assordarci e ammutolirci,  davanti all’inaudito spettacolo della sconfitta con sputtanamento a 360 gradi subita in Siria, e non solo, da coloro che dei rettilari e verminai sono i domatori e gestori)

ULTIM’ORA  Andrey Karlov, ambasciatore russo in Turchia è stato ucciso ad Ankara da un singolo attentatore mentre stava inaugurando una mostra fotografica.
La gravissima provocazione è stata accompagnata dalle urla "Ricordati di Aleppo" e "Allah U Akbar", tanto per indicare una paternità. Il killer, che ha agito indisturbato per diversi minuti, è stato ucciso dalla polizia. Ti pareva. E' il sistema: non devono poter parlare, proprio perchè avrebbero moltissimo da dire. I mandanti sono i soliti, lo sanno anche i russi. Sapranno reagire?

Sulle prime si può dire:
Che la sicurezza a protezione dell'ambasciatore era nulla. Nonostante che in Occidente sia in atto uno tsunami antirusso. La mancanza di protezione al più minacciato ambasciatore del paese rivela i mandanti. E questo va imputato al regime turco e all’organizzazione Nato di cui fa parte. Ma i russi non potevano premunirsi?
Che la sequenza di provocazioni terroristiche contro la Russia si arricchisce del più grave episodio possibile sul piano diplomatico e politico, seguendo l'abbattimento del Sukhoi 24 russo nel novembre 2015.
Che l'attentato viene 24 ore dopo la liberazione totale di Aleppo e la cattura da parte dei siro-russi del manipolo di ufficiali Nato, anche americani, israeliani di altri paesi occidentali, rintanati ad Aleppo Est da dove dirigevano il mercenariato  terrorista. Cattura che ribadisce, oltre ogni dubbio, l’identità di chi manovra il terrorismo internazionale, in Medioriente e nel mondo (vedi in fondo al pezzo).
Che Mosca farebbe bene a smettere di fidarsi di Erdogan, Kerry, Onu,e concludere con costoro accordi di tregua o altro, sistematicamente traditi e volti a favore dei mercenari di Nato, Golfo e Turchia.
Che tutto il terrorismo, islamista e non, è creatura USraeliana con il concorso di alleati e vassalli e, dunque, uno che si presenta come vendicatore di Aleppo liberata è uno strumento al servizio dei mandanti del terrorismo.
Che l'assassinio arriva nel momento del diapason di una forsennata campagna anti-russa e anti-Putin che, su input principale di una Cia in piena fase eversiva, sostenuta da un Obama in vena di colpi di coda demenziali, ha fatto mobilitare i servizi segreti e i media di tutto l'Occidente con al centro l'accusa,  tanto idiota quanto assurda, che Putin avrebbe manovrato, hackerato, cospirato, per demolire Hillary e far vincere Trump, per il quale dunque si dovrebbe prospettare un'operazione di rimozione, perchè traditore della patria, prima che venga insediato. Regime change, questa volta a casa. 
L’eventualità dell’impedimento a Trump, in una forma o nell’altra, a insediarsi presidente, attraverso il voto negativo del Comitato degli Elettori o altri strumenti, rischia di provocare qualcosa di simile a una guerra civile in Usa. Occasione per le definitiva fascistizzazione del paese. I campi di internamento sono già stati allestiti dalla FEMA (Protezione Civile) in tutti i 52 Stati dell'Unione, su ordine espresso di Obama.

domenica 18 dicembre 2016

ALEPPO, TRUMP, PUTIN: SI APRONO RETTILARI E VERMINAI. PARTE 1.



“La Cia possiede ogni giornalista di una certa importanza nei media importanti”. (William Colby, ex-direttore della CIA)

“Fino a quando i leoni non avranno i propri storici, il racconto della caccia esalterà sempre il cacciatore”. (Proverbio africano)

“Verrà il tempo in cui un politico che abbia scatenato una guerra e promosso conflitti internazionali sarà altrettanto sicuro di finire sul banco degli imputati e magari anche nel cappio, quanto un assassino privato. Non è ragionevole che coloro i quali giocano d’azzardo con la vita delle persone, non debbano mettere a repentaglio la propria”. (H.G.Wells)

In calce una lettera di Vincenzo Brandi a Formigli di “Piazza Pulita” (La7), relativa a un suo autentico servizio alla menzogna e alla disinformazione sulla Siria nella puntata del 15 dicembre 2016, non adeguatamente contrastata da Alessandro Di Battista che, invece,  avrebbe potuto valersi dalle conoscenza e competenza del collega di partito Manlio Di Stefano.

Ultim’ora: ufficiali Nato nascosti ad Aleppo Est
Ci sono due ultim’ora che antepongo al pezzo qui sotto. Per l’ennesima volta, contravvenendo alla tregua di nuovo negoziata e sancita dall’inviato ONU, la feccia terrorista, ora assurta a martiri della rivoluzione democratica nel becero servilismo Usa-Nato-Vaticano di certe Ong italiote, ha rotto la sospensione tornando a sparare sui civili in fuga dal ridotto ancora sotto controllo Al Nusra (mascherato da Jabhat Fateh al Sham). Oltre 18mila sono intanto riusciti a raggiungere le zone liberate dove sono in corso enormi manifestazioni di giubilo popolare.


Il Consiglio di Sicurezza si è riunito a porte chiuse per occuparsi di una vera e propria deflagrazione in faccia a coloro, turchi, giordani, Nato, Usa, che si vantano di combattere le formazioni jihadiste. Le forze speciali dell’Esercito Arabo Siriano penetrate nelle zone sgomberate dai terroristi hanno catturato in un bunker diversi ufficiali europei della Nato.

Le urla scomposte che in queste ore vengono lanciate contro la Siria, Assad, la Russia e Putin, per l’immane colpa di aver difeso la civiltà e l’umanità dai rigurgiti dell’inferno,  dal menzognificio mediatico occidentale, dal gregariato politico e Ong, dagli strilloni da bassifondi dell’etica giornalistica e sociale come il talk-show de La7, l’osceno appello a Gentiloni di cui più avanti, le corrispondenze dal fronte e da New York, vorrebbero oscurare l’enormità di una sconfitta dei loro padrini. La virulenza senza precedenti di questo coro comandato a bacchetta dal direttore d’orchestra indica che costui ha in mente qualcosa di brutto, di molto brutto. Forse un segno è stato fatto dare all’eurosicaria Mogherini, quando, poche giorni fa, ha detto che, in vista di possibili giravolte di Trump, l’Europa deve adoperarsi per frantumare la Siria in tanti governatorati autonomi, lasciando al governo centrale il controllo su Damasco e poco più. Visto che con lo sbrindellato mercenariato jihadista tale obiettivo non si raggiunge, sarebbe implicito un intervento diretto. Con conseguente scontro con la Russia.

Ululati della belva ferita
Ci stupiamo tutti di fronte alla parossistica virulenza con cui quella che si definisce la “comunità internazionale”, sostanzialmente Nato, Ue, Usa e suoi clienti e vassalli, cioè coloro che si dispongono agli ordini della Cupola, ha reagito alla vittoria della Siria e dei suoi alleati ad Aleppo e all’elezione di Trump. Ma non ci sarebbe da stupirsi, dato che si tratta di reazione proporzionata all’enormità degli eventi sul piano degli equilibri di forza planetari.  Certo, la misura totalizzante del sincronismo, della sintonia e della compattezza con cui si stanno muovendo gli sguatteri mediatici di questa “comunità internazionale” (che, tra l’altro, non costituirebbe che la rappresentanza politica di un settimo dell’umanità) fa impressione soprattutto a chi ancora nutriva l’illusione che dalle nostre parti del mondo sopravvivessero brandelli di democrazia, di onestà e di libertà d’espressione non conforme.

Se si può dire che questi due avvenimenti non previsti, non pianificati e non graditi, nella madrepatria imperiale hanno spalancato la gabbia del rettilario mediatico (e si pensa a serpenti a sonagli  o boa  conscrictor come Washington Post, New York Times, BBC e affini), da noi, fatte le debite proporzioni, ci si dovrebbe ridurre a parlare di verminaio. E qui svettano lombrichi e tenie della forza dei capi del sindacato  dei giornalisti (parola grossa), compreso quello della più rinomata e autorevole emittente pubblica dell’intero globo terracqueo (UsigRai), con appresso gli anellidi di Articolo 21, quel coso fondato da Giuseppe Giulietti a difesa, ovviamente, di un’informazione plurale, onesta, competente e -. bum! – libera. E pensare che questi sedicenti sindacati, in quanto garanti della libera manifestazione del pensiero e della libertà di stampa, dovrebbero rappresentare qualsiasi legittima opinione che albergasse tra i propri iscritti. E non solo quella di chi sente suoi affini, forse maestri, gentiluomini che bruciano o annegano prigionieri,  ti educano il pupo facendogli tagliare gole, emancipano le donne mediante schiavitù sessuale… Una scandalosa violazione deontologica e statutaria che dovrebbe essere sanzionata dall’Ordine dei Giornalisti, sempre che un ente degno del nome esistesse.


Un sindacato à la carte nel bordello delle presstitute
In questo oceanico sottomondo di cialtroneria campano e prosperano, nel segno della meritocrazia come definita nei regimi della globalizzazione capitalista e, specificamente, nella sua espressione più evoluta napolitan-renziana, pisciarelli dell’informazione che, però, assurgono a cascate del Niagara quando si tratta di lubrificare con la saliva i percorsi degli elargitori di meriti. La crème de la crème di questi (FNSI, Usigrai, Art.21), che ci assicurano un’informazione rispettosa di tutte le fonti e tra esse equilibrata, come ci perviene da schermi ed edicole, si è sublimata in un appello al premier Gentiloni Silveri, conte di Filottrano, Cingoli e Macerata, come se una tale entità esistesse, perché intervenisse a salvare Aleppo dagli abominii inferti da Putin e Assad. Da questo Felice Sciosciammocca (vedi Eduardo Scarpetta), caratterista succeduto al bullo cazzaro che, però, attento ai malumori dei nostri esportatori, azzardava dei flirt con Mosca, chissà cosa si aspettano. Che mobiliti i residui Romanov all’assalto del Cremlino?

I cari colleghi di Aleppo!
Si parla di “mattanza dei civili” da parte dell’esercito regolare e, con l’inconfutabile certezza di chi ha visto con i propri occhi,  che “sono stati certamente trucidati numerosi civili  di sesso maschile, tra cui anche bambini, le donne vengono stuprate di fronte ai famigliari, alcune di loro, per sottrarsi a simili barbarie, stanno chiedendo ai propri congiunti (sentito con le proprie orecchie, ovviamente) di ucciderle”. Naturalmente nessuno di costoro ha visto o sentito una beata mazza. Anzi, l’altro nobile, il loro Conte Zio, Steffan De Mistura, inviato ONU, si è permesso di violare le coinsegne alle quali è legato, dichiarando netto netto che per tutte queste accuse non esiste al momento possibilità di verifica alcuna. Punto. Ma c’è poco da ciurlare nel manico, l’hanno visto e udito “i nostri colleghi che stanno raccogliendo queste testimonianze e che sanno di avere le ore contate”. Dove, incongruamente e disattentamente, agli appellanti sfugge  una scintilla di verità. E’  quando dicono “i nostri colleghi”.  Lo sono vostri, ragazzi, lo sono!

E sono  tutti altrettanti candidati al Pulitzer: “Aleppo Media Center”, intercambiabili con quelli della “Civil Defence”  e brulicanti tra le macerie, mentre dissotterrano bambini, incappellati da “elmetti bianchi”.  Abbiamo capito, sono quei “colleghi”  che, al pari dei loro angosciati vindici appesi all’intervento salvifico di un Gentiloni, nientemeno, bazzicano unicamente le zone occupate dai “ribelli” (“opposizione” per “il manifesto”). E con questi, come risulta da numerosi video e foto sfuggiti all’attenzione dei nostri appellanti, si mescolano quando si tratta di squartare qualche dissidente filo-Assad, o di celebrare l’avvenuta esecuzione tramite mitraglia della famigliola che, sottraendosi alla funzione assegnata di scudo umano, tenta di fuggire verso i quartieri liberati. Colleghi davvero, magari di mercenariato più che di giornalismo.

Il fatto è che la posta è troppo grossa per tenere i piedi la finzione di essere liberi informatori nelle libere democrazie occidentali. E troppo grosso è il committente di questi portatori d’acqua con le orecchie. Annidato tra Wall Street e Pentagono, si è trovato completamente spiazzato da due fatti inusitati di cui ha attribuito la paternità a un unico responsabile. La sconfitta delle proprie armate di lanzichenecchi in Siria, che tanto gli erano costate in armi, soldo, trasferimento dai quattro angoli del mondo e copertura propagandistica;  e la sconfitta nella corsa presidenziale di quella che doveva vincere perché fornitrice del migliore curriculum e delle più ampie garanzie. Con parallela vittoria della riserva in panchina di cui non si conosce bene l’affidabilità e che comunque, tra gli occupanti dei piani sotto l’attico della Cupola, sta suscitando turbolenze inopportune per la gestione dei processi in corso.
Nell’attenuarsi della potenza persuasiva della figura del “rivoluzionario democratico”, causato da una successione di sconfitte militari e sputtanamenti legati alle qualità morali, alla simbiosi con i comandi Nato e Golfo; nel logorìo della “guerra al terrorismo” per sovraesposizione, sovraestensione e sovraoperazioni terroristiche False Flag; un nuovo uomo nero urgeva. E non poteva che essere Putin, il grande e nefasto intralcio alla fin lì indisturbata marcia, su macerie di nazioni e cimiteri di popoli e classi in eccesso, della globalizzazione di un dominio unipolare e, soprattutto, unicupolare. (Segue)
*********************************************************************************

 Gentile Dott. Formigli,
La batosta ricevuta dai gruppi terroristi ad Aleppo ha scatenato un'isteria anti-Assad ed anti-russa che ha sorpreso persino me (che pensavo di non potermi meravigliare più di nulla) per la sua virulenza estrema.
Si è distinta, tra gli altri, la giornalista Rula Jebreal che durante la trasmissione da Lei condotta ha sparato con la massima faccia tosta balle e sciocchezze madornali che non possono essere ignorate.
Aleppo era fino al 2012 la città più prospera e tranquilla della Siria, ricca di industrie ed attività commerciali. Non vi era stata alcuna manifestazione antigovernativa. Nell'estate di quell'anno fecero improvvisamente irruzione in città bande jihadiste armate fino ai denti provenienti dalla Turchia. Gran parte di questi militanti non erano nemmeno siriani, ma Ceceni, Uiguri del Sinkiang cinese, turchi, turcomanni, libici, tunisini, ecc.
Alcuni quartieri furono occupati; gli abitanti che non erano fuggiti furono presi in ostaggio; fu tagliata l'erogazione dell'acqua verso i quartieri non occupati (dove vivevano i tre quarti della popolazione); tagliata l'energia elettrica; impedito per molto tempo l'arrivo di aiuti e rifornimenti finché l'esercito non riuscì a ripristinare una via d'accesso alla città.
Ogni giorno la parte della città rimasta sotto la protezione del governo e dell'esercito era bombardata a casaccio con i mortai e quei cannoni improvvisati che lanciano bombole di gas rinforzate con chiodi e rottami di ferro chiamati "cannoni dell'inferno".
L'accerchiamento e poi lo sgombero dei terroristi (guidati da Fatah Al Sham, ex Al Nusra, cioè Al Queda) dai quartieri, da loro occupati per 4 anni, da parte dell'esercito, con l'aiuto dei Russi e dei combattenti di Hezbollah, è stata accolta con giubilo dalla grande maggioranza della popolazione che non ne poteva più e chiedeva all'esercito di intervenire con decisione.
Se ne parla nelle numerose testimonianze da parte di numerosi cittadini di Aleppo, come il vescovo cristiano maronita di Aleppo Tabji, spesso in missione qui a Roma per chiedere aiuto, o il Dott. Nabil Antaki, le cui testimonianze penso Le siano già pervenute da altre fonti. Si possono comunque consultare i siti di informazione quali www.oraprosiria, www.sibialiria, www.antidiplomatico, CIVGinforma, ecc.
Inoltre penso sia doveroso per ogni giornalista serio consultare non solo Al Jazeera, la Reuters, o l'Associated Press, ma anche l'agenzia siriana SANA, Russia Today, l'iraniana Fars o la cinese Xinua, che possono trovarsi sul sito "siria latest breaking news search 24/7" che riporta tutti i giornali e le agenzie del mondo.
Naturalmente ciò che vale per Aleppo, vale per tutta la Siria. L'unica speranza per quel martoriato paese è che tutti quegli stati che stanno conducendo una guerra per procura contro la Siria (Arabia Saudita, Qatar, Turchia, USA, UK, Francia, e ahimè anche l'Italia) smettano di interferire, ritirino le sanzioni che affamano la popolazione costringendola ad emigrare, riallaccino le relazioni diplomatiche, smettano di rifornire continuamente i cosiddetti "ribelli" con finanziamenti, armi e nuovi mercenari freschi provenienti da 90 paesi.
E si smetta anche con la favoletta delle "prime manifestazioni pacifiche" del 2011 represse, per cui sarebbe nata la rivolta armata. Le armi, i mercenari, le quinte colonne per provocare un cambio di governo violento erano già pronte da anni, come ammesso pubblicamente, ad esempio, dallo stesso comandante della NATO, gen Clarck, già nel 2006!
L'avvenire della Siria e chi la deve governare deve dipendere solo dai Siriani.
Cordialmente, Vincenzo Brandi, militante pacifista ed antimperialista con la Rete No War e la Lista No Nato.


martedì 13 dicembre 2016

LA RIVOLUZIONE ERITREA SULLA STRADA DI LUMUMBA, CABRAL, SANKARA, CHE GUEVARA, GRAMSCI... Intervista con ELIAS AMARE' per il docufilm"ERITREA, UNA STELLA NELLA NOTTE DELL'AFRICA"



"In Africa, tutto ciò che è progressivo, tutto ciò che tende al progresso si dice comunista, distruttivo. Piegarsi sempre e accettare qualsiasi cosa offerta dai colonialisti. Siamo solo uomini onesti e il nostro unico obiettivo è: liberare il nostro paese, costruire una nazione libera e indipendente". (Patrice Lumumba).

“La nostra rivoluzione è e deve essere l’azione collettiva di rivoluzionari per trasformare la realtà e migliorare concretamente la situazione delle masse del nostro Paese. La nostra rivoluzione avrà avuto successo solo se, guardando indietro, attorno e davanti a noi, potremmo dire che la gente è, grazie alla rivoluzione, un po’ più felice perché ha acqua potabile, un’alimentazione sufficiente, accesso ad un sistema sanitario ed educativo, perché vive in alloggi decenti, perché è vestita meglio, perché ha diritto al tempo libero, perché può godere di più libertà, più democrazia, più dignità”. (Thomas Sankara)

Ho avuto la fortuna di conoscere Elias Amarè prima in Italia, in occasione del congresso del movimento giovanile del Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia, l’organismo nato dal EPLF (Fronte Popolare Eritreo di Liberazione), protagonista della guerra anticoloniale e oggi al governo in Eritrea, e poi nel suo paese, nel quale ci ha accompagnato da un capo all’altro, arricchendo la nostra esperienza di studio e visiva con gli approfondimenti di uno straordinario conoscitore del presente, del passato e della rivoluzione in corso. Nel girare il nostro docufilm sull’Eritrea non avremmo potuto fare a meno delle informazioni, precisazioni, curiosità, dei suggerimenti, incontri, contatti che questo grande intellettuale rivoluzionario africano, conoscitore anche del mondo e delle cruciali questioni geopolitiche e geoeconomiche (ha vissuto a lungo negli Usa), ci ha elargito via via che toccavamo i vari aspetti sociali, culturali, ambientali, storici di questo bellissimo paese, vera avanguardia politica del continente. Il nostro docufilm, “ERITREA, UNA STELLA NELLA NOTTE DELL’AFRICA” non avrebbe potuto riuscire senza il fondamentale contributo di Elias. Elias è scrittore, giornalista e dirigente del Centro per la Pace nel Corno d’Africa.

 Come l’Italia si vedeva nel Corno d’Africa

Come è noto, l’area ha vissuto, dopo la colonizzazione italiana, una serie ininterrotta di scontri tra lo Stato più forte, l’Etiopia, oggi fiduciario dell’Occidente neocolonialista, e i paesi che si affacciano sulla costa strategica del Mar Rosso. La Somalia, dopo il fallimentare intervento Usa e Nato negli anni’90, è attualmente occupata da una brutale forza dell’Unione Africana sostenuta dagli Usa. Abbandonata al caos, sotto un regime fantoccio, vive una lotta di liberazione irrisolta. L’Eritrea, che domina lo stretto di Bab el Mandeb, il Golfo di Aden e l’imbocco del Mar Rosso, è l’unico Stato africano a rifiutare presenze militari Usa e di chiunque altro e a muoversi su una linea di indipendenza e giustizia sociale. Questo, e la sua collocazione su uno dei nodi geostrategici più cruciali del mondo, ambito dalle grandi potenze, le costano feroci sanzioni e costanti pressioni, aggressioni, campagne di demonizzazione.

La nostra conversazione con Elias ha avuto luogo all’ombra di un baobab, l’albero simbolo di questa parte del mondo, “albero-centro convegni”, dove anziani, giovani e, oggi, anche le donne del villaggio si uniscono per discutere e deliberare, secondo una formula di democrazia sostanziale.


F.G: Cosa fa il Centro per la Pace nel Corno d’Africa?

E.A. Conduce ricerche sull’origine dei conflitti nel Corno che, come sappiamo, è una delle regioni più turbolente dell’Africa. Organizza conferenze, seminari, gruppi di lavoro per individuare percorsi e mezzi che promuovano la pace e risolvano i conflitti.

F.G. Non pare, però, che nel Corno d’Africa esistano al momento prospettive di pace. Perché questa regione è precipitata in una successione di tensioni e conflitti?

E.A. IL Corno d’Africa è da sempre un crocevia tra Africa e Medioriente , ma anche tra Sud e Nord del mondo. Le potenze coloniali europee e poi le superpotenze hanno sempre cercato di dominare la regione. Promuovono Stati neocoloniali che stiano al loro servizio, suscitano conflitti etnici, marginalizzano popolazioni, saccheggiano territori.  Nei 50-60 anni del periodo postcoloniale questa parte dell’Africa è stata ininterrotta scena di conflitti, di cicli di guerre, con il risultato di uno spaventoso impoverimento delle popolazioni. Si tratta di una delle aree di maggiore importanza strategica  del mondo: Mar Rosso, Bab el Mandeb, l’Oceano Indiano, il Golfo Arabo-Persico. L’interesse della grandi potenze, specie di quelle imperialiste, si concentra su questa zona alla luce di una strategia di dominio globale che presume il controllo su tutte le cruciali vie di comunicazione. Senza contare che l’’Africa è tutta sotto attacco. Ai grandi predatori non sfugge che possiede circa il 50% delle risorse naturali del mondo e gran parte della sua biodiversità.

F.G. Come possono i popoli della regione reagire a un tale destino, a una così forte concentrazione di interessi con le relative potenzialità militari ed economiche?

E.A. I popoli della regione hanno lottato contro questo dominio con movimenti di liberazione nazionale. Quello eritreo è stato uno dei più vincenti. Altrove, nell’Ogaden, nella regione degli Oromo in Etiopia, ci sono stati e permangono forti movimenti di lotta. Tutt’intorno alla nostra regione c’è stata una lunga fase in cui i popoli si sono organizzati e hanno condotto lotte di liberazione nazionale contro il dominio coloniale. Il successo non è stato sempre quello sperato, ma la resistenza, in una forma o nell’altra, è stata continua negli ultimi 60 anni. Solo che ai media non è consentito riferirne.

F.G. Come giudichi la situazione della Somalia che, dal rovesciamento del despota filoamericano, Siad Barre, nel 1991, si trascina tra aggressioni e conflitti interni. Si accusa l’Eritrea di sostenere la guerriglia delle forze islamiche contro il governo installato dall’Occidente.

E.A. Purtroppo la Somalia è un esempio classico di interventismo. Dopo la caduta di Siad Barre, alla Somalia non è mai stato consentito di ricostituirsi in Stato sovrano. Si sono promossi conflitti interni e interventi stranieri, il più recente dei quali è stata l’ennesima invasione dell’Etiopia, Stato cliente degli Usa. Si tratta di un caso da manuale. Durante l’ultimo quarto di secolo alla Somalia non è stato consentito, da parte delle potenze imperialiste e dei loro surrogati nella regione, di vivere in pace. L’accusa mossa all’Eritrea è totalmente priva di fondamento. Serve a coprire gli interventi coloniali e di destabilizzazione di ben altre potenze.

F.G. Come influisce sull’Eritrea questa drammatica situazione nel Corno?

E.A. La più grande minaccia per l’Eritrea è lo Stato vassallo dell’Etiopia che viene pressato dalle potenze imperialiste a condurre una costante guerre, strisciante o aperta, contro l’Eritrea. Si usano vari pretesti. La guerra del 1998-2000 viene presentata come un conflitto sui confini, ma trascende questo nodo. I confini non possono essere pretesti per grandi guerre. L’Eritrea viene costantemente presentata come fattore di disturbo, di destabilizzazione, il che capovolge i ruoli di vittima e di aggressore. Bisogna chiedersi perché viene vittimizzata dalle grandi potenze. La risposta è perché insiste sul suo cammino politico indipendente, di autodeterminazione anche economica  che focalizza tutte la proprie risorse su uno sviluppo autonomo e non accetta i diktat dell’ortodossia liberista provenienti dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale, dall’Organizzazione Mondiale del Commercio e da altre grandi istituzioni che lavorano per l’egemonia dell’Occidente.


Considera anche che il governo di questa nazione non ruba. I dirigenti vivono una vita normale, quella dei cittadini qualsiasi. Non vedrai mai un nostro dirigente accompagnato da guardie del corpo, come succede da voi. Nessuna classe dirigente in nessuna altra nazione dell’Africa vive a questo modo. Vai dai vicini: il Primo Ministro dell’Etiopia, da poco deceduto, ha lasciato alla sua famiglia circa 8 miliardi di dollari.

Corrompere le classi dirigenti, renderle ricattabili, dipendenti, è altrettanto pericoloso dei complotti di destabilizzazione e degli interventi militari per procura. La corruzione è uno degli strumenti utilizzati dalle potenze straniere per ridurre le nazioni in schiavitù. Leader corrotti sono facili da manipolare e come regola essi fanno davvero poco per la propria gente ma tutto per la propria famiglia, le proprie clientele e per l’Impero. Le grandi potenze non vogliono che l’esempio eritreo venga replicato in Africa. Lo ripeto, l’Africa ha vaste risorse naturali. Le grandi potenze vogliono provare ad appropriarsi di queste risorse. Cosa accadrebbe se altre nazioni in Africa provassero a seguire l’esempio eritreo? Ai colonialisti di certo non converrebbe”.


F.G. Come vedi il futuro immediato e a medio termine, tenendo conto che l’Etiopia continua ad occupare territori eritrei e a minacciare nuove aggressioni, l’ultima condotta nel giugno di quest’anno?

E.A. Per oltre 25 anni l’Eritrea è riuscita a mantenere la propria indipendenza e sovranità contro soverchianti forze ostili. Già questo è un successo e una fonte di ottimismo. A dispetto di tutta questa ostilità, l’Eritrea ha rifiutato di essere dirottata, di farsi ostaggio e ha fortemente investito in significativi progressi economici e sociali, ha continuato a investire in programmi sociali decisivi, istruzione, sanità, servizi di base, infrastrutture. Ma quella schiacciante ostilità, le sanzioni, la demonizzazione che ci vengono inflitte, comportano vincoli e sfide che dobbiamo continuamente sforzarci a superare. E’ chiaro che sono intese a bloccare il nostro progresso.

F.G. Dopo la caduta della Libia di Gheddafi voi siete, insieme a pochissimi paesi africani, lo Zimbabwe, l’Algeria, forse l’Egitto, un paese, una delle  nazioni che insistono sul proprio cammino, che non si sono fatte sottomettere e non sono ancora state distrutte dalle grandi potenze, come è capitato alla Libia, alla Somalia, ai paesi del Sahel. Che cosa ti suggerisce questo?

E.A. Le grandi potenze imperialiste vogliono imporci l’isolamento. Ma non ci sono riuscite, nonostante grandi manovre politiche e propagandistiche, tipo le calunnie, le menzogne. L’Eritrea ha rotto questo isolamento e ha ora significativi rapporti di cooperazione con vari paesi che hanno apprezzato le scelte del paese e hanno compreso i benefici reciproci che se ne possono trarre. In Africa, è vero, sono pochi i paesi realmente indipendenti. Ma i popoli in Africa stanno iniziando a risvegliarsi. Dopo un trentennio di vicoli ciechi, di neocolonialismo rampante, dopo quanto è stato fatto alla Libia e alla Somalia, i popoli si pongono domande e, tra le altre cose, guardano al modello eritreo.


F.G. Un modello, un’ispirazione, come lo è stata un tempo, che so, il Vietnam?
Perché non dovremmo poter contribuire indicando una via alternativa? L’Eritrea è una nazione relativamente piccola, con risorse limitate, ma sta andando bene in termini di autosufficienza e progresso. La nostra parola d’ordine è resilienza, che significa tante cose: resistenza, autosufficienza, fiducia in se stessi, tenuta nelle difficoltà. Sono qualità che, se si diffondono, credo possano darci speranza per il futuro del continente africano. Sono convinto che questo tipo di rete tra popoli e movimenti alla fine dei conti risulterà decisivo. In fondo, quel che conta quando si parla di democrazia, è la partecipazione popolare. Non la democrazia che viene imposta dall’Occidente, ma una democrazia vera, genuina, partecipatoria. Questa si deve espandere e realizzare.

F.G. Pensi che per raggiungere questi risultati serva un sistema pluripartitico, come lo particano e lo vogliono diffondere in Occidente?

E.A. No, no, per niente. Non credo che il multipartitismo che l’Occidente vorrebbe imporre ai paesi africani sia la soluzione. Anzi, sarebbe la fine. Tocca ai popoli africani decidere che tipo di cammino democratico funzioni per loro, un modello fondato sui propri bisogni, vincoli, carenze, storia. Comunque prerequisito fondamentale per una democrazia autentica resta il processo della partecipazione popolare. E su questo punto gli esiti di molti movimenti di liberazione nazionale non sono stati soddisfacenti. Molti di questi movimenti, una volta arrivati al potere, si sono impadroniti dello Stato e si sono dimenticati dei cittadini.  


F.G. Che cosa ti rende particolarmente orgoglioso di essere eritreo?

E.A. Orgoglioso? Che nonostante tutte le difficoltà incontrate non abbiamo ceduto. Non siamo diventati un altro Stato cliente postcoloniale. Siamo riusciti a mantenere la nostra indipendenza e sovranità. Questo mi rende estremamente orgoglioso. Poi, essendo la liberazione nazionale un’operazione anche culturale, come Amilcar Cabral ha sottolineato tanto tempo fa, ora abbiamo una buona base per liberare noi stessi, liberare la nostra mente per riconquistare il nostro retaggio di civiltà che era stato soppresso: le opere d’arte, la letteratura orale e scritta, le tradizioni. Il fatto che siamo riusciti a emancipare il nostro popolo dall’oppressione dei tempi coloniali. E’ una buona base su cui costruire una nuova Eritrea, un’Eritrea libera, che ha fiducia in se stessa, in pace con se stessa e col mondo.

F.G. Mi potresti nominare qualche personaggio che ha lasciato una traccia importante nella tua vita?

E.A. A citarli tutti verrebbe fuori un bel mosaico: Franz Fanon, Amilcar Cabral, Thomas Sankara, Patrice Lumumba, Hugo Chavez, Che Guevara, Fidel Castro, Evo Morales…. Un bel po’ di gente, come vedi, di cui la Terra ci è stata prodiga. E nel tuo paese un’altra grande personalità che ammiro è Antonio Gramsci. Spero di essere in grado, un giorno, di tradurre estratti dei suoi Quaderni dal Carcere  e vedere come il suo concetto di egemonia possa essere espresso nella nostra lingua e adattato alla nostra vita.