mercoledì 20 gennaio 2016

MANIFESTAZIONI: chi sfila, chi marcia, chi ci marcia




“Apparentemente una democrazia è il luogo dove si tengono numerose elezioni a elevati costi, senza contenuti programmatici e con candidati interscambiabili”.(Gore Vidal)

“Preferisco i vinti, ma non potrei adattarmi alla condizione di vinto”  (Curzio Malaparte)

Il 16 gennaio, 25° anno dall’inizio dell’annientamento della nazione irachena, abbiamo manifestato a Roma e Milano e in qualche altro posto. Parlo di Roma. Qualcuno ha detto tremila. Forse. Comunque pochi e totalmente privi di slogan, cioè di partecipazione politica audio. Ha sopperito un tonante sound system e qualche orchestrina ambulante. L’età media era alta e la dissonanza tra i vari spezzoni pure. Dissonanza vigorosamente manifestatasi già nella fase preparatoria, caratterizzata da dispute, mediazioni su mediazioni, dissociazioni. C’era chi pensava di inserire nella piattaforma un riferimento ai “ribelli” siriani e all’impegno di difendere (quindi portare) “democrazia” dappertutto, dando implicito credito alle valutazioni di coloro che la “democrazia” la esportano radendo al suolo chi ne dovrebbe beneficiare. Peggio, essendo la democrazia che si conosce e di cui si auspica la difesa quella totalmente finta, è implicito che là fuori, in Siria, Iraq e via deprecando, di democrazia non ce n’è.


Altri portavano il loro contributo inalberando gli stendardi,  decorati a Washington e Langley, dei diritti umani come esemplificati da Amnesty International e Human Rights Watch. Presenze trasudanti perbenismo moralista e inquinamento ideologico, pretendevano manifestare “contro ogni governo che sceglie la guerra contro il proprio e gli altri popoli”. Qui riecheggia forte e chiara l’eco, mica dell’autoattentato tramite esplosivo dai servizi collocato nelle Torri Gemelle, costato la vita a 3000 concittadini (e di analoghe stragi di Stato precedenti e successive), ma del  consuntissimo stereotipo su Gheddafi, Saddam, Assad, dei cui popoli si è dovuto decidere l’estinzione in virtù del fatto che venivano “bombardati dai propri leader”. Cosa che magari condividevano, ma ne erano turbati meno, i veterobigottoni che, vittime di ossificazioni dogmatiche degenerate in superstizioni, insistevano che non aveva senso impicciarsi di genocidi e resistenze, fino a quando i rispettivi proletariati non avessero sistemato le proprie borghesie.

Guerra di classe, o di popolo? O l’una sta nell’altra?
Veri oscurantisti, irretiti dal ragno della pigrizia mentale in una tela tra bare polverose abbandonate nelle segrete. Ancora non si rendono conto che c’è stato un rimescolamento delle classi e che la progressiva uccisione del ceto medio in Occidente rende grottesco parlare di borghesia e proletariato, tanto meno di una classe operaia-avanguardia che da un secolo è abituata ad arrendersi. Abbiamo quei 62 super-ricchi che manovrano mezzo pianeta e ne hanno fatto una piramide anomala, in cui tra una base enorme e un vertice a spillo non c’è più nulla. Saranno ancora lì, a ripetere le loro giaculatorie, quando l’élite antropofaga dell’1%, nuova forma di capitalismo ed estrema forma di imperialismo, si sarà divorata proletariato, borghesia e mondo intero.

Non-violenza e non-non-violenza
Per niente dissimili, per quanto, diversamente da questi,  privi di classe ma ornati di piume arcobaleno, i non-violenti. Ho visto un cartello che diceva più o meno “Non bombe, ma diplomazia”. Davvero contundente, per dire. Sa di liberal amerikano, scritto con la k perché, a dispetto delle migliori intenzioni, irrimediabilmente incapsulato in logiche e formule con cui il paese di Lincoln, Jefferson, Roosevelt, nato e cresciuto nella pratica del genocidio, è ritenuto depositario di democrazia, libertà d’espressione, giustizia, liberatore da nazifascismi e totalitarismi vari. Seppure recentemente corrotto, tocca ammetterlo, da energumeni alieni al suo spirito fondativo. Democrazia, dunque, vorrebbe dire diplomazia. E viceversa.

Ma la democrazia in Occidente non esiste e la diplomazia, praticata da un Occidente privo di democrazia, sarebbe intesa esclusivamente a raggiungere gli stessi scopi delle bombe, ma prendendoti alle spalle con la vasellina (vedi Cuba, o Iran). Insomma, proporre che siano sempre coloro che la saprebbero più lunga sulle questioni del mondo, inevitabilmente i civili occidentali, ONU, UE, o qualche governo, a mettere le mani in pasta, non è che una forma dolce di colonialismo. Non si vuole capire che colonialismo è ogni forma di intervento occidentale fuori campo, tanto più che si trascina appresso il peso terribile di un millenario passato predatore e assassino. Qualcuno si è mai sognato di invocare l’intervento del Cairo, di Dar es Salam, o di Hanoi, per risolvere una disputa, mettiamo, tra Londra e Dublino? O Washington e Corea del Nord?

In ogni caso, prima della diplomazia, ci sono i rapporti di forza e quelli si stabiiscono sul terreno. Come ha fatto la Russia, sparigliando il gioco. Cosa pensa il nostro liberal amerikano, che con la Nato e i suoi ascari Isis pronti a consegnare Siria e Iraq, petrolio incluso, a Wall Street, l’aggressore si faccia da lui convincere alla diplomazia? E, poi, quale diavolo di diplomazia? Cosa c’è da trattare, mediare, concordare?  Con dall’altra parte antropofagi e narcomafiosi che campano di armi, droga e guerre? Un’altra Oslo-capestro tipo palestinesi? Qui c’è un mostro a cui si devono tagliare le zanne affondate nella vittima. Punto. 

Qualche strappo nei travestimenti democratici delle perenni oligarchie l’hanno prodotto le lotte operaie, studentesche, le guerre di liberazione. Mai non-violente. Come non guadagna un rigo sui media (s’è visto il 16 gennaio) e nella storia e non incide un graffio sulla protervia del potere, qualsiasi corteo che non rivendichi con la forza il diritto alla piazza e alla contestazione. Provate a immaginare lo scombussolamento degli assetti del potere culturale e politico senza la forza dei movimenti del ’68. O l’epifania di uno Tsipras (per quanto, ahi-Grecia!, infiltrato e traditore) e la stravittoria referendaria da far tremare gli euroboia, senza quattro anni di scontri di popolo contro i gendarmi dei proconsoli di BCE, FMI e UE. O il ritiro dell’esercito britannico dall’Irlanda del Nord senza l’IRA. O un’attenzione del mondo sull’olocausto palestinese senza le Intifade. Hanno portato a poco, a niente? Nell’immediato. Ma ti hanno mantenuto in piedi! Si potrebbe continuare con gli esempi, a partire dalla presa della Bastiglia, o dalla Repubblica Romana, ma non serve a convincere nessun non-violento. Sapete perché? Perché la non-violenza è un’assicurazione dei beni e sulla vita. Tutto lì, al di là delle buone intenzioni.



Tutti uguali, coscienza a posto.
C’è chi è arrivato nel corteo proclamando “Tutti i governi sono criminali”. Mosca come Washington. Riyad come Damasco. Altri giuravano “Guerra no, mai – senza se e senza ma, bombardamenti no, mai - senza se e senza ma”. Gente con un acuto senso delle proporzioni e degli eccessi, sentenziava “25 anni di guerra bastano”. Bastano a chi? Pensate che cazzata: con uno, due, dieci anni di guerra si sarebbe potuto convivere? Ed ecco che, col discorso di “nessun bombardamento mai”, dopo lo scontato guerrafondaio Usa, s’è messo nel sacco anche quello russo. L’imperialismo si risente, ma lo conforta l’equiparazione. Ci lascia poi solo la scelta tra ottusità, ignoranza e malafede chi, tra pseudotrotzkisti e pacifinti, fa scempio della realtà oggettiva cianciando di “scontri tra potenze” e di “opposti imperialismi”, mettendo sullo stesso piano la mamma di Haensel e Gretel e i bambini che vuole infornare.Perso nella nebbia del fondamentalismo pacifista, il senso delle cose e la possibilità di uscirne bene, con giustizia. Visto che vengono intrecciati senza più  possibilità di distinguerli, carnefici e vittime. Chi bombarda, correndo in soccorso all’aggredito, per salvare integrità, sovranità, diritto internazionale, autodeterminazione, storia, presente, futuro, vita. E chi dalla scena del mondo vuole eliminare queste cose.

Nei proclami pacifisti e non-violenti si obietta alla guerra tout court, compresa quella dei resistenti alle aggressioni e si finisce, che lo si voglia o no, col delegittimare, se non criminalizzare, chi spara per non farsi sparare, lui insieme a madri, padri, figli, patria. Oggi siriani, iracheni, afghani, yemeniti, somali, libici.  O africani sub sahariani, sotto lo scudiscio del neocolonialismo armato francese che, anch’esso, utilizza i jihadisti per lastricare la via allo stivale della Legione Straniera. Ieri le brigate Garibaldi. O Beppe Fenoglio. O i Fratelli Cervi. O Franco Serantini.

Un Ponte per…dove?
Chi sfila perché così usava, così fanno i buoni e bravi e così ci si sente a posto. Chi marcia perchè contro il nemico tocca marciare. E chi ci marcia. Ho partecipato a due viaggi organizzati di “Un Ponte per…” in Iraq, al tempo dell’embargo, e a uno in Serbia. Storico presidente Fabio Alberti (consigliere regionale del PRC e manifestante con i ratti contro Assad), oggi lo presiede una Martina Pignatti Morano. Allora non ci si sarebbe sognati di dire una anche vaga parola di critica a Saddam o Milosevic. Anzi, avendo il monopolio dei tour politico-culturali, ci si guadagnava. Al punto da finire in una brutta polemica su come fossero stati adoperati certi fondi. Ai viaggiatori si accompagnavano scatoloni di medicinali e quaderni per le scuole. Niente male. Poi le cose cambiarono e pure il Ponte per. E sui corpi dei vinti si accodò al coro delle contumelie contro i leader caduti e contro chi si ostinava a resistere, mentre prese a far comunella con la “società civile” collaborazionista.  Molto male, anzi  miserevole.

Ong di scarsa rilevanza, ma epitome del pacifismo di cui vado parlando, si guadagnò ampia notorietà con la storia delle “due Simone”. Due cooperanti, secondo non verificate fonti giornalistiche stipendiate a 8000 euro mensili da questa Ong che si diceva poverissima, nel settembre 2004 rapite nella zona di Baghdad più controllata dagli occupanti. Rapite da chi non s’è mai voluto capire.Tenute nascoste per tre settimane e poi riapparse. Il deus ex machina finale era degno del più scrauso regista di atellane e fescennini. Con lo staff berlusconiano, il capo berlusconide della Croce Rossa e decine di telecamere schierati come a una passerella di star sulla Croisette, si vedono le due ragazze incappucciate caracollare in pieno deserto, avvicinarsi e solo allora togliersi il capuccio.  Standing ovation. Scena costruita a sfida del più acuto degli imbarazzi. Oggi questo ponticello rotante si presenta al corteo con dichiarazioni tutte mutuate dalla propaganda di chi doveva dotarsi di alibi per la distruzione dell’Iraq.  Notarella: una delle Simona, la Pari, s’era adoperata in Kosovo per “Save the children”, l’organizzazione “umanitaria” che per lubrificare la guerra alla Libia ci aveva raccontato di un Gheddafi fornitore di Viagra ai suoi soldati perché stuprassero bambini e le loro madri, magari davanti ai rispettivi padri e mariti. Notevole curriculum.…


Gli americani ‘liberarono’ il Kuweit” (storica provincia sottratta all’Iraq dai britannici e per questo non riconosciuta come Stato se non 40 anni dopo), ma, sprovveduti, “lasciarono al comando Saddam che ne approfittò per far fuori 200mila sciti e curdi”. “Migliaia di soldati iracheni scelsero la diserzione e si rivoltarono contro Saddam” (evidentemente risentiti dal fatto che l’ONU, nel 1990, aveva riconosciuto all’Iraq il più alto indice di sviluppo umano del Medioriente). Ma forse l’analista militare s’è confusa con i 100mila soldati seppeliti dai tank Usa nelle loro trincee. Quanto alla Libia, c’è da lamentarsi che non esista ancora “un’alternativa funzionale e democratica” (implicito: alla dittatura di Gheddafi). Ovvio che “l’Iraq ha innanzitutto bisogno di aiuti umanitari”, adeguatamente sovvenzionando le Ong che se ne fanno carico (altrimenti che ci sta a fare il Ponte?), mica di sostegno alla lotta di liberazione da Isis e predoni curdi. Per carità, pace e coesistenza! Rifornimenti aerei della Coalizione all’Isis, denunciati con mille prove, è roba umanitaria. Ma armi a Baghdad per riunificare il paese mai!. Non sarebbe non-violento.

C’è chi non fa i nomi. E chi li fa.
E così quattro amici del giaguaro riescono a convogliare nelle manifestazioni un sacco di utili idioti, o di semplici disinformati, e di farsene scudo per sopperire alla propria inconsistenza numerica e ambiguità politica. E’ la tecnica della pianta saprofita che si attorciglia attorno all’albero per soffocarlo. Non che la scarsità quantitativa significhi sempre fragilità qualitativa. Anzi, di questi tempi è già tanto se bastano le mani a reggere uno striscione giusto. Come nel caso romano dove si diceva “NATO=GUERRA E TERRORISMO – FUORI DALLA NATO FUORI DALLA GUERRA”. Dove si ricordava ai dimentichini che quelli che fanno la guerra sono gli stessi che fanno il terrorismo. O in quello analogo milanese del Comitato contro la guerra. Nessun dubbio, anche, sulla sintonia tra Roma, Sigonella e Vicenza, per  una piattaforma che diceva pane al pane e vino al vino, facendo nomi e cognomi. Come, va detto, li faceva anche lo spezzone degli USB in testa al corteo.


Già, perché nomi e cognomi sono quelli la cui assenza è pervicacemente e saggiamente coltivata da pacifisti e non-violenti (e lo dico esonerando alcuni miei amici pacifisti che con me hanno vissuto l’Iraq, la Serbia, la Libia, la Siria e ne hanno tratto introspezioni ed estrospezioni ben più mature dei loro affini rimasti al calduccio. Penso a Marinella, penso a Enzo). Che lo sappiano o no, la non-violenza e certo pacifismo applicati indistintamente a qualsiasi situazione, consciamente o inconsciamente, garantiscono sicurezza personale rispetto al monopolio statale e imperiale della violenza. Monopolio nel cui statuto sta l’eliminazione giuridica e, se necessario, anche fisica, di chi lo contesta. Ben sapendo questo, Bertinotti, da rivoluzionario scassa-sistema, si è addirittura arrampicato fino alla terza carica dello Stato installandosi tra i padri nobili della Repubblica  mafio-massonico-pontificia-atlantica.

Anonimizzare, livellare ogni cosa e sistemare tutti sullo stesso banco degli imputati, assimilare vittime a carnefici. E’ il regalo dei né-né all’imperialismo e ai violenti per scelta. E’ la coltellata alla schiena dei violenti per necessità. E’ una tecnica che ti evita fastidi, visto che entrambi le parti in conflitto si consolano del fatto che hai incriminato anche l’altra. Non sei un nemico assoluto. Sei compatibile. Noi siamo potenti, i più potenti, ci possiamo permettere che ci critichi. Basta che non ti schieri. Criticando il nostro nemico ci dai una mano, più di quanto non ci danneggi. Tanto più se non fai nomi.

Dire solo “pace”, punto, vuol dire certamente niente bombe e botte. Ma evita di dire anche giustizia, no a sanzioni (chi ha mai dimostrato contro le sanzioni all’Iran?), destabilizzazioni, sabotaggi, rivoluzioni colorate, quinte colonne all’insegna dei “diritti umani”, mestatori come Amnesty e HRW. Evita soprattutto di schierarsi da una parte, quella che ha ragione, quella aggredita. E lo evita reggendo la coda a coloro che ne demonizzano i leader, senza riguardi alla volontà popolare, alle condizioni storiche e culturali, agli stati di necessità. Son cose che decidiamo noi. Dire solo pace e non dire “fuori dalla Nato” è come compiangere i rifugiati senza menzionare chi sta spopolando intenzionalmente la loro terra.


AssassiNATO
Dire Nato vuol dire Obama, Renzi, Clinton, Bush, Reagan, Nixon e giù giù fino al 1949, quando agli europei stremati, dopo lo zuccherino del Piano Marshall, si impose il collare del Patto Atlantico. Dire Nato non platonicamente comporta stare con chi di Nato soffre e muore. Compresi noi. Qualcuno dei miei coetanei, oltre a storici “revisionisti”, si ricorderà di quando nelle strade di tutto il mondo risuonava: “Vietcong vince perché spara”, “Giap Giap Giap –Ho Chi Minh”, “Fe fe fe –Fedayin” , “Patria o muerte”. Eravamo contro la Nato e, di conseguenza, con l’Irlanda del Nord, il Vietnam, Cuba, Palestina, l’Algeria. Eravamo schierati. Oggi noi altri che osiamo dirci a fianco della Siria di Assad, della Libia di Gheddafi, della Russia di Putin, del Venezuela di Chavez-Maduro, ci muoviamo in un clima di rampogne e dissociazioni. I non-violenti e diritto-umanisti prendono le distanze. Distanze misurate col metro del menzognificio imperialista. E dunque dalla Nato.



La non-violenza, quando non è la mannaia, avvolta nel velluto, che disarma chi si difende da Golìa, è spesso il riflesso piccolo-borghese, come usava dire, della paura per l’ego. Chi sta col “nemico”, con la parte “sbagliata”, si sa, rischia discredito, vituperio, la libertà d’espressione,  l’ostracismo, a volte la libertà fisica e, se capita, la pelle. Ma nella non-violenza ci può essere anche la paura dell’ego, nella sua componente Mr.Hyde. Se ne ha un’idea quando traspare nella violenza degli anatemi lanciati contro chi non-violento non è. Alla resa dei conti, saranno costoro a doversi chiedere in che modo abbiano aiutato o ostacolato una marcia che ha in fondo la fine dell’umanità.

9 commenti:

avv.Mauro Sandri ha detto...

Considerazioni che hanno la forza della verità che non richiede alcuna aggettivazione. L'uscita dalla NATO, mai veramente voluta dal PCI e dalla c.d. sinistra antagonista,oltre che ovviamente da tutti i partiti italiani, è,ormai,lo spartiacque su cui si misura la volontà di salvare ciascuno di noi dall'essere carne da cannone degli USA.

Anonimo ha detto...

La presidenza di Save the Children sara'occupata dalla velina danese ex premier socialdemocratico.Lo stesso partito che ha accettato la proposta nazista della maggioranza di requisizione dei beni ai profughi.Proposta immediatamente seguita da un altro Land a guida nazista ,la Baviera ,e che sicuramente costituira' un esempio da seguire.Ora,detta grossolanamente,facevano miglior figura a non accoglere i profughi siriani anziche'spogliarli come sciacalli.D'altronde la Danimarca,asservita alla Germania Hitleriana come pochi altri paesi ,e adesso coerentemente sempre in prima linea nelle coalizioni terroristiche della nato ci ha abituati a questi exploit.Non a caso viene ricompensata con queste cariche,un altro ex-premier Rasmussen e' stato uno dei piu' "attivi"segretari della sudetta organizzazione terroristica nato.E' anche un paese con un controllo statale sull'individuo orwelliano,spaventoso(altro che Russia di Putin!).Pensare che nell'immaginario collettivo questo paese razzista e conservatore fino al midollo e' quello delle favole,della generosa socialdemocrazia delle paperelle e dei cordiali abitanti biondi e sorridenti...
Luca.

Fulvio ha detto...

Anonimo@ Luca@
Grazie dell'informazione che rafforza l'idea che si deve avere di certe Ong, non solo questa.
Si sono anche fottuti la Sirenella....

alex1 ha detto...

@Jiuddu: condivido in pieno. Ho sentito anche Ferdinando Imposimato magistrato ex PCI dichiararsi per l'uscita dalla NATO. Oggi essere contro un alleanza fra predoni, che usa le proprie basi ed I propri mezzi non per scoraggiare (questo e' quello che ci hanno sempre detto da ragazzi) I cattivi russi a mandare le loro truppe a S.Pietro, ma per attacare stati sovrani, addestrare lanzichenecchi da inviare contro comunita' che vivono in pace o che difendono I propri spazi dale invadenze dell'imperialismo occidentalista e' il primo passo,forse non l'ultimo per opporsi e denunciare la politica delle guerre che hanno scandito gli ultimi 25 anni. L'opposizione fra borghesia e proletariato esiste ancora, eccome, ma va contestualizzata. Una volta mi sono scontrato polemicamente con un esponente di un movimento che si richiama al marxismo leninismo, ma poi afferma, in chiave velatamente antiaraba, che le guerre nel medio oriente sono colpa "della borghesia araba,fradicia di dollari e di petrolio, ma incapace di unificarsi", mettendo solo di contorno l'influenza degli imperialismi (che includerebbero anche quello russo) ai quali questi stati incapaci si legano e si fanno la Guerra fra di loro. Israele in quella relazione non fu neanche accennata. Eppure il loro giornale parla del colonialismo europeo nel Medio Oriente dalla fine dell'ottocento, l'influenza degli stati occidentali ed il loro schierarsi nelle guerre di conquista israeliane. Perche' dunque condannare tutto e tutti, anche I fronti Baath e socialisti progressisti, mettendoli sullo stesso piano dei conquistadores solo perche' rappresentano anche delle borghesie (che farebbero "affari" con I paesi capitalisti), non pure quindi dal punto di vista di classe? Non era comunque un punto di crescita che avrebbe potuto portare l'unita' araba e quindi una forte componente di classe che non fosse prevalentemente costretta a difendersi dai missili (oltre che dall'embargo, non meno micidiale) o andare dietro, in situazioni di penuria ed assenza di uno stato che prima comunque c'era, a qualunque fazione armata che garantisca loro un po' di acqua potabile, carburante, cibo e sicurezza contro gli sciacalli che vanno a saccheggiare le case danneggiate? Ci vuole tanto poi a capire come mai certe fazioni anche di tendenza islamiste e reazionarie fanno proseliti in terre una volta ricche ma oggi terra di nessuno, depredate delle loro ricchezze ma anche della loro storia? Non certo perche' arabi o palestinesi nascano geneticamente violenti o reazionari o rifiutino l'internazionalismo a priori.

roberto ha detto...

Stavo leggendo il tuo articolo, caro Fulvio, con grande piacere, come sempre. Ma mi sono imbattuto ad un certo punto nella nota riguardante Bertinotti e a quel rigo ho avuto un violento disturbo intestinale. Bertinotti, uno dei tanti traditori finto-comunisti. Gioele Magaldi nel suo bel libro (Massoni, la scoperta delle Ur-Lodges) dice dove e quando è stato iniziato alla massoneria e in quale loggia. Non solo, Leo Zagami lo inserisce nella parte di lista di affiliati alla P2, che è stata tenuta segreta, insieme al bombardiere della Jugoslavia Massimo D'Alema. A parte ogni considerazione con queste informazioni si chiariscono tante cose, non credi? Se avessi saputo queste notizie non mi sarei meravigliato quando Bertinotti fece cadere il governo Prodi, senza peraltro riuscire mai a a fare altrettanto con Berlusconi nè quando D'Alema contribuì all'assassinio dei fratelli nei Balcani. Ora sono profondamnte deluso e non nutro aspettative di cambiamento. Chi gestisce i potere non solo è molto intelligente ma ha tutti gli strumenti per farlo e si avvantaggia dell'esperienza maturata nei secoli perchè i padroni si tramandano tutto appunto da secoli, visto che se la cantano e suonano tra di loro. Nulla avviene per caso: quando la Boldrini si sedette sulla poltrona della presidenza della camera mi chiesi perchè proprio lei. Dopo qualche ricerca scoprii che è la figlia del Boldrini che fu il braccio destro di Eugenio Cefis. Concludo che mi rimangono gli insegnamenti di Ernesto Guevara laddovè diceva che solo "l'uomo nuovo" avrebbe cambiato la storia, dopo avere acquisito conoscenza,coscienza e consapevolezza.
Cari saluti.

SHAKESPEARE FOR PUBLIC SPEAKERS ha detto...

Jimmie. Meglio la verità deprimente, come qui ben esposta, che il falso edulcorato. Purtroppo molti credono ancora che la rivoluzione si possa fare con l’aiuto dei carabinieri...
Macromagra consolazione e’ che oggi il fenomeno non e’ soltanto italiano. Qui nella “land of the free and home of the brave,” il mostro imperiale ha deciso di scoraggiare anche le dimostrazioni pacifiche, con arresti in massa e condanne in galera da sei mesi in su, da scontare insieme ai criminali comuni. E con imbrattatura di fedina penale, alla stregua del ladro e delinquente. Quindi esclusione dal portare un’arma, ineligibilità a presentarsi candidato anche a elezioni locali etc.
E’ di ieri l’imprigionamento, per sei mesi, di un’ultra-sessantenne colpevole di aver fotografato, dai margini di una strada, una delle ennesime dimostrazioni pacifiche all’esterno di una base di droni del Nord Est. L’accusa era di aver fotografato trovandosi all’interno della base, anche se ne era ben fuori, perchè i confini della base si estendono legalmente non ai bordi, ma a metà della strada pubblica da dove la donna fotografava – peraltro non c’è alcun segnale che lo indichi.
Per vedere come funziona la giustizia amerikana a proposito, nel blog ( http://wp.me/p2e0kb-1bZ ) e’ descritta la saga di un dimostrante pacifico condannato a due anni di reclusione (senza sconti), per avere ingegnosamente ostacolato una gara pubblica il cui fine era di assegnare una fetta dell’Utah a quelli del fracking. Notare che il giudice ha minacciato di escludere dalla giuria chiunque avesse votato secondo la propria coscienza e non secondo le istruzioni del giudice.
Il cappio si sta stringendo al collo del cittadino, con l’ausilio dei cittadini medesimi. Vedi in Italia i “ne’-ne’” – in America chiunque occupi anche una minima poltroncina, temendo di perderla se esce anche di poco dallo sterrato ideologico.
Per non parlare dei milioni, unicamente interessati ai tabloids, in vendita prima della cassa al supermercato, e agli scandali sessuali delle “celebrita’”

rossoallosso ha detto...

A me questo articolo non piace,primo perchè fotografa in maniera impeccabile una realtà che fa piangere e secondo perchè inconsapevolmente la alimenta.Personalmente avrei voluto vedere in piazza al netto delle divisioni bianchi,rossi rosa,neri,barboni ,mentecatti,associazioni varie.froci .lesbiche preti .....detto questo era per me più opportuno un rovente pezzo su chi non c'era non su chi c'era.

Chiedo scusa per la schiettezza.

Anonimo ha detto...

che dire?: mi fai tornare in mente quando davanti alla base di Aviano dai megafoni mentecatti delle tutine si levò la voce del proletanato dire: le donne in nero avanti ai cordoni!!nella speranza di evitare qualche manganellata. Certo è che tra La Russa in Afghanistan, Alfano ad Herat e Renzi a Beirut (tutti con la divisa militare neanche fossero capi di Stato) è sicuramente più divertente Berlusconi con la bandana. Quanto sarebbe stato onorevole un voltaspalle da parte dei militari, ma evidentemente non hanno mai ascoltato 'The Fish Cheer'.

Anonimo ha detto...

http://met.cittametropolitana.fi.it/public/images/2007062817202603.jpg