sabato 16 aprile 2016

ARRIVEDERCI!



Ma chi, se è un uomo, può ammettere che essi sprofondino nelle ricchezze e che sperperino nel costruire sul mare e nel livellare i monti e che a noi manchi il necessario per vivere? Che essi si vadano costruendo case e case e l’una appresso all’altra e che noi non si abbia in nessun angolo un tetto per la nostra famiglia… Ma io mi sono assunto, come è mio costume, la causa generale dei disgraziati”. (Lucio Sergio Catilina, candidato console, 1.giugno 64 a.C)

Questa è, per un paio di settimane, l’ultima mia apparizione in rete. Vado fuori Italia per un nuovo lavoro giornalistico e documentaristico dal Sud del mondo.
L’ambiente in cui mi troverò non è internet-friendly, come dicono i vernacolari.  Siccome mi muovo, c’è poco internet, come diciamo noi sempliciotti. Per cui sarà difficile scambiarci messaggi. Spero comunque di trovare il modo di andare ogni tanto sulla posta. Per cui vi chiedo di mandarmi solo messaggi urgenti e che richiedono risposta sollecita, che non so se potrò inviare.
Ma non cascherà il mondo. Ci risentiamo ai primi di maggio.


Non potrei chiudere senza rompervi gli zebedei con un invito scontato: domenica il voto SI contro la guerra all'Italia dei petrolieri e dei regimi asserviti, guerra al mondo, al futuro. Sembra una questione piccola, le trivelle a scadenza, ma investe un tema epocale, quello della sopravvivenza dei viventi, del loro ecosistema e habitat sociale, culturale, della salute, della bellezza. Si parte con un piccolo passo, ma per una maratona che ci dovrà dare la medaglia d’oro. E anche se non si arriva al quorum, grazie alle manovre di questi banditi e magliari, se i SI sono tanti, nella faccia di tolla di Renzi si aprirà una fessura e tutto il verminaio entrerà in fibrillazione.


Un pensiero all’acido solforico anche a quei giudici che ieri, alla Corte d’Assise di Varese, hanno assolto i carabinieri e poliziotti che, dopo averlo arrestato, hanno consegnato Giuseppe Uva a brandelli all’ospedale dove è morto. Una volta di più, come Aldovrandi, Magherini, Cucchi, un sacco di neri in America, quello sconsiderato di Uva s’è ammazzato di botte da solo per far dispetto ai suoi carcerieri. Sempre più dagli Usa prendiamo e esaltiamo il meglio. Poi ci permettiamo di sbertucciare gli egiziani.

E, a proposito di Stati Uniti, è con una certa soddisfazione che abbiamo registrato l’ululato di odio e aggressività del New York Times e del Washington Post contro l’Egitto di Al Sisi e di passione amorosa per i Fratelli Musulmani. Dimostrazione di quello che abbiamo detto fino a stressarvi. Niente di nuovo. E’ da sempre che i colonialisti, i neocolonialisti, gli imperialisti, fanno affidamento sui Fratelli musulmani per intorbidire con l’oscurantismo e la dittatura del fanatismo religioso le menti degli arabi e per minare, dal fondo degli animi  delle persone e dalle proprie fucine di terrorismo bombarolo, ogni avanzata, o difesa, della liberazione nazionale e della costituzione in unità laica e progressista dei popoli.
In nessun stato vassallo Usa c’è l’Isis. In tutti gli Stati non obbedienti agli Usa c’è l’Isis.

Dall’anatema contro Al Sisi e dal rimpianto per i FM d’Egitto  (tutto sulla base di inconfutabili fonti come Amnesty, HRW, Soros, anonimi vari), come dal parallelo sostegno ai FM, sotto spoglie “politiche” o terroristiche, in Libia, Siria, Egitto, paesi africani vari, Europa, è facile dedurre chi sta dietro all’operazione anti-egiziana "Giulio Regeni" (il giovanotto che lavorava a Londra per due pendagli da forca, McColl e Negroponte, nell’impresa di spionaggio “Oxford Analytica”), chi dietro al sabotaggio dei rapporti italo-egiziani, chi dietro all’esclusione dell’Egitto dallo scenario libico, nel quale la frantumazione del paese deve essere condotta in perfetta sintonia, grazie al pretesto Isis, dai Fratelli e dai loro sponsor storici euro-atlantici.

In questa simpatica combriccola ha, pur nel suo piccolo (ma l’ENI lo sostiene con paginone pubblicitarie che spergiurano sulla propria probità, mentre la magistratura ne arresta schiere di dirigenti per aver dolosamente avvelenato la Basilicata e i lucani), un ruolo significativo “il manifesto”. Sapete cosa fa il cùculo? Lo scaltro saprofita, approfittando della disattenzione dei titolari, depone le sue uova nei nidi di altri uccelli. Poi nascono cuculini che buttano dal nido i pulcini legittimi. E mamma e papà degli spodestati  imbeccano gl usurpatori pensandoli figlioli propri. Sono quelli che comprano il giornale, compreso me. Tommaso De Francesco, Michele Giorgio, Chiara Cruciani, Giuseppe Acconcia e affini che schiamazzano su Al Sisi e Regeni, sono i cuculoni spuntati dalle uova infiltrate nel nido di una Sinistra distrattona, forse narcotizzata, dalla cucula dal bel manto a stelle e strisce e con la croce di David.

Infatti cinguettano, e con grande foga, la stessa identica musica suonata sullo spartito Regeni dai cimbali e tromboni di guerra dei più screditati bugiardi del bellicismo mediatico Usa: CNN, New York Times (house organ di Sion), Washington Post (house organ dei Neocon) E poi, dai pupazzetti ventriloqui nostrani, come Mattarella, l’ex-capetto di Lotta Continua (uno di quelli…) che campa sui carcerati, Luigi Manconi, lui e altri che, occhi iniettati di sangue, sollecitano sanzioni agli egiziani (e magari,dopo, bombe: è questa la sequenza), quel capo della Tavola della Pace, il cui nome mi fa un po’ nausea pronunciare, che ad Assisi, con quei frati rotti a ogni tradimento del fondatore, corrompe scolaresche con la montatura Regeni… Tutti spuntati dall’uovo di cùculo. Anche Vauro, nove volte su dieci ci prende, una volta su 10 fa pena e ribrezzo. Come nella vignetta di Grillo dopo la scomparsa di Casaleggio. Vauro insiste a dirsi comunista. Un comunista non tipo "manifesto" non l'avrebbe mai fatto.



E noi? Siamo quelli sbattuti dal nido che pigolano là sotto, tra le foglie secche di un inverno che non dà cenno di finire. 

domenica 10 aprile 2016

CAIRO-ROMA: come tagliarsi le palle e vivere felici



Poi gli uomini di Stato inventeranno basse bugie e daranno la colpa alla nazione sotto attacco e tutti saranno soddisfatti di queste falsità che placano la coscienza e le ripeteranno diligentemente e rifiuteranno di prendere in considerazione qualsiasi refutazione. E così si convinceranno un po’ per volta che l’aggressione è giusta e ringrazieranno il Signore per il buon sonno di cui godono grazie a questo processo di grottesco auto-inganno.” (Mark Twain)

E così, dopo la Jugoslavia delle nostre più belle vacanze e di una speranza di non finire mangiati vivi dal Moloch finanzcapitalista e dalle sue guerre infinite; dopo l’Iraq che ci comprava le navi, che faceva lavorare alla grande la Saipem e ci forniva ottimo petrolio; dopo la Libia che ci accendeva i fornelli, le lampadine, i caloriferi, ci rendeva amica l’Africa, e salvava dalla bancarotta le nostre migliori aziende; dopo la Siria, di cui eravamo il terzo partner commerciale; dopo l’Iran per ora non ancora ricuperato al ruolo di nostro secondo fornitore di idrocarburi e primo acquirente di prodotti, ci siamo giocati anche l’Egitto insieme al quale avremmo dato scacco matto a tutti i concorrenti mediterranei ed europei. E avremmo evitato di impelagarci in una guerra in Libia.

A Parigi, Londra, Washington, Tel Aviv, Ankara, dove fino a ieri si infilavano spilli nella coppia di pupazzetti Al Sisi-Renzi e se ne bruciavano le effigi con le formule di rito, in tutti i comandi Nato, dal comandante in capo all’ultimo maresciallo di fureria, da quando si è saputo dell’esito dell’incontro inquirenti egiziani-inquirenti romani e del ritiro del nostro ambasciatore al Cairo, sono in corso baccanali a base di caviale e champagne. Il che non impedisce che si elevino inni ai Fratelli Musulmanii, ai loro operativi bombaroli e alla liberazione dell’uomo nel nome della Sharìa. Prossime mosse: Egitto fuori dalle palle in Libia, sanzioni UE e poi ONU, rivoluzione colorata, attacco finale all’ultimo Stato nazionale arabo non normalizzato da squartare. Idrocarburi e Canale affidati a chi di dovere. Italia con i pantaloni alle caviglie e il tatuaggio “Enrico Mattei” sradicato.Tutto questo sempre che Al Sisi non si ravveda tempestivamente, si disponga prontamente a mettere in quarantena l'ENI rispetto al giacimento Zhor e non la sostituisca con la British Petroleum (BP), che del resto è già sul posto ed ha già incominciato a firmare contratti con il Cairo

giovedì 7 aprile 2016

PANAMA (CIA MOSSAD AND SOROS) PAPERS


Anzitutto un grato saluto ai ragazzi napoletani che hanno difeso mercoledì la loro città dall’intrusione di avvoltoi e cannibali pronti ad affondare gli artigli su Bagnoli (gli stessi dello stupro della Basilicata).


Dei 2,6 terabyte di carte di Panama, uscite da una gola profonda dello studio legale israelita (sempre loro) Mossack Fonseca, la stampa pseudo-liberal e Nato-friendly, come il britannico Guardian, il tedesco Sueddeutsche Zeitung, l’italiano Fatto Quotidiano, con appresso tutto il codazzo dei vivandieri mediatici dell’Impero, hanno tratto con entusiasmo orgasmatico un gigantesco dito puntato su Vladimir Putin. E tutti si sono messi ordinatamente in fila a guardare il presidente russo. Che poi non c’era nemmeno. Semmai c’erano alcuni russi, musicisti e faccendieri, di cui ci si immaginava che potessero essere del “cerchio magico dello zar”. Ma che importa. Il ragazzo di bottega della lobby, Leonardo Coen, discepolo del guru sionista Furio Colombo, che detta la politica estera del Fatto, dal mare magno di 11 milioni di carte ha astutamente pescato il pescione che non c’era, appunto Putin, e l’ha messo venti volte nelle sue 2mila parole. Poi l’ha inciso a lettere di fuoco nel titolone e, a coronamento, con tanto di fotina, su una mappa del globo al centro della Russia, unico che nei papers non c’è tra tante fotine di gente che c’è. E’ così  che i presstituti ti educano il pupo.

martedì 5 aprile 2016

ERITREA VERA, ERITREA LIBERA

 
Questo è il link del mio intervento al Congresso 2016 dell'YPFDJ eritreo.

Ho avuto il privilegio e l'onore di essere invitato al congresso 2016 dell'YPFDJ, i giovani eritrei del Fronte per la Democrazia e la Giustizia, svoltosi a Montesilvano (Pescara) alla fine di marzo. Tra le mie esperienze di inviato di guerra spiccano quelle - frequentate da pochissimi giornalisti per lo scontato motivo dell'isolamento strumentale dell'Eritrea libera, rotto soltanto da campagne di falsità e diffamazioni - accanto al movimento di liberazione dell'ex-colonia italiana, poi britannica, poi etiopica. Qui ascoltate il saluto che mi è stato chiesto di portare a 450 delegati dell'YPFDJ, venuti da tutta Europa e dalle Americhe, riuniti per sostenere la rivoluzione del loro paese e diffonderne la verità contro tutte le menzogne e le cospirazioni dei neocolonialisti che dell'Eritrea non tollerano l'esempio e il contagio di nazione multietnica, multiconfessionale, indipendente, antimperialista. Un esempio e una speranza per tutti i popoli del mondo amanti della libertà.

Dopo aver resistito al colonialismo italiano, poi a quello britannico, poi a quello genocida etiopico (con il sanguinario imperatore schiavista Haile Selassié e l'altrettanto sanguinario dittatore "comunista" Menghistu), una lotta armata durissima di ben trent'anni, dal 1961 al 1991, contro forze sistematicamente soverchianti e sostenute dalle grandi potenze, è riuscita a trionfare, a cacciare dal paese gli occupanti, a conquistare libertà e indipendenza. Un successo che, come nel caso di altri popoli liberatisi del colonialismo, Iraq, Siria, Libia, non è mai stato perdonato  dagli antichi padroni coloniali ai quali si sono poi aggiunti quelli nuovi dell'imperialismo. 
Alle scandalose sanzioni che l'ONU, braccio "umanitario" dell'imperialismo, ha inflitto all'Eritrea per non essersi piegata questa nazione alle logiche e alle imposizioni del neocolonialismo e aver scelto una propria strada per il progresso, la giustizia sociale, lo sviluppo, si sono presto affiancate le campagne di menzogne e diffamazioni che le potenze occidentali ordinano a una stampa complice e servile nei confronti di popoli e direzioni politiche disobbedienti. Mentre si dà voce e smisurato risalto a chi emigra dall'Eritrea per le inevitabili difficoltà economiche determinate dalle sanzioni e dall'assedio (anche bellico: due guerre d'aggressioni etiopiche, su mandato Nato) e, ricattato dall'asilo politico e dalla possibilità di sopravvivenza, dichiara quanto i nemici del suo paese vogliono sentirsi dire, censura totale chiude la bocca ai milioni di eritrei che sostengono la loro patria e la sua leadership.

Ci sarà modo, molto presto, di svergognare chi specula sulle difficoltà di persone che non sono che le vittime della persecuzione inflitta al loro paese dai soliti noti. L'Eritrea è un paese piccolo e senza grandi risorse. Ma è grandissimo di orgoglio e volontà. Ce l'ha fatta a vincere una guerra di liberazione durata trent'anni e a restare libero per il quarto di secolo successivo. Quest'anno celebra le nozze d'argento con la libertà. C'è motivo perchè tutto il mondo festeggi 

This is the link for the salute I had the pleasure to deliver to the YPFDJ Conference. And the following is the statement I circulated to the press and my contacts
I was given the privilege and the honour to be invited to the 2016 Conference of the YPFDJ, the young Eritreans of the Front for Democracy and Justice, that took place near Pescara at the end of last March. Among my experiences as a war correspondent, I assign particular relevance to those that saw me together and on the side of the Eritrean Liberation Movement in struggle against coolonialism. This struggle was followed by very few journalists and media, due to the historical  prejudice against the country and its liberation movement which led to its isolation and diffamation. Very few media and individual journalist have tried to oppose the campaign of falsities and deformations that sistematically are being launched against the country and its leadership. This can be explained by the resentment and frustration caused to colonialist revanchists by the fact the Eritrea mantains its traditional course of a multiethnical, multireligious, independent, selfreliant and antimperialist country. An example and a hope for all  freedom-loving peoples of the world.