domenica 17 luglio 2016

TURCHIA: FANNO TUTTO DA SOLI - E SONO CAPACI DI TUTTO (1)

TURCHIA: FANNO TUTTO DA SOLI – E SONO CAPACI  DI TUTTO (1)

La mente è come un paracadute, non funziona se non si apre.” (Frank Zappa)

Siamo gli strumenti e i servi di uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali”. (John Swinton, direttore del “New York Tribune”, 1880).

Partiamo dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco, destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito, magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici antifascisti e, nel 2011, con l’11 settembre, alla cupola militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro dittatura mondiale.


Lo sibila tra i denti anche lo stesso Gulen che, ovviamente, rintanato negli Usa sotto tutela e controllo di Washington, non c’entra niente. Anche perché quando mai lui, islamista integralista quanto Erdogan, avrebbe potuto/voluto lanciare contro il sultanato una forza militare che, a dispetto delle epurazioni islamizzanti subite negli anni, mantiene una robusta base secolare e nazionalista. Anche perché per una roba del genere i suoi sorveglianti americani non gli avrebbero mai allentato le briglia. Ci possono essere dissapori, tra il maniaco criminale di Ankara e quelli di Washington. Che so, sui curdi, sulla gestione del califfo, su pace o guerra con Mosca o Iran, ma mettere in discussione un pilastro Nato piantato in mezzo a Medioriente e Asia, ai confini della Russia che delenda est, una forza militare  che è la seconda dell’Occidente dopo gli Usa, un regime che tiene appesa al gancio del collasso da migrazioni l’’Unione Europea, ecchè, vogliamo metterlo in discussione?

E allora tutti, da Obama al “manifesto”, lungo l’intero arco atlantico da destra a sinistra, a inneggiare alla preservazione delle istituzioni, dei diritti civili e del governo democraticamente (sic!) eletto, con qualcuno dal sottofondo che flauteggia l’auspicio che Erdogan si ravveda e non ne combini più delle sue. Non se ne preoccupa più di tanto Tommaso De Francesco, del quotidiano cripto-Nato, ma con etichetta comunista, il quale non fa che inanellare scemenze e insipienze da quando attribuì a Milosevic despotismo e pulizie etniche e in questo caso, con una Turchia chiaramente spaccata a metà tra affascinati dalla Sharìa e resistenti umani, individua un “Erdogan ferito”, ma anche un “popolo turco”, tutto intero, sdraiatosi davanti ai carri armati come a Tien An Men, in difesa del suo presidente, “democraticamente eletto”. Già gli erano svaporati dalle malferme sinapsi i milioni che negli anni si sono ritrovati nelle piazze, da Dyiarbakir a Istanbul, per farsi sparare addosso dagli sgherri del democraticamente eletto. Divertente poi la linea a balzelloni del giornaletto restituito a malavita (lo ha annunciato l’altro giorno) e alla sua cooperativa più che da lettori fedeli, dai paginoni dei compagni di ENI, Enrel, Telecom, Enav, Coop. Come quando con il suo responsabile esteri sentenzia un Erdogan fragile e indebolito dall’emergere di un elemento di contrasto capace di tenerlo sulla corda per ben tre ore di golpe, nientemeno, mentre l’altro redattore si piega alla realtà di un presidente tornato in grande spolvero e ora in grado spazzare via ogni residuo di opposizione. Ma che riunioni di redazione fanno?

Tre golpisti

Torniamo al “golpe”, auto. Quello sul cui fallimento il “manifesto” e tanta stampa (un po’ meno lo scaltro “Il Fatto”) si azzarda a ricostruire la “centralità del parlamento e del ruolo fondamentale dei partiti politici nel gioco democratico” (sic!): esattamente, ed è naturale, i termini in cui hanno salutato il salvataggio della democrazia da parte del più turpe energumeno nazista dell’area gli zii della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e del Pentagono e, scendendo molto in basso per li rami, pure Matteo Renzi e – qui ci scappelliamo – l’eurodama Mogherini.

Ebbene qualcuno si ricorda dei colpi di Stato effettuati dai militari turchi ogni qualvolta sospettavano che l’eredità nazionale e laica di Ataturk fosse posta a repentaglio da destra o sinistra? E qualcuno gli ha messo a confronto quiell’aborto di colpetto di Stato della notte tra il 15 e il 16 luglio 2016? Hanno occupato la tv di Stato, ma non le tv private, tutte infeudate a Erdogan, non la CNN turca (braccio mediatico Nato e Usa) dalla quale è difatti ripartito il controgolpe, cioè il colpo di Stato vero, con la trasmissione da smartphone dell’appello di Erdogan al pogrom antimilitare. Non hanno fatto nessuna delle cose che potevano assicurare il successo di una liberazione militare del popolo turco dalla Vergine di Norimberga  in cui progressivamente lo ha rinchiuso il suo Torquemada.

Non hanno spento i ripetitori delle telecomunicazioni, i cellulari, internet, non hanno ordinato il coprifuoco e proclamato la legge marziale, non hanno occupato i ministeri, appena qualche tank sui ponti sul Bosforo, di grande visibilità e dove sarebbero potuti arrivare in poco tempo e in tanti a “difendere la democrazia”. Non hanno occupato alcuna via di comunicazione strategica nel paese e tra il paese e i vicini, non hanno occupato le prefetture, presidiato i nodi ferroviari, bloccato gli aeroporti (solo per finta quello di Istanbul dove Erdogan è potuto subito arrivare dal suo luogo di vacanze, a Marmaris, che nessuno si è sognato di bombardare o occupare). Nel tempo delle immagini e dei leaderismi che ne scaturiscono non hanno saputo produrre un nome e una figura carismatica di riferimento, non hanno usato i social network. Dilettantismo di quattro sprovveduti, per quanto bene intenzionati, che non hanno neanche ricordato che i colpi di Stato si fanno a notte fonda, prima dell’alba, quando non si corre l’inconveniente di gente sveglia e per strada. E così le CNN e le tv associate al disegno del despota hanno potuto riprendere strade e piazze  con qualche centinaio di persone, emerse da discoteche e trattorie e poi moltiplicati dagli accorsi agli appelli di Erdogan liberamente trasmessi, simulando una rivolta di massa contro i carri.

 Soldati frustati dai difensori della democrazia

Poi è finito tutto. Salvo per i 300 morti, per ora, i 6000 arrestati, per ora, i 3000 magistrati dimessi e poi incarcerati, la campagna di linciaggi lanciata contro i soldati “traviati”, piazza pulita di tutti i critici e irriverenti, l’immaginabilissima ulteriore stretta sui diritti politici, civili, operai, la continuità del doppio forno antisiriano (alleanza con Isis, finto guerra all’Isis), lo sprofondare del paese in un abisso di regressione politica e culturale. Una Turchia degna dell’ingresso nell’UE,vero modello avanzato di quanto si ha in mente a Bruxelles, Washington e tra coloro che brandiscono Nato e TTIP, tanto per assicurarci sulla “centralità del parlamento turco e dei partiti come attori fondamentali del gioco democratico”, come titola il foglio cripto-Nato su un pezzo davvero turco di tale Mariano Giustino.
Cosa può essere successo? Che gli attentati finalizzati, come in Francia, come ovunque, ad accelerare la marcia verso lo Stato con gli stivali chiodati e a passo dell’oca non erano riusciti a far ingranare la quarta. Che nell’esercito, per quanto epurato, sopravvivevano fermenti laici, nazionalisti, in disaccordo con le catastrofiche imprese esterne e interne di un regime che andava isolandosi da tutti. Che si è lasciato che i portatori di questi fermenti, nei gradi medio-alti, congiurassero, che magari con agenti provocatori li si incoraggiasse, che addirittura gli si facesse balenare un appoggio euro-atlantico, che poi li si inducesse a commettere le ingenuità, gli errori clamorosi che si sono visti, nell’illusione, loro, che si sarebbero tirati dietro popolo e armate.

Tutti a sottolineare il silenzio delle cancellerie occidentali, Obama, Merkel, Juncker, May, Hollande e Renzi (per quel che conta), nelle tre ore del golpe, interpretato e biasimato come un barcamenarsi in attesa di sapere chi avrebbe vinto. Balle! Sapevano benissimo chi avrebbe vinto, ma , davanti all’immagine del golem turco insediatasi ormai nella percezione della gente pensante in tutta la sua orripilante identità di padrino del terrorismo jihadista, massacratore del suo e di altri popoli, corrotto ladrone e capo di un clan di malfattori senza scrupoli, conveniva mostrare qualche disponibilità a chi aveva proclamato nel suo comunicato il “ritorno alla democrazia e al rispetto dei dirtti umani e la pace e amicizia con tutti i popoli vicini”. Ovviamente anatema per la Nato e per un’Europa che si muove, per ora con mocassini e tacchi a spillo, nella stessa direzione.

Pensate se avesse vinto il colpo di Stato. Via i Fratelli Musulmani, quelli tanto cari al “manifesto”, ormai nettamene minoritari nella regione (Tunisia, Qatar e Turchia). Cioè via la forza sociale, militare e culturale ideata e nutrita dai colonialismi vecchi e nuovi a garanzia dei propri modelli di sviluppo e di sfruttamento, del proprio ordine mondiale. Al suo posto una realtà imprevedibile e incalcolabile, con rigurgiti nazionalisti e statalisti suscettibili di guardare oltre il soffocante perimetro delle alleanze e dipendenze occidentali, sicuramente laica e, dunque, ostica ai processi di decerebramento religioso che servono a neutralizzare nostalgie di autodeterminazione popolare e nazionale.

Quelle che hanno animato alla rivolta alcune decine di milioni di egiziani, dopo aver assaporato la medicina dei Fratelli Musulmani e dei loro surrogati terroristici, sotto un presidente eletto “democraticamente” dal 17% della popolazione in un voto boicottato dalla maggioranza, che aveva imposto la sharìa, sparato sui manifestanti, incarcerato gli oppositori, bruciato le chiese cristiane, trasferito tagliagole in Siria e i cui seguaci ora assassinano civili, funzionari e poliziotti in una guerra terroristica che tutti preferiscono nascondere sotto le presunte infamie di Abdelfatah Al Sisi.


Avessero vinto in Turchia i militari, ontologicamente fascisti secondo un’aporia di sinistra, a dispetto di dimostrazioni storiche contrarie, ci saremmo giocati “la centralità del parlamento turco e dei partiti nel loro ruolo di attori fondamentali del gioco democratico”, come temeva il “manifesto” e tutto il cucuzzaro destro-sinistro dell’atlantismo? Chi lo sa. Di sicuro c’è che, come Al Sisi è meglio di Morsi per gli egiziani, gli arabi, il Medioriente, il movimento delle cellule cerebrali dell’essere umano, difficilmente qualcuno di quelli che si sono agitati l’altra notte a Istanbul avrebbe potuto essere peggio di Erdogan, il padrino degli squartatori del popolo iracheno, libico e siriano. Certo che la Nato, John Negroponte, l’MI6, la Cia, Oxford Analytica e il “manifesto”, a questo qualcuno non avrebbero esitato un attimo a spedigli un Giulio Regeni, poveretto. 

8 commenti:

alex1 ha detto...

Semplicemente il trionfo del "democratically correct" su base occidentalista basato su di un pregiudizio antimilitarista che e' andato da Pechino nel 1989 (dove simostro' una versione angelizzata di tutti I manifestanti, anche quelli fecero spogliare ed umiliarono I militari entrati inizialmente senza armi al centro della piazza per non parlare di quelli bruciati dentro I camion a pochi chilometri) a Belgrado 1999, per finire a Kiev due anni fa, quando quasi nessuno si preoccupo' della "centralita' del parlamento e delle sue prerogative democratiche" mostrando molto piu' entusiasmo per quel golpe contro "il dittatore filorusso". Sono pero' sicuro che in TurchiaI conti non sono del tutto chiusi.

alex1 ha detto...

Una questione che forse non c'entra nulla, ma qui a Firenze è stata sentita un po' di più. Riguarda il processo per la morte di Magherini, causata dall'arresto della polizia del malcapitato, le quali hanno anche allontanato un'ambulanza che era stata allertata per i soccorsi. Secondo molti giornali "è stata fatta giustizia" con le condanne ad otto e sette mesi (con la condizionale, probabilmente) per due agenti. E con l'assoluzione dall'imputazione di tortura per l'agente che lo prendeva a calci mentre era disteso per terra. Avrei molto ritegno a chiamarla "giustizia".

Paolo Selmi ha detto...

Ciao Fulvio!
concordo. Oltre alle scelte di tempo completamente sbagliate, all'approssimazione organizzativa, alla troppo sospetta ingenuità nella conduzione di tutta l'operazione, fosse stato un colpo di stato militare vero e proprio, due jet militari - per esempio - avrebbero "scortato" l'aereo di Erdogan per poi arrestarlo, oppure lo avrebbero tirato giù senza troppi complimenti. Probabilmente a qualcuno, di cui si conoscevano ampiamente le intenzioni, è stato detto, gli è stato fatto credere, qualcosa che gli è stato fatto mancare subito dopo, lasciandolo scoperto, bruciato, predestinato a fare da vittima sacrificale per una delle più violente repressioni della storia recente turca che, altrimenti, sarebbero state impossibili. Altra cosa, per esempio, che fatico a spiegarmi altrimenti, sono le liste di proscrizione per militari e giudici, già pronte il giorno dopo, se non il giorno stesso. Decade, a maggior ragione, anche l'ipotesi del complotto pilotato dall'esterno: o sopravvaluto, mitizzo troppo i servizi segreti occidentali e i loro "consiglieri", o c'è stato troppo dilettantismo. Ed Erdogan è stato capace, in tutti i sensi, di provocare il suo incendio del Reichstag, un "autogolpe", che non solo non si sia tramutato in un "autogol", ma che abbia legittimato un'ondata repressiva, quella in corso, senza precedenti. Sempre peggio.
Ciao
Paolo

Unknown ha detto...

A posteriori posso dire anche io che sicuramente Erdogan e gli ambienti a lui vicini hanno indotto ambienti ostili dell'esercito a credere di poter realizzare un colpo di stato contro di loro, prendendoli in trappola e avendo gia' pronta le successive epurazioni che in effetti sembrano essere state immediate.
Resta comunque il dilettantismo di questi sprovveduti che non arrestano subito il presidente e non mettono sotto controllo radio e tv e che anzi quando entrano alla tv di stato vengono sopraffatti dagli stessi giornalisti manco fossero un manipolo di contestatori dei centri sociali.
Confesso che per un attimo venerdi' sera avevo creduto che ci saremmo liberati del fratello Erdogan come del fratello Morsi 3 anni fa....peccato, era solo un' illusione.
Ps ridicoli gli appelli dei pupazzi dei nostri governanti acrispettare la democrazia e l'esito elettorale in Turchia quando Erdocan e non e' un errore di battitura, mi scuso coi cani e con Fulvio, e' il primo che se ne fotte delle vere regole democratiche chiudendo giornali a lui ostili e sbattendo in galera i giornalisti per lui scomodi.

Anonimo ha detto...

......che periodo ragazzi!ricordo un cartellone all'uscita dell aereoporto dell'Avana a Cuba recava la foto del presidente degli USA con sotto una gigantesca scritta:" CHI é AMICO DEI TERRORISTI é UN TERRORISTA".

Anonimo ha detto...

Io come sai sono un sostenitore di Putin ,considerandolo il piu' importante baluardo contro la cupola dei serial killer usisraelenato e le loro milizie di tagliagole .
Putin sicuramente e' uno che non disdegna la realpolitik,si parla di un suo avvicinamento ad Ankara in chiave difensiva verso gli aggressori nato.Pero' non credo si possa assolutamente fidare di un soggetto come Erdogan ,che mi sembra dare segni continui di squilibrio.Che ne pensi Fulvio ?
Ciao e bentornato.
Luca.

alex1 ha detto...

In effetti da quanto viene fuori da alcune fonti sembra che ci possa essere stato l'appoggio dei alcuni settori del Pentagono al tentato golpe. Pur non prendendo nulla per oro colato, possiamo escluderlo? O che, essendoci le elezioni negli U.S.A. dove si scontrano line strategichediverse anche in politica estera, che una componente tenti di "guadagnare terreno" rispetto ad un altra? O che un certo cambiamento di linea in politica estera (le scuse alla Russia per l'aereo abbattuto, un possibile riavvicinamento con la Siria) non siano state gradite? Perche' queste accuse cosi'esplicite agli Stati Uniti?

tango ha detto...

Autogolpe e' la giusta parola e dice tutto. Studiato ideato e messo a punto dallo stesso " sultano".
I soldati nelle strade erano convinti di partecipare ad un addestramento, infatti una volta realizzato hanno subito deposto le armi. Questo e' trapelato dalle primissime interviste avute dai "soldati catturati. Per quanto riguarda Gulen non concordo con la tua analisi, "il Gulen Movement" e' un movimento non violento e usa l'arma dell'educazione: "scienza e religione possono convivere", per quanto riguarda l'Islam il movimento verte sul Sufismo e non Radicalismo.